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Pro mutuo mori

Pro mutuo mori

(19 Settembre 2009) Enzo Apicella
In un attentato a Kabul, sono colpiti due blindati italiani, uccidendo 6 parà della Folgore

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    Newsletter Osservatorio Iraq 20/2006

    18 dicembre 2005 -3 gennaio 2006

    (4 Gennaio 2006)

    Anche se secondo la Legge amministrativa di transizione (TAL) il nuovo governo uscito dalle elezioni del 15 dicembre si sarebbe dovuto insediare entro il 31 dicembre, la sua formazione è ancora lontana.

    I risultati elettorali non sono ancora stati resi noti, poiché le oltre 1500 denuncie di irregolarità impediscono di arrivare ad una proclamazione definitiva.

    Secondo gli osservatori, e persino il rappresentante delle Nazioni Unite, tutto rientrerebbe comunque nella normalità, ma una nuova missione internazionale è stata incaricata di verificare le accuse, che arrivano dai gruppi che sono stati penalizzati secondo i risultati provvisori.

    Non ci dovrebbero in ogni caso essere sostanziali cambiamenti in quello che sembra emergere dalle urne, e cioè un paese spaccato che ha votato, nel migliore dei casi, seguendo l’appartenenza etnica quando non religiosa.

    Uno scacco per George Bush, che si ritroverà un parlamento, come scrive Delphine Minoui “ le cui idee sono talvolta più vicine a quelle di Teheran - inserito nell'asse del male dal presidente americano - che a quelle di Washington”.

    Il risultato elettorale, per parziale che sia, mostra quanta differenza c’è tra le prospettive iniziali degli Stati Uniti e il risultato finale della loro guerra. Lo stesso generale Peter Pace, Capo degli Stati Maggiori riuniti, la più alta carica militare dopo il “comandante in capo” George W. Bush, ammette che “gli iracheni stessi preferiscono che le forze multinazionali lascino il loro paese il prima possibile (…) Non vogliono che partiamo domani, ma vogliono che partiamo il prima possibile".

    Anche la Gran Bretagna, il maggiore alleato, scopre poco a poco lo scarso gradimento: è di nuovo un alto ufficiale ad ammetterlo, il tenente colonnello James Hopkinson, comandante militare britannico a Bassora. Che dice alla BBC : “Più a lungo rimarremo qui, più difficile diventerà, in particolare mentre ci avviciniamo alle elezioni nazionali … Siamo ospiti, e dobbiamo fare molta attenzione a non trattenerci più del necessario”.

    In attesa che venga “completato” l’addestramento delle forze di sicurezza irachene, diventa necessaria una strategia politica finora rifiutata, quella del coinvolgimento delle forze politiche sunnite, anche se questo significa ammettere, per George W. Bush, che la rotta scelta era quella sbagliata. Forse per questo motivo le trattative restano segrete, e sono affidate in particolare all’ambasciatore Usa in Iraq Zalmay Khalilzad, e ad opportune campagne stampa.

    Sullo sfondo, oltre la strategia politica, resta quella economica, non meno importante, e anch’essa non ancora compiuta. Il petrolio iracheno non raggiunge la produzione sperata, e per le società petrolifere Usa i veri profitti sono ancora lontani.

    Le dimissioni dell’attuale ministro e l’interim del dicastero ad Ahmed Chalabi, ex protetto caduto in disgrazia e poi recuperato degli Usa, potrebbero aprire nuovi canali favorevoli agli statunitensi. Ma dovranno fare i conti con la forte opposizione della popolazione, che già si è manifestata in maniera evidente all’annuncio dell’aumento dei prezzi dei carburanti, e che sarà sicuramente molto più forte se venisse avviata la privatizzazione prevista in tutti i settori dell’economia.

    Già i lavoratori del petrolio del sud dell’Iraq, uniti in sindacato, hanno mostrato, nei mesi scorsi, di voler “prendere in mano il loro destino”: ma contro di loro, come contro molta parte della sinistra irachena, si scagliano proprio i gruppi fortemente religiosi, con omicidi e rapimenti. Questo è il paradosso della fallita strategia americana in Iraq.

    Un ponte per...

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