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Ecco perchè ha vinto Hamas

(2 Febbraio 2006)

La travolgente vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi era da lungo tempo annunciata. E’ un terremoto politico ed una trasformazione, per ora nella massima legalità, del Movimento di Liberazione della Palestina. L’Olp non è più l’unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese. Hamas, che non ha mai fatto parte dell’Olp, è stato eletto democraticamente dalla popolazione palestinese residente nei territori ancora occupati militarmente da Israele, e ora dovrà governare e fare i conti con la complicata vicenda della gestione quotidiana. Hamas, movimento politico religioso, ha sempre trattato da traditori i firmatari dell’accordo di Oslo ed ha praticato, in questi anni, una politica di servizi sociali e di aiuti economici alla popolazione conducendo nello stesso tempo una resistenza armata che ha avuto negli attentati suicidi contro i civili israeliani la più tragica espressione.

Le motivazioni dello stravolgente successo di Hamas sono molteplici, esterne e interne alla Palestina. La comunità internazionale si è meravigliata, ed ha minacciato di tagliare i fondi al nuovo governo palestinese. Hamas è nella lista stilata dagli Usa ed accettata dall’Unione Europea delle organizzazioni considerate terroriste. Ma questa minaccia fatta prima e dopo i risultati delle elezioni ha solo il potere di rafforzare Hamas, perché i palestinesi hanno capito in questi anni e lo hanno ripetuto molte volte soprattutto agli Europei -che non mancano mai di far pesare la loro generosità- che è di una soluzione politica che hanno bisogno, che non ne possono più di vivere alla mercé dell’esercito israeliano e chiedono di avere un po’ di giustizia e di poter vivere in libertà e con dignità nella loro terra. I giovani di Gaza che sventolavano bandiere verdi, gialle, rosse, a noi, osservatori elettorali, lo dicevano sorridendo: vogliamo essere liberi, vogliamo l’indipendenza.

La Comunità Internazionale ha la massima responsabilità nel non avere voluto/saputo risolvere il conflitto e dare così spazio a forze religiose. Sempre più spesso ci si chiede se tutto ciò non sia voluto, basta vedere i risultati delle politiche cosiddette occidentali a partire dalla Ex Yugoslavia alla prima guerra del Golfo e alla dichiarazione di Bush sullo scontro di civiltà. Nazionalismi e identità religiose ortodosse si sono affermate contro la visione laica e secolare della politica e degli Stati. Nella situazione specifica del conflitto Israelo-palestinese, nessuno ha fatto pressioni sufficienti per fare applicare da Israele gli accordi firmati con l’Olp nel lontano 1993, né tantomeno le risoluzioni dell’Assemblea e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’assassinio di Rabin da parte di un fondamentalista ebreo e la successiva vittoria di Netanyahu sono state il segnale della deriva del processo di pace e degli accordi di Oslo a cui non si è voluto dare ascolto.

E’ fin dalle prime violazioni degli accordi da parte del governo israeliano che molti dirigenti palestinesi, tra i quali lo stesso Arafat ma ancor più Faisal Husseini, leader amato e rispettato da tutti i palestinesi, ogni volta che incontravano leader europei lanciavano un appello: "Non lasciateci soli a negoziare con il governo israeliano, loro sono forti e noi deboli, loro occupano le nostre terre militarmente. Noi abbiamo messo nel cassetto i nostri sogni, quello di abitare la Palestina storica, dove, prima della dichiarazione di Balfour, ebrei, cristiani, musulmani, vivevano insieme. Il 15 Novembre del 1988 abbiamo sancito di volere uno stato in coesistenza con lo stato d’Israele, non sui confini della spartizione dell’Onu del '47, ma sui confini delle terre occupate nel 1967, il 22% della storica Palestina. Fate in modo che la sfida che noi abbiamo accettato possa dare dei risultati, fate pressione su Israele affinché porti avanti il ritiro dai territori. Se continua in questo modo, se Israele continua ad occupare e confiscare le nostre terre, se aumenta la presenza dei coloni, se aumentano i check point e la separazione dei palestinesi dentro enclaves, noi non avremo la pace, ma la sconfitta dell’autorità palestinese e le forze che verranno al potere saranno fondamentalisti religiosi, non partiti secolari come quelli che noi rappresentiamo".

Faisal Husseini, la cui improvvisa morte è stata una perdita di grande peso per il popolo palestinese, era molto più esplicito di Arafat. Ricordo che in una conversazione con altri parlamentari europei, disse, ed eravamo agli inizi del 2001, che l’Europa doveva fermare Sharon e il suo piano di distruzione dell’Autorità Palestinese perché se ci fosse riuscito Hamas avrebbe preso il potere e lui non voleva che sua figlia un giorno fosse costretta a portare il velo o che lui stesso perdesse i suoi diritti individuali.

Oggi la grande minaccia è realtà. Hamas ha vinto le elezioni che si sono svolte, da parte palestinese, nella massima correttezza procedurale e senza violenze, come del resto le altre elezioni nazionali: quelle del '96 che hanno sancito la nascita di un Consiglio legislativo palestinese secondo gli accordi di Oslo, ma non uno Stato Palestinese e quelle che hanno scelto Mahmoud Abbas presidente. In quelle elezioni e in queste odierne, gli osservatori internazionali hanno potuto apprezzare oltre che la forte presenza delle donne, la competenza e l’organizzazione dei seggi elettorali e le stesse campagne elettorali portate avanti con comportamenti da fare invidia sicuramente a noi italiani. Niente brogli. Intimidazioni e boicottaggio sono invece venuti da parte israeliana, arresti di candidati, impedimento a muoversi e a fare campagna elettorale, non solo a Gerusalemme est ma tra un paese e l’altro dei territori, assassinii mirati, come a Gaza il giorno 23 due giorni prima del voto, uccidendo un militante del Fronte Popolare che guarda caso è diventato il terzo gruppo politico dopo Hamas e Fatah nelle liste nazionali. E i palestinesi non finiscono mai di sorprendere. In queste elezioni persino la plateale violazione di una norma della legge elettorale, che proibisce il giorno delle elezioni di essere davanti ai seggi a fare propaganda per candidati o a esporre i simboli o bandiere, veniva vissuta e spiegata come un espressione della democrazia e della volontà unitaria del popolo palestinese a fare delle elezioni un vero processo democratico. "Vedi – mi dicevano- guarda, io ho il cappello di Hamas e la bandiera verde, accanto a me c’è Fatah con la sua bandiera gialla e la bandiera palestinese, accanto a Fatah, c’è la bandiera rossa del Fronte Popolare e poi tutti gli altri che distribuiscono indicazioni di voto. Siamo qui insieme senza nessuna tensione, stiamo festeggiando le nostre elezioni".

Ora Hamas ha vinto e dovrà governare, i suoi dirigenti non vogliono farlo da soli, hanno chiesto di farlo con il tanto odiato Fatah e altri. Mahomoud Zahhar, quando lo abbiamo incontrato a Gaza la sera prima del voto, era stato molto diretto: "nella nostra lista a Gaza appoggiamo tre indipendenti, uno di loro cristiano, siamo per il pluralismo. Non riconosceremo Israele fino a quando Israele non riconoscerà noi, possiamo continuare il cessate il fuoco, lo stiamo rispettando fin da quando abbiamo fatto l’accordo con Mahoumud Abbas nel 2004, lo abbiamo fatto malgrado gli assassini mirati, ma il governo Israeliano deve cessare gli attacchi contro la nostra popolazione, smetterla di bombardarci e di ucciderci. La gente voterà per noi perché in questi anni siamo stati tra di loro, abbiamo fatto scuole, ospedali, abbiamo aiutato la popolazione, mentre i leader di Al Fatah si arricchivano e la corruzione diventava sistema".

La corruzione, è diventata la parola magica e demagogica, dietro la quale si nascondono le responsabilità reali. Indubbiamente esiste, ma non è vero che tutti sono corrotti e tutti si sono arricchiti. Ed è vero che anche dall’interno di Al Fatah sono venute le prime critiche. Dire che in questi anni non è stato fatto nulla e i soldi sono stati intascati dai veri leader è chiaramente un falso. Gli aiuti dell’Unione Europea secondo le indagini volute dal Parlamento Europeo e condotte dall’Olaf sono stati usati per la realizzazione dei progetti per i quali i fondi erano stati designati.

Dalla provocazione di Ariel Sharon sulla spianata delle Moschee, e con gli attacchi militari israeliani ben 330 milioni di euro impiegati nelle diverse infrastrutture palestinesi sono stati distrutti dagli attacchi israeliani. Le enormi spese per le forze di sicurezza sono state volute dalla Comunità Internazionale e dal bisogno di trovare una collocazione alle migliaia di giovani che hanno partecipato alla lotta di liberazione nazionale.

La politica di Sharon, ma anche di Barak e Peres è stata quella di fare tabula rasa dell’Autorità Palestinese, prima con Arafat e poi con Mahoumud Abbas, sia quando formò il governo dal quale si dimise che da Presidente. "Non ci sono partner per la pace", hanno continuato a ripetere, mentre costruivano il Muro di annessione territoriale, definendo in modo unilaterale, come ha ribadito il nuovo leader del Kadima, Ehud Olmert nella recente conferenza di Hertzilya i confini israeliani, "che tengono conto della demografia".

Nessuna responsabilità di Al Fatah quindi? No, indubbiamente enormi. In primo luogo il fatto di credersi unici e insostituibili, senza rendersi conto del distacco che il loro modo di gestire il potere creava con la popolazione e con gli stessi aderenti di Al Fatah, molti dei quali hanno votato Hamas. Non si sono mai affrontati seriamente i problemi che emergevano tra una direzione pur sempre palestinese che tornava in Palestina dopo aver pagato per la scelta di lotta l’esilio, ma che assumeva il potere nella diffidenza di chi aveva vissuto sotto l’occupazione militare israeliana dall’interno dei territori. La popolazione palestinese non è mai stata chiamata a partecipare in modo continuo alle scelte difficili che si sono dovute fare. Anche Arafat si rivolgeva alla popolazione per ribadire le grandi affermazioni di principio, ma senza dare responsabilità e coinvolgere la popolazione nella costruzione quotidiana di uno stato che ancora non c’è. Abuso di potere, nepotismo, corruzione hanno fatto la loro parte insieme al fallimento del processo di pace, che Israele ha definitivamente bloccato con la decisione del ritiro unilaterale da Gaza. Altra illusione ben presto franata dal controllo israeliano, malgrado la presenza europea a Rafah e dell’inviato speciale Wolfhenson, sulla mobilità delle merci e delle persone e sull’aumento dei coloni nella Cisgiordania. Il giorno dopo le elezioni a Gaza nel check point delle merci, tonnellate di pomodori sono andati distrutti.

Oggi Fatah deve fare i conti con una sconfitta e finirla con l’occupazione del potere. Finora, forse ha giocato la sorpresa e lo shock, la reazione è stata quella di un normale paese democratico. Fatah dice di essere pronto ai passaggi di potere in modo pacifico e di riconoscere la volontà espressa dalle urne. Il presidente Abbas non intende rassegnare le dimissioni, del resto non richieste da Hamas, e, nel suo discorso ha ribadito la scelta della pace e del negoziato e di voler mantenere i poteri che gli sono conferiti dalla legge, tra l’altro la direzione delle forze di sicurezza. Ed è proprio da parte dei servizi di sicurezza che viene la protesta più forte, anche Dahlan ora parlamentare eletto a Khan Yunis, ha dichiarato minacciosamente che le forze di sicurezza non devono essere toccate. Quando alcuni delle forze di sicurezza sono entrati nel Consiglio legislativo palestinese a Ramallah,

gridando contro il comitato centrale di Al Fatah e reclamandone le dimissioni, manifestavano anche contro Hamas che il giorno prima aveva innalzato la bandiera verde sul davanzale della sede del Consiglio e uno dei giovani di Al Fatah ha dichiarato che lui era entrato per rimettere al suo posto la bandiera palestinese e non quella di Hamas o di Al Fatah. Ma proprio le forze di sicurezza, con la loro tracotanza e conflitti interni sfociati in sparatorie ed uccisioni ha contribuito non poco allo scollamento della popolazione verso Fatah e al voto per Hamas.

Adesso tutti temono che Hamas licenzi migliaia di dipendenti e dirigenti pubblici sostituendo i propri aderenti a loro. E questo sarà un test importante per Hamas

Non ritengo che il voto ad Hamas, sia la scelta di un fondamentalismo religioso e dell’ islamizzazione della società palestinese, è un voto legato, più che alla religione, alle condizioni di vita, alla tragedia quotidiana dell’ occupazione militare, delle umiliazioni ai check point, della mancanza di libertà, di lavoro. E’ un voto di protesta e critica all’occupazione del potere del più grande partito dell’Olp, Al Fatah e una sfida alla comunità internazionale.

E’ stato un voto per il cambiamento di una popolazione che dagli accordi di Oslo invece di vedere la nascita di uno Stato palestinese ha visto la crescita degli insediamenti ed un'autonomia nelle sue grandi città che divide palestinesi da palestinesi, ha visto crescere un muro che annette terra allo Stato di Israele, e continua a vedere migliaia e migliaia di palestinesi nelle carceri israeliane.

Ma il pericolo di una deriva religiosa c’è ed è per questo che, la società civile palestinese, quella che abbiamo conosciuto in tutti questi anni deve uscire nuovamente allo scoperto sui diritti civili. A Qalqilya, dove peraltro ha vinto Fatah, il nuovo sindaco di Hamas ha già impedito i festival di musica che si tenevano da anni. Da queste elezioni escono malissimo le forze democratiche e laiche che pagano anche loro la separazione dalla popolazione e la tradizione di una sinistra che non riesce a trovare l’unità e un progetto comune. Chissà che anche per loro la vittoria di Hamas sia portatrice di un risveglio politico e culturale.

Inizia una nuova grande sfida: l’Unione Europea e la Comunità internazionale sono chiamate a riconoscere il legittimo governo palestinese, e fare pressioni su Hamas perché entri definitivamente nel gioco democratico, prosegua la tregua militare riconoscendo le risoluzioni delle nazioni Unite e vada al tavolo del negoziato che al momento non c'è non per volontà palestinese ma per volontà israeliana. Non si aspetti il risultato delle elezioni israeliane per fare pressioni su Israele, che palesemente viola ogni legalità internazionale, si agisca subito. Dopotutto il Likud quando vinse le elezioni nel 1977 era accusato dai laburisti di essere il partito dei terroristi delle bande dell’Irgun e dello Stern.

31 Gennaio 2006

Luisa Morgantini

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