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(26 Settembre 2024)
Editoriale del n. 141 di "Alternativa di Classe"
In Germania, e non da ora, è recessione conclamata. La crisi tedesca rischia di cronicizzarsi. E' senza dubbio il Paese su cui ha pesato di più la Guerra russo-ucraina. Il settore che più si sta indebolendo è proprio il manifatturiero, che aveva un punto di forza nelle esportazioni. Non si tratta solo dell'aumento della inflazione, che colpisce più duro, laddove, infatti, i costi energetici sono aumentati a dismisura, vista la grossa diminuzione dell'uso del gas russo, prima acquistato a costi contenuti. Già solo per questo il prodotto tedesco, ancor più caro, è divenuto meno appetibile sui mercati.
Come era prevedibile, le sanzioni antirusse, decise dalla UE, stanno pesando sulla economia tedesca. Si aggiunga a ciò, che è di gran lunga il maggior produttore UE di manufatti, e, dopo USA, Cina e Giappone, nell'ordine, è il principale produttore mondiale nel settore. Per capire, poi, come la crisi venga, ovviamente, pagata dai proletari di Germania, basti citare il dato che le retribuzioni del manifatturiero finora superavano, in media, del 20% quelle dei lavoratori dei servizi.
Oltre, naturalmente, alle produzioni energetiche, la crisi susseguente alle sanzioni ha investito anche il settore chimico, il cui volume di produzione, con la guerra russo-ucraina, è sceso del 25%. L'incertezza sulla scelta di fondo tra le “ecologiche” automobili elettriche, che comportano maggiore produzione di batterie, e quindi, valorizzano soprattutto estrazioni di litio, ma anche di cobalto, manganese, nichel e rame, e quelle con motori a combustione interna, ad oggi sempre basate sui combustibili fossili, non aiuta la Germania a rilanciare la sua economia.
La Volkswagen, il colosso tedesco dell'auto è in crisi pesante. Le auto “elettriche”, molto costose senza incentivi statali, si vendono poco, risentendo molto della concorrenza cinese, e d'oriente in genere. A rischio in 300mila in Germania, almeno 20mila addetti sembrano già vicini al taglio, e che non si tratti certo di chiacchiere lo dimostra la rescissione unilaterale da parte aziendale del “contratto di salvaguardia” dei posti di lavoro fino al 2029: non c'è cogestione che tenga! A fine 2024 l'accordo decadrà, e Giugno '25 dovrebbe registrare un primo ridimensionamento.
Mentre la direzione della multinazionale prende in considerazione di investire all'estero, pensando per la prima volta da 87 anni di chiudere qualcosa in Germania, IG Metall promette conflitto, anche se da alcuni lavoratori, dubbiosi sulle sue capacità di guida delle lotte, sta partendo qualche iniziale forma di contestazione.
Non sempre si tratta di contestazioni efficaci, dato che, ad esempio, i risultati elettorali in Turingia, ed in Sassonia, influenzati da quanto sta accadendo, hanno registrato, oltre al prevedibile successo della destra di AfD, quello del partito della “sinistra sovranista”, BSW, accusato tout court dal Governo di “putinismo”, guardato con simpatia da Fassina, e che punta sulla concorrenzialità all'estero del prodotto “made in Germany”...
Le forti difficoltà economiche tedesche si ripercuotono nella UE, in particolare verso l'Italia, ed, oltremanica, nel Regno Unito, per il quale la Germania è il secondo partner commerciale. Oltre tutto la UE continua a dipendere per il 18% dal gas russo. Più di due anni e mezzo di guerra con la Russia stanno logorando la UE, oltre a infliggere evidenti danni alla Russia stessa: Un capolavoro degli USA, non certo attribuibile alla persona di J. Biden, ma al potere economico-finanziario della metropoli americana. In questo contesto, il “cessate il fuoco” in Ucraina non dovrebbe più essere ipotesi astratta....
La gravità della situazione aveva indotto U. Von der Leyen a commissionare a M. Draghi un “rapporto sulla competitività”, presentato Lunedì 9 alla Commissione UE, ed illustrato come “sfida esistenziale” per la UE; non attuarlo, significherebbe, secondo il banchiere, ridimensionare le prospettive dell'Unione. Considera le sue proposte come una “inversione di tendenza”, e dice che equivarrebbe, a livello di investimenti, a “due Piani Marshall”. Decodificando, si tratterebbe di digitalizzare e decarbonizzare l'economia, oltre a rinforzare ancora il settore della “difesa”.
Alla UE necessiterebbe un aumento di investimenti del 4,4/4,7% del PIL totale del 2023, pari a 750/800 miliardi di euro. Andrebbero, così, “oliati” alcuni meccanismi farraginosi della UE, come l'unanimità delle decisioni, sostituita dalla “maggioranza qualificata”, incrementati, sul piano finanziario, “strumenti di debito comune” e, infine, partnership europee nella produzione bellica. Neanche a dirlo, si tratta proprio delle “convinzioni” della Von der Leyen!...
Nella successiva presentazione pubblica, avvenuta Mercoledì 18, della sua nuova squadra di Commissione UE, la Von der Leyen dà seguito alla nuova impostazione, dichiarando che il “Green Deal” non è più la priorità UE, che viene sostituita da sicurezza e competitività. Del resto, lo si poteva capire già dalla nomina di un olandese ex consulente della Shell a “Commissario per Clima, Crescita pulita e Obiettivi net-zero”... E nonostante il fatto che le stesse caratteristiche ecologiche della “Transizione verde” abbiano poco di realmente favorevole agli equilibri ambientali...
Dai quasi unanimi consensi al “Piano Draghi” si è smarcato, invece, il Governo tedesco, che rifiuta soprattutto i “titoli di debito pubblico comune” europeo, contrapponendoli alla necessità di crescita. Ed ora, visti anche gli insuccessi elettorali, Scholz, a differenza di Francia e Regno Unito, nega di fornire missili a lungo raggio all'Ucraina per colpire la Russia, ed anzi starebbe per lanciare un “piano di pace” tra Ucraina e Russia, verso il quale i due protagonisti, anche se con diverse modalità, starebbero mostrando un qualche interesse...
In effetti, in Ucraina stanno continuando le diserzioni (vedi ALTERNTIVA DI CLASSE Anno XII n. 140 a pag. 2), anche recidive, tanto che il Governo, che ha appena subito un rimpasto, ha praticamente depenalizzato la prima, mentre il clima che si vive nelle truppe, non vedendo sbocchi, è sempre più pesante, e sono in aumento anche gli episodi di insubordinazione...
Anche in Russia il clima rispetto al conflitto non è dei migliori. L'ingresso di truppe ucraine nel proprio territorio ha dimostrato a livello di massa che non si tratta più, se mai si è trattato, di una mera “operazione speciale”, ma che lo scontro in atto è proprio una guerra, quantomeno interstatale. Un sondaggio tra giovani russi ha, così, fornito il risultato che, aldilà delle motivazioni, anche diverse, ben il 60% sarebbe contrario ad una guerra con la NATO, mentre il Cremlino vuole portare a 1,5 milioni di unità l'esercito, arruolando altri 180mila soldati.
Da parte ucraina, però, molto dipenderà dal viaggio di Zelenskij in USA, previsto a fine mese, in cui parlerà con J. Biden, oltre che con i candidati alla nuova presidenza, K. Harris e D. Trump, della “necessità” di detenere ed usare missili a lungo raggio contro la Russia. A tal proposito, il Segretario della NATO, J. Stoltenberg, ha già dichiarato che se gli Stati NATO lasceranno libera l'Ucraina di sparare come vuole, non verranno coinvolti direttamente nel conflitto con la Russia. Del resto, Zelenskij ha quasi completato il suo “piano di vittoria”...
Nella UE si è votato Giovedì 19 sul sostegno all'Ucraina. Oltre ad uno stanziamento di 35 miliardi per la “ripresa”, è stato approvato l'uso delle armi occidentali (ogni Stato fornirà lo 0,25% del proprio PIL) anche in territorio russo, ponendo fine ai tentennamenti espressi da diversi Stati, in primis l'Italia (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno XII n. 140 a pag. 1). Formalmente si tratta di un “invito ai singoli Stati a togliere le restrizioni”, ma di fatto è il “la”: indipendentemente dalle decisioni degli USA, la UE appoggia in toto il “piano di vittoria” ucraino!...
In Medio Oriente, intanto, mentre la paventata risposta dell'Iran non si è ancora vista, Israele continua, sostanzialmente indisturbato, ad uccidere palestinesi, naturalmente sempre “sospettati” di fare parte di Hamas, ed i cui vertici ne celebrano il “martirio”. Con l'avvicinarsi dell'anniversario del 7 Ottobre, poi Houthi ed Hezbollah paiono volere intensificare gli scontri, cosa alla quale Israele già provvede, colpendo i territori in cui vivono: Yemen e sud del Libano, anche se e quando tali organizzazioni non li governano.
Sul piano umanitario, oltre agli operatori, uccisi (per sbaglio?) da Israele, l'unica attività che è partita davvero a Gaza è la campagna di vaccinazioni antipolio dei bambini palestinesi (quelli ancora vivi), grazie ad una tregua di tre giorni... Più di 446mila i bambini vaccinati: una diffusione della poliomelite nell'area avrebbe risvolti disastrosi per tutti, compresa la stessa Israele.
Non può che fare piacere questo risultato sul piano umanitario, ma sarebbe importante che i compagni distinguessero tra la obiettiva penosità della situazione dei palestinesi, soprattutto a Gaza, e la narrazione di una “lotta di liberazione” nazionale in atto, condotta da una fantomatica “Resistenza palestinese”. A condurre al martirio vero e proprio, vista l'estrema sproporzione di mezzi bellici, i proletari palestinesi, c'è solo Hamas, organizzazione islamista, che agisce per interessi propri, dalla stessa parte della antioperaia Repubblica Islamica d'Iran!...
E' ormai più che evidente a tutti che non è in corso alcuna “intifada” di massa, ma solo la consapevole conduzione al massacro di migliaia di proletari, certo uccisi materialmente dall'esercito israeliano, ma cinicamente portati a tale risultato da una direzione politica e militare, non certo sprovveduta, che, se lo fa, “colpisce nel mucchio” allo stesso modo del vertice di Israele. Come qualsiasi Stato in guerra.
La nostra solidarietà non può che andare ai proletari palestinesi, come ai proletari che vivono e lavorano in Israele, come ai proletari russi e a quelli ucraini, inviati al fronte per interessi non loro!... Cominciando ad opporci all'imperialismo di casa nostra, che, peraltro, ha diversi interessi nelle aree citate.
Sul piano interno, mentre rimane e si aggrava la situazione di emergenza sociale per i proletari, il Governo sta approvando in Parlamento un pesante strumento repressivo: è il DDL n. 1660 sulla “sicurezza” (vedi ALTERNATIVA DI CLASSE Anno XII n. 139 a pag. 3), che intende miratamente criminalizzare ogni lotta che si manifesti in modo conseguente, fondamentalmente attraverso l'inasprimento delle pene e l'introduzione di nuovi reati.
Contro tale provvedimento si è costruita una aggregazione nazionale, intitolata “Rete Libere/i di lottare”, che, se ha il merito di non perdersi nelle secche dei voti referendari, con l'intenzione di muoversi sul piano della lotta, ha il limite di nascere da un documento che per la adesione vede, insieme a giuste osservazioni su quanto sta avvenendo, un passaggio in cui si parla di “...oppressione coloniale e razzista del sionismo contro le masse palestinesi...”; un pesante limite di analisi. E, alla fine del testo, si dice che la “Rete” accoglie chi ne condivide gli obiettivi...
Certamente, questa nostra critica di contenuto non impedirà di partecipare a singole iniziative, e fare sì che le mobilitazioni contro questa “legge di polizia” riescano, anche se, purtroppo, tale Rete si dimostra essere un vero cartello politico, e non un “comitato di scopo”, avendo aderito tout court alla manifestazione nazionale pro-“Resistenza palestinese” del 5 Ottobre. E' un sintomo di come, purtroppo, spesso anche nella sinistra di classe, non prevalgano concezioni internazionaliste.
Intanto nella serata di Mercoledì 18 il DDL n. 1660 è stato approvato dalla Camera dei deputati a larga maggioranza. La opposizione parlamentare, che, visto il clima elettorale (elezioni regionali in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria in autunno), si dice contraria, ha portato solo 91 voti contrari, sui 160 possibili, mentre ha chiesto al Governo (ed ottenuto) più agenti di polizia e guardie carcerarie. E' una stretta preventiva, che non può passare sotto silenzio, e che prepara il clima della trasformazione in economia di guerra!
Alternativa di Classe
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