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(25 Giugno 2006) Enzo Apicella
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Riforme costituzionali: cosa cambia per gli enti locali

una analisi tecnica

(8 Dicembre 2005)

Devolution, Premierato, nuovi poteri del capo dello Stato, scomparsa del bicameralismo paritario e nuove funzioni e composizione per Camera e Senato Federale.

Sono queste le linee portanti del disegno di legge di riforma costituzionale, approvato definitivamente lo scorso 16 Novembre in Senato e che diventerà operativo dopo l'eventuale approvazione attraverso il referendum confermativo, che dovrebbe svolgersi nella primavera del 2006.

Il disegno di legge fu presentato dal Governo in Senato il 17 Ottobre 2003.

Approvato il 25 Marzo del 2004 a palazzo Madama, fu poi modificato e licenziato nel testo attuale il 15 Ottobre 2004 dalla Camera, per ottenere poi via libera dal Senato il 23 Marzo 2005.

Quindi le due successive letture il 20 Ottobre scorso a Montecitorio ed il 16 Novembre, come già riportato, al Senato.

Puntiamo l'attenzione sulla riforma federalista, definita “devolution”

Dopo l'attuazione delle Regioni a Statuto Ordinario nel 1970 (in grave ritardo sui tempi previsti dalla Costituzione) è difficile riuscire a datare il momento in cui nasce e si afferma l'esigenza del federalismo costituzionale.

Nella prima Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali (la “Commissione Bozzi”) che è del 1985, non è dato trovare nessuna significativa traccia di riferimenti ad un sistema federale.

Ed anche nella successiva Commissione , insediata nel 1994 e nota come “Jotti – De Mita”, nonostante fossero state previste alcune aperture verso meccanismi costituzionali di tipo federale (quale, per esempio, la sia pur modesta competenza legislativa residuale delle Regioni) si fa comunque fatica ad individuare in quel progetto il primo, vero, tentativo di fare dell'Italia un Paese federale.

C'è chi, allora, ha voluto scorgere il vento federalista nell'avanzata elettorale del movimento politico della Lega Nord, iniziata già nel 1992, il quale ha fatto del federalismo la sua bandiera politica, sia pure a livello di slogan propagandistici, senza cioè mostrare di avere un proprio progetto organico di riforma costituzionale in senso federale.

C'è però da dire che proprio con l'arrivo al governo della Lega Nord al governo nel 1994, a seguito della vittoria elettorale di una coalizione governativa, sia pure piuttosto disomogenea, si è avuto il primo progetto compiuto di riforma costituzionale in senso federale; il quale non fece nemmeno in tempo ad essere presentato alle Camere, a causa della repentina crisi della maggioranza e la conseguente caduta del Governo.

Il riferimento è al progetto elaborato dal cosiddetto “Comitato Speroni” (dal nome del ministro per le riforme istituzionali nel governo Berlusconi I).

In quel progetto di riforma della seconda parte della Costituzione, l'architettura federale c'era tutta, ovvero era ben definita dall'autonomia statutaria delle Regioni alla competenza residuale della legislazione regionale; dalla sussidiarietà verticale ed orizzontale al federalismo fiscale e poi, soprattutto, il Senato quale organo della rappresentanza territoriale provvisto di competenze ben definite in ordine al suo nuovo ruolo.

Tre anni dopo, quindi nel 1997, anche la terza Commissione bicamerale per le riforme costituzionali (Commissione D'Alema) predispose un progetto di riforma costituzionale a tendenza federale: il quale prevedeva un'accentuata competenza legislativa delle regioni, insieme ad una larga autonomia in capo alle stesse, ma si dimenticava di progettare un Senato che fosse camera rappresentativa delle autonomie territoriali.

Fallita la bicamerale per le riforme, il presidente della stessa divenuto successivamente presidente del Consiglio dei Ministri presentò, nel 1999, di concerto con l'allora ministro per le riforme Amato, un disegno di legge costituzionale sullo “Ordinamento Federale della Repubblica”.

Sarà questo il testo dal quale, sia pure con diversi emendamenti, uscirà la legge costituzionale n.3 del 2001, che ha modificato il titolo Quinto della Costituzione.

Questa legge costituzionale è stata preceduta dal alcuni “fermenti federalistici”: le leggi Bassanini del 1997, che nel potenziare le competenze amministrative a favore degli Enti Locali e regionali hanno provato ad introdurre il federalismo a Costituzione invariata e poi, soprattutto, la legge costituzionale n.1 del 1999 sull'elezione diretta dei presidenti di Regione e sull'autonomia statutaria delle Regioni stesse, che è in gran parte debitrice della legge n.81 del 1993, che aveva introdotto l'elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia.

La riforma del titolo V della Costituzione

Le modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione (dall'articolo 114 all'articolo 132) che sono state votate ed approvate da una stretta maggioranza parlamentare e poi legittimate col voto referendario, e quindi divenute legge costituzionale n.3 del 2001, hanno senz'altro aperto un nuovo scenario su quella che si usa chiamare la forma dello Stato italiana (anche se sarebbe più corretto parlare di tipo di Stato).

Si è trattato della prima grande riforma costituzionale, perché ha innovato significativamente un'intera parte della Corte Costituzionale, dedicata ai rapporti tra Centro e Periferia.

E la si può ritenere, per certi versi, consequenziale alla riforma già varata, con legge costituzionale n.1 del 1999, sull'elezione diretta dei Presidenti di Regione e sull'autonomia statutaria delle Regioni stesse.

In tal modo, infatti, si è provveduto a completare il quadro costituzionale inerente alle autonomie territoriali, attribuendo alle stesse una serie di prerogative e poteri non più subordinati alla volontà statale.

Il limite più evidente della riforma del titolo V, approvato attraverso la legge costituzionale 3/2001, fu comunque quello di non aver previsto una seconda Camera rappresentativa delle sole autonomie territoriali, una Camera delle Regioni, per intenderci, in grado di coagulare gli interessi territoriali, all'interno di un unico organo decisionale.

Non poteva certo essere considerata sufficiente l'integrazione con rappresentanti regionali e delle autonomie locali della Commissione Parlamentare per le questioni regionali, prevista dall'articolo 11 della legge costituzionale, e la diversa maggioranza richiesta per l'approvazione di leggi nel caso di parere contrario, o condizionato della Commissione integrata.

Va comunque detto che la nuova normativa ha aperto spazi nei riguardi di una prospettiva dinamica che richiedeva, da parte delle Regioni, una rapida capacità di sfruttamento, come l'autonomia statutaria.

Vediamo, comunque, gli elementi di maggior rilievo di quella riforma.

Innanzitutto, il nuovo articolo 114 della Costituzione mette tutti sullo stesso piano: Stato, Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane costituiscono la Repubblica.

Si tratta di un impianto geo-istituzionale orizzontale, non più verticale, con al centro Roma capitale della Repubblica.

La parte più significativa della norma è quella prevista dal primo comma che così recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalla Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.

Su questo punto vanno esposte alcune considerazioni:

a) da un punto di vista politico l'equiparazione formale dello Stato con gli Enti Locali ha sicuramente provocato una valorizzazione di questi ultimi, sottraendoli alla tradizionale impostazione e concezione della subordinazione costituzionale delle periferie verso il centro.

Da un punto di vista costituzionale si possono, su questo punto, avanzare alcune riserve soprattutto al riguardo della possibile violazione dell'articolo 5 e che si riferisce alla “unità ed indivisibilità della Repubblica”. Con l'articolo 114, invece, lo stato diventa una sorta di condominio in cui convivono cinque entità politiche pariordinate e giustapposte non aventi più un riferimento unitario. Sarebbe stato diverso, invece, se il legislatore costituzionale avesse predisposto una formula del tipo” L'ordinamento federale della Repubblica si articola nei Comuni, nelle Città metropolitane, nelle Province, nelle Regioni e nello Stato”. In tal caso si sarebbe, opportunamente, accentuato il fenomeno distributivo, ovvero dell'articolazione territoriale della Repubblica Italiana.;

b) la concezione orizzontale emerge, altresì, seppure in maniera non perfettamente asimmetrica nell'articolo 117: laddove, cioè, si fissano quelle che sono le materie sulle quali lo Stato ha legislazione esclusiva, lasciando in tal modo, alla potestà legislativa regionale tutte le competenze residuali.

Le materie riservate allo Stato sono, comunque, molte e vanno ad incidere anche su tematiche che, forse, potevano essere lasciate all'organizzazione regionale. Come, per esempio, l'ambiente e la legislazione elettorale e gli organi di governo di Comuni, Province, Città Metropolitane.;

c) L'articolo 118 ha introdotto il principio di “sussidiarietà”, destinato a diventare sempre più il concetto – guida sia dei rapporti in senso orizzontale pubblico – privato, sia dei rapporti in senso verticale centro – periferia. Sull'articolo 118 si era poi accesa una polemica per l'assenza del concetto di “interesse nazionale”, in parte poi fatto rivivere attraverso la formula costituzionale delle “esigenze unitarie” (in particolare si veda la sentenza della Corte Costituzionale n.303 del 2003);

d) Un altro aspetto da evidenziare riguarda la messa in moto, attraverso la riforma del titolo V della Costituzione, di una sorta di “regionalismo differenziato”, volto ad esaltare e valorizzare le potenzialità intrinseche di ciascuna regione, senza rispondere però all'interrogativo riguardante la validità del permanere delle cinque Regioni a statuto speciale, considerata l'evoluzione storico – politica – costituzionale. L'articolo 116 recitava, comunque,che: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni”, secondo criteri prestabiliti, quasi a porsi in una condizione di iniziale e progressivo percorso, verso il riconoscimento delle forme e delle condizioni di specialità comuni a tutte le Regioni.

Dopo l'approvazione della legge costituzionale n.3 del 2001 si è posto il problema di far “gestire” la riforma del Titolo V alle forze politiche che, all'epoca, della sua approvazione si trovavano all'opposizione.

In tal senso si è proceduto all'approvazione della legge n.131 del 2003, intitolata “ Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 Ottobre 201, n.3”.

La devolution vera e propria

La prima fase parlamentare del progetto di “devolution” si colloca nel febbraio 2002.
Un progetto di legge costituzionale, scarno, di un solo articolo, trasmesso in Parlamento ma di fatto mai giunto alla reale discussione parlamentare.

Seguì il progetto di legge dell'11 Aprile 2003 dal Governo: testo più organico del precedente, con la completa riscrittura dell'articolo 117 e la scomparsa della competenza legislativa concorrente; successivamente va ricordato il progetto deliberato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri sulla composizione e il funzionamento della Corte Costituzionale, sino ad arrivare al progetto definitivamente approvato lo scorso 16 Novembre, di cui esamineremo i passaggi più particolari.

Esaminiamo, allora, i punti di maggiore novità, rispetto alla riforma del Titolo V su cui ci siamo soffermati.

Una delle prime novità riguarda proprio la modifica della formulazione dell'articolo 114 del Titolo V, appena riformato: da “Regioni, Province, Comuni” si è passati ad una locuzione che inserisce anche le Città metropolitane.

La nuova rubrica recita, infatti: “Comuni, Province, Città metropolitane e Stato”: segnale del maggiore ruolo che il legislatore intende attribuire alle Città Metropolitane: novità che riguarda anche altre norme del Titolo.

Da non trascurare anche l'inversione che si è inteso apportare; non ci si limita ad elencare le Autonomie Territoriali e locali, ma la rubrica del Titolo inserisce tutti i soggetti costituenti la Repubblica, quelli elencati nell'articolo 114.

Anche in questo caso altra novità: si chiarisce e si sostanzia nella norma di apertura del Titolo che i soggetti costituenti la Repubblica, cioè i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano le loro funzioni, secondo il principio di leale collaborazione e quello di sussidiarietà.

I due principi, già costituzionalizzati in altre norme della Carta Fondamentale, sono stati probabilmente ribaditi ed evidenziati dal legislatore costituente forse proprio per la necessità di raccordare le nuove e importanti “devoluzioni” e “attribuzioni”, con un ordine giuridico che, comunque, sempre possa garantire il rispetto dell'unità dell'ordinamento.

Apparentemente schizofrenica è apparsa la nuova riscrittura dell'articolo 117, per le parti concernenti l'attribuzione delle competenze legislative.

Sono state, infatti, introdotte novità riguardanti anche la riattribuzione allo Stato di alcune materie che con la Riforma del titolo V del 2001 (legge costituzionale 3/2001) erano state iscritte nella competenza concorrente Stato – Regioni: energia, ordinamento delle comunicazioni, professioni intellettuali, ordinamento sportivo, grandi reti strategiche di trasporto e navigazione, tutela della salute, sicurezza, qualità alimentare.

Nello stesso tempo sono entrati nell'ambito della devoluzione alcuni settori come l'organizzazione e l'assistenza sanitaria, l'organizzazione scolastica, la definizione dei programmi di interesse regionale e la polizia amministrativa regionale e locale.

Le materie delle politiche alla persona, dalla tutela della salute alle politiche sociali all'istruzione costituiscono senz'altro quelle maggiormente interessate dal progetto di riforma costituzionale.

Il riaccentramento non ha riguardato solo materie già assegnate alla competenza regionale, o interessate alla riforma del 2001.

Si pensi a quanto introdotto alla lettera a) del primo comma dell'articolo 117.

L'inserimento allo Stato della competenza per la “Promozione internazionale del sistema economico e produttivo” destinata, evidentemente, a incidere su molte aree delle politiche regionali, dal turismo al commercio, alla promozione stessa del territorio regionale.

Come si verrebbero a collocare con questa norma tutti gli interventi che oggi le Regioni fanno per la promozione del territorio e del suo assetto produttivo?

Peraltro anche la tecnica legislativa usata per la riallocazione delle competenze in capo allo Stato come molta parte della dottrina ha avuto modo di evidenziare, non aiuterà nella risoluzione dei conflitti, ma anzi creerà probabilmente nuove discussioni e conflittualità.

Come si potrà distinguere il carattere “regionale” dell'energia? O degli Istituti di credito e dell'ordinamento sportivo? Quale sarà il criterio ispiratore e come risolvere i casi di funzioni e ambiti di intervento di più Regioni non ascrivibili al carattere nazionale delle competenze?

Si pensi, ad esempio, alla materia dell'Istruzione che si troverebbe oggi in ben quattro e diverse norme della carta costituzionale, in parte esclusiva statale, in parte concorrente e in parte esclusiva regionale.

Occorre, dunque, la definizione di nuovi strumenti più efficaci, per l'attuazione del principio di leale collaborazione.

Solo con questi si potrà realmente tentare un approccio sistematico alle riforme costituzionali e alla loro attuazione.

Questa esigenza, avvertita dalle Regioni e dagli Enti Locali costituisce “un tema prioritario su cui concentrare un progetto di lavoro comune tra le istituzioni della Repubblica”.

Il Senato federale

Altro aspetto di rilievo che la Riforma introduce è l'istituzione del Senato Federale della Repubblica.

La modifica dell'articolo 57 della Costituzione, introdotta con un emendamento della maggioranza di governo nel 2004, ha apportato due sostanziali novità:la contestualità forte tra elezione del Senato Federale ed elezioni regionali e la previsione di un ingresso anche per i rappresentanti di Regioni, Comuni, Province.

La prima modifica tende a stringere quel legame, tra il costituendo Senato Federale e i territori che in esso dovrebbero essere rappresentati.

In questi termini, l'ipotesi della contestualità delle elezioni del Senato Federale con quelle per l'elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio Regionale garantisce la sinergia tra tempi, logiche e dinamiche tra Senato ed istanze regionali, da un lato e dinamiche tra Camera e Governo dall'altro.

Quello che sarà necessario chiarire è che la contestualità opera anche per l'ipotesi di scioglimento del Consiglio Regionale.

In quell'ipotesi verrebbero a decadere, quindi, anche i senatori eletti nel territorio regionale cui il Consiglio appartiene.

Occorre, pertanto, legare la vita del Senato federale a quella delle Regioni.

Questo consentirebbe di evitare la sovrapposizione tra le elezioni della Camera e del Governo nazionale con quella del Senato federale e delle Regioni; una sovrapposizione che certamente potrebbe creare solo confusione tra gli elettori, combinando logiche del circuito nazionale con quelle specifiche dei territori.

Altra questione riguarda la composizione del Senato Federale.

Il testo prevede una elezione diretta di 252 senatori su base regionale, eletti contestualmente all'elezione del rispettivo consiglio regionale e una presenza di rappresentanti regionali e degli Enti Locali senza diritto di voto (ultimo comma dell'articolo 3 della Riforma).

La nomina dei rappresentanti degli Enti Locali è competenza del Consiglio delle Autonomie Locali, istituito in ogni singola regione.

Rimane ferma la disposizione che caratterizza questa partecipazione come esclusivamente consultiva, senza alcun potere di voto e partecipazione ai meccanismi decisionali.

La conferenza Stato – Regioni

Altro punto importante della Riforma è la riscrittura dell'articolo 118 della Costituzione, nella quale assume maggior rilievo la costituzionalizzazione della Conferenza Stato – Regioni.

Il comma 3 dell'articolo 118 riformulato, prevede, infatti che una legge approvata con procedura bicamerale istituisca la Conferenza Stato – Regioni, conferenza tesa alla realizzazione del principio di leale collaborazione e alla stipula di accordi ed intese.

La norma prevede, altresì, la possibilità per il legislatore di istituire altre Conferenze tra i soggetti di cui all'articolo 114 della Costituzione.

La scelta operata è stata quella di privilegiare e, quindi, attribuire carattere costituzionale alla conferenza, come luogo di confronto tra gli organi dotati di poteri legislativi: lo Stato e le Regioni.

La previsione di un coinvolgimento e di un confronto con gli Enti Locali è comunque garantita dalla possibilità di costituire ulteriori conferenze come sedi di concertazione.

Una curiosità è rappresentata dal fatto che queste “ulteriori” conferenze siano composte dai soggetti di cui all'articolo 114.

Ciò escluderebbe le Comunità Montane, non previste nella disposizione, ma che oggi invece sono parti attive e integranti della Conferenza Unificata e della Conferenza Stato – Città.

Le norme sulla sussidiarietà orizzontale

Riscritta anche la norma relativa alla sussidiarietà orizzontale.

E' stato introdotto, infatti, l'inciso che consente agli Enti locali di favorire gli interventi dei singoli cittadini, anche attraverso l'utilizzo di idonee misure fiscali.

Agli Enti Locali è, inoltre, attribuita competenza sugli Enti di autonomia funzionale, sulla base di una legge statale di principio.

In questo caso si profila, come detto, una vera e propria riserva statale anche sulla parte che ha sempre riguardato le Regioni o le autonome competenze degli Enti Locali.

La formulazione adottata nel comma 2 dell'articolo 120, infatti, risulta essere di così ampia portata, tale da profilare un potere sostitutivo omnibus.

Il comma recita: “ Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle Città Metropolitane e ai Comuni nella funzioni loro attribuite ai sensi degli articoli 117 e 118.

Non allevia la portata della “invadenza” statale, su questo punto, l'inciso introdotto alla fine del periodo che prevede che l'intervento statale avvenga secondo il principio di leale collaborazione e solidarietà.

Strettamente collegata a questa norma anche la nuova previsione dell'interesse nazionale, nell'articolo 127.

La disposizione stabilisce che, nel caso in cui il Governo ritenga che una legge regionale violi l'interesse nazionale della Repubblica, possa invitare la Regione alla rimozione delle norme illegittime.

Se questa non ottemperi nel termine di quindici giorni la questione viene attribuita alla competenza del Parlamento che, se ne ravvisa l'illegittimità, annulla la legge.

Il decreto è emanato dal Presidente della Repubblica.

L'attribuzione al Parlamento ed al Governo della decisione dell'annullamento è stata oggetto di accesa discussione.

Da più parti, infatti, si era invece proposta la competenza dello stesso Presidente della Repubblica in prima persona o della Corte Costituzionale.

Sotto certi aspetti, però, la scelta pare più coerente nella considerazione che si sarebbe attribuito al Presidente della Repubblica o alla Corte Costituzionale un carattere politico di decisione, che non sta invece nella loro natura.

Ulteriori elementi di novità per il sistema delle Autonomie Locali

Elenchiamo, inoltre, gli altri principali elementi di novità che la legge di riforma costituzionale prevede al riguardo del sistema delle Autonomie Locali.

La prima novità, per ordine di importanza è la possibilità riconosciuta agli Enti Locali di adire la Corte Costituzionale qualora ritengano che una legge regionale o statale leda le competenze loro attribuite.

La definizione delle procedure per la legittimazione attiva, da parte degli Enti Locali è rimandata ad una legge costituzionale che dovrà stabilire tempi, forme e condizioni della preposizione dei ricorsi.

Sotto questo aspetto l'intento del Governo, dichiarato più volte, era quello di risolvere ed azzerare il forte contenzioso costituzionale, ma senza l'introduzione di un meccanismo di opportuni filtri per la proposizione dei ricorsi, il rischio è quello di moltiplicarlo all'infinito.

Una seconda novità riguarda, poi, il vincolo del secondo mandato per i Presidenti delle Giunte regionali, all'ultimo comma dell'articolo 122.

L'articolo 129 stabilisce, all'ultimo comma, la possibilità per i Senatori del Senato Federale di essere auditi ogni volta che lo richiedano dal Consiglio della Regione, ovvero della Provincia Autonoma, dove sono stati eletti.

Fin qui le norme contenute nella Riforma Costituzionale che interessano la Devolution ed il Sistema delle Autonomie Locali.

In conclusione riportiamo, schematicamente, gli altri punti fondamentali sui quali si intende riscrivere la parte II del nostro dettato costituzionale, riassumendo anche in sintesi quanto già sopraesposto.

Parlamento

Il nuovo Parlamento sarà composto dalla Camera dei Deputati e dal Senato Federale della Repubblica.

Scende a 518 il numero dei deputati, 18 dei quali saranno eletti nella circoscrizione riservata agli italiani all'estero.

Viene introdotta una nuova figura, quella dei “deputati a vita”.

Saranno tre, di nomina presidenziale, otre agli ex Capi dello Stato.

Cambia anche l'età minima per essere eletti deputati alla Camera, non più ben 25 anni come nella vigente Costituzione, bensì 21.

Senato Federale

Palazzo Madama sarà composto da 252 senatori, più 42 rappresentati delle Autonomie Locali e della Province Autonome di Trento e Bolzano, senza diritto di voto.

L'età minima richiesta per essere eletti passa dagli attuali 40 anni a 25.

Avrà nuove competenze: si occuperà delle leggi che riguardano le competenze comuni tra Stato e Regioni.

Il Senato Federale non avrà potere di sfiduciare il Premier: potere che resta, anche se con nuove regole, esclusivo della Camera dei Deputati.

L'Iter delle leggi

La Camera esamina le leggi riguardanti le materie riservate allo Stato.

Il Senato può chiederle di riesaminarle ( serve una richiesta di due quinti dei senatori), quindi la legge torna alla Camera, che decide in via definitiva.

Il Senato esamina le leggi riguardanti le materie riservate sia allo Stato, sia alle Regioni, ma anche le leggi di bilancio e la finanziaria.

Scompare la “spola” di un provvedimento che passa di Montecitorio a Palazzo Madama e viceversa, fin quando non si arriva all'approvazione di un identico testo.

Se la Camera e il Senato non approvano una legge nel medesimo testo, i due rami del Parlamento convocano una commissione composta da trenta deputati e trenta senatori, che dovrà elaborare un nuovo testo da sottoporre al voto delle Assemblee.

Presidente della Repubblica

Cambia anche l'età minima per accedere al Quirinale: quarant'anni rispetto ai cinquanta previsti dalla vigente legge.

Se da una parte, il Presidente della Repubblica, acquista nuovi poteri, dall'altra perde il potere di autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo, di scegliere il premier e di sciogliere il Parlamento.

La Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale sarà composta da 15 giudici, nominati da:
- 4 dal Presidente della Repubblica;
- 4 dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative;
- 3 dalla Camera dei Deputati;
- 4 dal Senato Federale della Repubblica, integrato dai Governatori.

E' previsto che, concluso il mandato, nei successivi tre anni non si possano avere incarichi di governo, cariche pubbliche elettive o di nomina governativa o funzioni in organi e enti pubblici, individuati dalla legge.

Primo Ministro

Diventa più forte il Premier, lo dimostrano sia il tipo di elezione, sia i poteri di cui dispone.

Sarà eletto con elezione diretta ed una volta nominato dal Presidente della Repubblica, non avrà bisogno della fiducia per insediarsi.

Tra i suoi poteri quello di nomina e revoca dei ministri e quello di scioglimento delle Camere.

Il primo ministro determina la politica generale del Governo e ne garantisce l'indirizzo politico – amministrativo.

Devolution

Le Regioni avranno potestà legislativa esclusiva su assistenza ed organizzazione sanitaria; organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salvo l'autonomia delle istituzioni scolastiche; definizione della parte dei piani scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; polizia amministrativa regionale e locale; ogni altra materia non espressamente riservata alle leggi dello Stato.

Federalismo Fiscale

Il federalismo fiscale introduce due concetti chiave:

- vengono fissati dei limiti per cui, in nessun caso, l'attribuzione della autonomia impositiva alle Regioni, alle Province, alle Città Metropolitane e ai Comuni, può determinare un incremento nella pressione fiscale complessiva;

- viene inserito il concetto di sussidiarietà fiscale, ovvero il cittadino su alcune spese, come ad esempio quelle per il mantenimento dei figli, invece di pagare le tasse e poi richiedere il rimborso a livello regionale, può detrarle direttamente dalla dichiarazione dei redditi.

Roma

La capitale dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche per le materie di competenza regionale, nei limiti e nelle modalità stabilite dalla Regione Lazio.

Referendum

Il referendum confermativo, diversamente da oggi, sarà possibile anche se la legge costituzionale è stata approvata in Parlamento con la maggioranza dei due terzi.

Qualora la legge passasse senza i due terzi, il referendum risulterà valido se voterà la metà più uno degli aventi diritto.

Savona, li 4 Dicembre 2005

Franco Astengo

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