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QUANDO LO STATO CORRE AI RIPARI PER EVITARE CONTENZIOSI ECONOMICI A PERDERE: LA NOVITA’ DEL DECRETO “SALVA INFRAZIONI”131/2024

Un provvedimento che modifica il codice dei contratti post Jobs Act, per i contratti a termine illegittimi

(19 Settembre 2024)

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UNA PICCONATA al famigerato codice dei contratti (Decreto Legislativo 81/2015) applicativo del Jobs Act, in questo caso è lo STATO CHE CORRE AI RIPARI DEL PADRONATO, NEL CASO DI CONTRATTI A TERMINE ILLEGITTIMI e a salvaguardia del contenzioso giudiziale che potrebbe scatenarsi anche nel pubblico impiego, specie nella scuola statale, dove il Governo Italiano dell’epoca, fu sconfitto proprio sui contratti a termine del precariato della scuola italiana innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea alcuni anni fa, con una sentenza estensibile ai precari delle Pubbliche Amministrazioni.

Con il DECRETO "SALVA INFRAZIONI” il n° 131/2024, in vigore dal 17 settembre scorso, è stato previsto e sancito, l’adeguamento delle somme a titolo di risarcimento per l’applicazione di contratti a termine, una PICCONATA che modifica un articolo del D. Lgs. 81(2015 (28 commi 2 e 3, si ricorda che gli articoli d 19 a 29 del codice dei contratti, disciplina i rapporti di lavoro a termine, modificando e sostituendo la legislazione precedente) il codice dei contratti post Jobs Act, per i contratti a termine dichiarati illegittimi, se il dipendente (anche pubblico) riesce a dimostrare di aver subito un maggior danno.

Il decreto stabilisce anche l’abrogazione della riduzione del limite massimo di 6 mensilità come valutazione della somma risarcibile al dipendente, anche nel settore privato, se il CCNL di settore applicato o che il datore di lavoro dichiara di voler applicare, preveda l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine.

Contratti a termine illegittimi: previsto l’aumento del risarcimento a favore di dipendenti ricorrenti in giudizio.

Tra le novità introdotte dal “salva infrazioni” citato, c’è anche quella che interviene sulla disciplina dei contratti di lavoro a termine in modo tale da adempiere ai richiami ricevuti dall’Unione Europea, stabilendo un aumento dell’indennizzo riconosciuto ai lavoratori e lavoratrici per la reintegrazione sul posto di lavoro a causa di un contratto a termine che il giudice ha ritenuto illegittimo.
L’articolo 11 del DL n. 131/2024, in vigore dal 17 settembre 2024, modifica la disciplina prevista dall’articolo 28, commi 2 e 3 del Dlgs n. 81/2015, per l’impianto sanzionatorio accessorio, nel caso di un rapporto di lavoro contrattualmente definito a termine, illegittimo che il giudice ha trasformato a tempo indeterminato.
Con le precedenti disposizioni in vigore del codice dei contratti, FINO AL 16 SETTEMBRE 2024, era prevista un’indennità di risarcimento di importo compreso tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione.

Il risarcimento ha l’obiettivo di permettere il ristoro per il danno subìto dal lavoratore (sia dal punto di vista retributivo che contributivo) per il periodo intercorso tra la scadenza del termine e la sentenza di ricostituzione del rapporto di lavoro.
Alla luce del decreto in questione, dal 17 settembre 2024, viene lasciata invariata la misura minima e massima del risarcimento (tra 2,5 e 12 mensilità), ma con la differenza che il giudice ha la facoltà di aumentare l’indennizzo, oltre le 12 mensilità, nel caso in cui il lavoratore o la lavoratrice dimostri di aver subìto un maggiore danno, in sede giudiziale di riconoscimento dei contratti a termine, ripetuti nel tempo che portino a dichiarare tale rapporto a termine e i relativi contratti sottoscritti, come illegittimi.

La seconda novità apportata dal decreto salva infrazioni per la definizione e il calcolo del risarcimento per i contratti a termine illegittimi, riguarda il limite massimo per l’indennizzo nel caso in cui siano applicati contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine.
In questo caso, con le precedenti disposizioni e fino al 16 settembre 2024, il limite massimo per il risarcimento era fissato a 6 mensilità. Dall’entrata in vigore del D.L. n. 131/2024 tale disposizione è stata abrogata.

Si applica la normativa generale: il risarcimento di importo compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità, con possibilità di ulteriore aumento in caso di dimostrazione e prova da parte del dipendente ricorrente in giudizio, durante quindi una causa di lavoro innanzi al giudice competente per materia e territorio, maggior danno subìto.
Il decreto salva infrazioni, inoltre, ha introdotto altre due importanti novità in materia di rapporti a termine nella Pubblica Amministrazione (art 12) e di lavoro stagionale (art. 9).

Per i contratti a tempo determinato nella Pubblica Amministrazione, i quali anche se illegittimi, ferme restando responsabilità e sanzioni, non possono portare all’assunzione a tempo indeterminato (ndr, si ricorda che esiste il vincolo posto all’articolo 97 della vigente Costituzione repubblicana e antifascista, che per l’accesso e l’inserimento a tempo indeterminato, si sia assunti per concorso o almeno secondo la giurisprudenza maggioritaria, a seguito di prove selettive pubbliche, secondo le modalità previste anche dal D. Lgs. 165/2001 e successive modificazioni e integrazioni), ma una risarcibilità che se provata, può arrivare da un minimo di 4 mensilità fino al massimo, valutato dal giudice, di 40 mensilità, calcolate sull’ultima retribuzione lorda percepita dal precario, specie nella scuola statale, dove si è registrato il maggior numero di controversie di lavoro.
In questo caso, fatta salva la possibilità per il lavoratore o la lavoratrice, di provare il maggior danno subito per effetto di tale illecito contrattuale e della gestione non corretta del rapporto di lavoro a tempo determinato, il giudice stabilisce l’indennità in misura compresa tra le 4 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione.

LAVORO STAGIONALE
(art. 9 D.L. 131/2024) di lavoratori e lavoratrici non comunitarie, il decreto prevede una sanzione che va dai 350 ai 5.500 euro in caso di violazione del divieto per i datori di lavoro di mettere disposizione dei lavoratori alloggi non idonei o a un canone eccessivo (superiore ad 1/3 della retribuzione) oppure trattiene l’affitto o il canone di locazione, dalla busta paga, anche in caso di clausola (vessatoria si direbbe in termini tecnici) inserita nel contratto individuale di lavoro, se sottoscritto (e magari regolarmente comunicato).

PRIME CONCLUSIONI: è un ulteriore colpo, al regime stabilito nel 2015 delle famigerate e controverse disposizioni del Jobs Act, specie del codice dei contratti che contiene diverse disposizioni meno favorevoli per chi lavora. Il Governo italiano, prevedendo una notevole alea di rischio di contenziosi e di “vertenze” specie nel pubblico impiego e nella scuola statale in particolare, ha difeso se stesso, prevedendo tali disposizioni, formalmente per evitare il contenzioso e alleggerire il carico dei tribunali, di fatto per evitare l’apertura di nuove e costose sanzioni o procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea, per l’utilizzo in modo eccessivo di contratti a termine al posto di regolari assunzioni e reclutamento del personale tenuto precario per anni e le azioni risarcitorie, per il maggior danno subito a causa di tale meccanismo. Anche nel contenzioso per il settore privato, il Governo in carica va a ..salvare i datori di lavoro, per le ipotesi di uso spropositato di tale regime contrattuale, spesso associato al part time, disciplinato anch’esso dal D. Lgs. 81 2015 (articoli da 4 a 12) o del lavoro stagionale, nel caso di contenziosi a livello giudiziario. QUI STA LA CARENZA DELLE DISPOSIZIONI DEL GOVERNO ATTUALE, che rimane sempre ancorato alla DEFINIZIONE IN SEDE DI CAUSA DI LAVORO E DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE, per l’ammontare adeguato di sanzioni pecuniarie e risarcitorie accessorie, sia per la parte di irregolarità retributive e contributive, che per la verifica della illegittimità dei rapporti di lavoro a termine e dei reiterati contratti di lavoro fatti stipulare, specie nel settore privato o cooperativo, L’ONERE DELLA PROVA, non sempre facilmente accertabile in sede di giudizio, RIMANE SEMPRE A CARICO DEL DIPENDENTE RICORRENTE, con costi economici non facilmente sopportabili per la durata delle cause di lavoro della parte attrice, di chi lavora e per la difficoltà di poter provare in sede di giudizio, il maggior danno subito a causa di questo uso di contratti di lavoro a termine, da dichiararsi illegittimi. Specie se si tratta di lavoratrici o lavoratori immigrati, i quali sono soggetti alla connessione del permesso di soggiorno al rapporto di lavoro attivo e ai diritti conseguenti, specie per chi ha famiglia a carico o vuole ottenere sempre ammesso che sia dipendente regolare, il ricongiungimento familiare, affitto e locazione di casa, iscrizione e attestazione di residenza per i figli minori in età scolare, esonero per mensa o trasporto scolastico, diritto allo studio (oltre al dibattito non ancora sopito su riconoscimento di ius soli o la mediazione dello ius scholae, rimane in vigore per gli aspetti collaterali al rapporto di lavoro, l’articolo 5 del famigerato decreto Lupi…). Le cose come al solito sono collegate e lo scoraggiamento a fare cause di lavoro pur avendo ragione, per i costi decretati dal D. Lgs. 83/2010 8c.d. collegato lavoro) per i contenziosi di lavoro adeguati alla pari delle normali controversie civili, sia per la difficoltà di reperire LE PROVE CERTE, del maggior danno subito dai precari e precarie, da portare come onere probatorio da far valutare dal giudice in sede di contenzioso giudiziale e conseguente applicazione della legge modificata e dalle disposizioni contenute nel D.L. 131/2024. UNA DISPARITA’ DI TRATTAMENTO EFFETTIVA, TRA LE PARTI, DIPENDENTE (parte attrice nelle cause di lavoro) E DATORE DI LAVORO 8parte convenuta in giudizio), CHE ANCHE IN QUESTO CASO NON VIENE COLMATA, rendendo più difficile la funzione di assistenza e tutela legale degli avvocati e avvocate e le attività delle organizzazioni sindacali non collaborazioniste, o compiacenti con il padronato .
Alla fine, anche provvedimenti come il “salva infrazioni”, più che agevolare e tutelare meglio chi prima di arrivare al rapporto di lavoro stabile e regolare a tempo indeterminato, SALVA GLI INTERESSI PREVALENTI DELLO STATO QUANDO OPERA COME DATORE DI LAVORO E PER IL PRIVATO, DELLA PARTE PADRONALE CHE RESTA IL SOGGETTO PIU’ FORTE, nei contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato, precari o anche del lavoro stagionale.

SI RIBADISCE QUINDI L’ATTUALITA’ E LA VALIDITA’ DI CREARE LE CONDIZIONI FAVOREVOLI NEI RAPPORTI DI FORZA SUI POSTI DI LAVORO E SUI TERRITORI dalla parte di chi lavora E LA NECESSITA’, COME I NOSTRI PADRI E PREDECESSORI HANNO INSEGNATO, DELLA PRATICA VALIDA ED EFFICACE DELLA “LOTTA DI CLASSE”, che va portata in modo collettivo, solidale e solidamente sostenuta, anche nelle stesse aule di tribunale o nei collegi di conciliazione e arbitrato. NON A CASO, ABBIAMO RIDATO VITA ALL’ANTICO E MAI DOMO, PERCORSO DI AUTODIFESA COLLETTIVA E PERSONALE, TRAMITE LA RICOSTITUZIONE DELL’UNIONE SINDACALE ITALIANA, all’epoca fondata nel 1912… ALLA LOTTA, AL LAVORO! AL LAVORO, ALLA LOTTA!

A cura di Unione Sindacale Italiana fondata nel 1912 USI 1912

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