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Acqua

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(18 Novembre 2009) Enzo Apicella
Il senato approva la privatizzazione dell'acqua.

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Privatizzazione dell’acqua: un’inversione di tendenza?

Ma la battaglia deve essere ancora vinta

(10 Febbraio 2006)

Nel mese di ottobre del 2004, Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino, nelle loro rispettive vesti istituzionali, dichiararono pubblicamente che la regione Campania e la città di Napoli avrebbero proceduto all’affidamento del servizio idrico ad una società totalmente privata.

Il successivo 23 novembre, l’Ato 2 Napoli-Volturno, che rappresenta un comprensorio di 136 comuni, approvò una delibera che prevedeva la costituzione di una società mista per azioni cui affidare la gestione del bacino idrico: una spa con capitale privato al 40% e pubblico al 60%. La stessa delibera, però, sanciva la cessione - entro il 2006 - dell’intera quota pubblica agli investitori privati. Attraverso questo sistema, insomma, si accontentavano i desiderata di Bassolino e Iervolino.

Per oltre un anno contro la svendita dell’acqua si sono susseguite mobilitazioni che, dapprima, si sono puntualmente scontrate contro il muro di gomma dei privatizzatori - Ds e Margherita in testa - fino ad ottenere, man mano che il movimento cresceva, una serie di rinvii della gara per la selezione del socio privato della costituenda società.

Sul finire del mese di ottobre 2005, a Napoli si è tenuta la “Notte Bianca” in cui era previsto uno spettacolo di Beppe Grillo. Alex Zanotelli, il missionario comboniano che da tempo sta seguendo la vicenda della privatizzazione dell’acqua napoletana e casertana, avrebbe dovuto leggere, al termine dell’esibizione del comico genovese, un comunicato del Comitato civico a difesa dell’acqua pubblica. Ma gli organizzatori della manifestazione non glielo hanno consentito, impedendo anche a Grillo di intervenire sul punto.

La pesante censura ha suscitato una vasta ed estesa disapprovazione, poiché tutti vi hanno visto l’arrogante difesa ad oltranza di un sistema di potere - il bassolinismo - che ha fra i suoi capisaldi appunto la privatizzazione dell’acqua. L’aver chiuso la bocca persino ad un prete ha costituito il punto più acuto della crisi di connessione sentimentale fra il centrosinistra napoletano e la sua gente. E qui Bassolino ha deciso che occorreva cambiare registro: rispetto alle posizioni dell’ottobre 2004 (sì alla privatizzazione ad ogni costo), il governatore è stato costretto a modificare parzialmente il tiro di fronte alla crescente dinamica di massa. Così, mentre la Direzione regionale campana dei Ds si esprimeva favorevolmente ad una gestione pubblica del servizio idrico integrato (abbandonando così la posizione in favore della privatizzazione), Bassolino, insieme all’assessore all’ambiente Luigi Nocera (Udeur) - che solo ad agosto scorso ancora dichiarava sui giornali che era impossibile gestire l’acqua senza i privati - proponeva alla Giunta regionale, che l’approvava all’unanimità, un disegno di legge per la creazione di una società regionale a capitale interamente pubblico, “Campaniacque spa”, a cui veniva conferita la titolarità delle infrastrutture del servizio idrico integrato di competenza regionale.

Non solo: con un comunicato congiunto, Bassolino, Di Palma (presidente della provincia di Napoli) e Iervolino, raccomandavano all’assemblea dell’Ato 2 di revocare la famigerata delibera 23/11/2004. E così è stato. Il 30 gennaio scorso la delibera è stata ritirata.

La manifestazione, che i comitati popolari in difesa dell’acqua pubblica avevano indetto per il giorno seguente allo scopo di impedire per l’ennesima volta lo svolgimento della gara per la scelta del socio privato nella spa costituita dall’Ato 2, si è così trasformata in un festeggiamento per la revoca del provvedimento di privatizzazione.

Due precisazioni

Può parlarsi di vittoria del movimento? In un certo senso, sì; ma è necessario fare delle precisazioni: innanzitutto, proprio dal versante del movimento.

I comitati civici per la difesa dell’acqua pubblica, espressione delle aspirazioni popolari di base, hanno avuto una dinamica spontanea di crescita impetuosa ma confusa, eterogenea, trasversale, attraversata da settori moderati (soprattutto cattolici) che non vogliono mettere in crisi il modello politico economico vigente e che, in quanto ad esso collaterali, tentano di esercitare un’egemonia contro il movimento cui partecipano assumendone la direzione in funzione di contenimento delle spinte. Quest’operazione non è riuscita appieno per la forte radicalità delle istanze espresse: basti pensare al fatto che Zanotelli non era affatto contrario ad incontrare Bassolino prima del suo mutamento d’opinione; ma è stata l’assemblea dei comitati ad impedirglielo contrapponendo alla richiesta di incontro da parte del governatore la rivendicazione della previa revoca della delibera Ato.

In Campania, i movimenti (non solo quello a difesa dell’acqua, ma anche quello contro i termovalorizzatori e contro le centrali termoelettriche) stanno crescendo in una situazione più complessiva in cui vengono alla luce i guasti del satrapismo locale (il bassolinismo a Napoli e nella regione, il deluchismo a Salerno: cioè sistemi di potere "progressisti" ma assolutamente funzionali al capitalismo locale; sistemi che si autoriproducono sfruttando, per conto dei poteri forti, tutte le occasioni di gestione del potere politico-economico che offre la presenza come maggioranza negli enti locali, attraverso consulenze esterne, partecipazione a società miste, controllo della forza lavoro espulsa dal ciclo produttivo, ecc.).

Oggi, appunto, questi sistemi mostrano delle crepe anche vistose perché sono costretti dalla crisi economica generale ad intaccare i più elementari diritti di base per consentire alla borghesia che ha su di loro investito di fare profitti oltre la “normale” soglia di sfruttamento: solo per fare alcuni esempi l’attacco all’ambiente ed alla salute, all’acqua, ecc., oggi viene percepito dalle classi subalterne in misura più grave rispetto a qualche tempo fa non perché improvvisamente è maturata una coscienza ambientalista, ma perché quelli all’ambiente, alla salute, all’acqua, sono gli “ultimi” diritti rimasti dopo che gli altri sono già stati minati dalle classi dominanti. Corrispettivamente, queste ultime sono “costrette” a portare quest’attacco in maniera più penetrante che in passato perché hanno già colpito gli altri diritti: e questo è l’unico modo per continuare a fare profitti.

In questo quadro, le aspirazioni del movimento a difesa dell’acqua sono connotate da una radicalità che ha contrastato per il momento il tentativo di egemonizzazione da parte dei settori moderati in funzione di conservazione dello status quo. Ma ciò non lo metterà al riparo, quando la situazione si sarà normalizzata, da nuove manovre di controllo per assumerne la rappresentanza.

E un’altra precisazione va fatta dal versante del sistema di potere. Sicuramente, il fronte dei privatizzatori ha dovuto, di fronte alla spinta popolare e soprattutto perché si avvicinano le elezioni, ripiegare. Tuttavia, sarebbe un grave errore ritenere una vittoria la nascita di una società regionale a capitale interamente pubblico, oppure pensare che la pubblicizzazione dell’acqua passi per la proposta di legge regionale avanzata dal gruppo consiliare del Prc.

Caro Bassolino: ccà nisciun’ è fess’!

La creazione di Campaniacque spa da parte di Bassolino è una manovra che non costituisce affatto un’inversione di tendenza, bensì una mistificazione. Intanto, si tratta pur sempre di una società per azioni e, quindi, di un soggetto di diritto privato che opera in regime di convenzione (strumento privatistico anche questo). Poi, appare più che altro un vuoto carrozzone che dovrebbe gestire le sole infrastrutture e non già la distribuzione (che resta riservata agli Ato, alcuni dei quali - come l’Ato 3 - hanno già privatizzato il servizio). Inoltre, queste infrastrutture sono oggi affidate in concessione (fino al 2017) ad un’altra spa, Acqua Campania (già Eniacqua), con quota di capitale pubblico - tramite l’Eni - pari al 50,5%. Lo scorso mese di novembre, però, sono iniziate le trattative con il gruppo Caltagirone (il maggiore azionista privato della società con il 23,7%) per la cessione del pacchetto di maggioranza a quest’ultimo, poiché l’Eni è intenzionato a dismettere la sua partecipazione per concentrare i propri interessi nel settore della distribuzione del gas. Pertanto, tra breve la concessionaria delle infrastrutture diventerà privata in barba alla mistica della “ripubblicizzazione” in salsa bassoliniana!

Dunque, non si tratta neanche di “vigilare” come propone una parte del movimento: la logica delle spa è quella del mercato (e finché ci sarà un pacchetto azionario ci sarà qualcuno che vuole venderlo e qualcun altro che vuole acquistarlo), oltre a quella del profitto (Acqua Campania spa ha realizzato nel primo semestre 2005 un utile netto pari a 2,2 milioni di euro).

Insomma, Campaniacque è la risposta dell’adattamento bassoliniano al cambiato umore dell’elettorato.

Uno sguardo più in profondità

C’è però da chiedersi se ciò basti a spiegare un così repentino cambio di posizione. In altri termini, sono state sufficienti le necessità “elettorali” per convincere Bassolino a compiere questa giravolta? O piuttosto le radici di questo mutamento di opinione risiedono nella bozza di programma dell’Unione approvata esattamente cinque giorni prima dell’assemblea dell’Ato 2 che ha revocato la delibera del 23/11/2004: bozza dalla quale il governatore ha ricevuto ampia assicurazione che il passo che egli si accingeva a compiere non avrebbe modificato granché degli assetti del sistema idrico campano?

Una breve scorsa a quel programma toglie qualsiasi dubbio al riguardo: perché, se è vero che la gestione dell’acqua è, in via d’eccezione, sottratta al processo di piena liberalizzazione di tutti i servizi pubblici a rete, è altrettanto vero che viene sancito il principio per cui ciò avverrà “almeno inizialmente”; mentre non vengono affatto rimessi in discussione i processi di privatizzazione già compiuti e si postula la necessità di massicci investimenti (che, per ovvie ragioni di cassa non potrebbero essere pubblici) per il potenziamento e l’ammodernamento delle reti idriche (in altri termini, si fa rientrare dalla finestra ciò che si diceva essere uscito dalla porta). Se poi a tutto questo si aggiunge che Prodi ha immediatamente chiarito, in un’intervista televisiva, che quest’eccezione non significa che nel campo delle risorse idriche non si possano fare alcune privatizzazioni, allora il quadro è completo: il centro liberale dell’Unione ha predisposto una … via di fuga per Rifondazione comunista lasciando pressoché inalterato nella sostanza il complessivo processo di liberalizzazione del settore dell’acqua.

Musica per le orecchie di Bassolino, che infatti il 27 gennaio - una volta avuto chiaro il panorama - ha fatto partire dal suo sito un pressante appello ai sindaci di centrosinistra dei comuni ricadenti nell’Ato 2 perché non disertassero l’assemblea del giorno 30 e revocassero la famosa delibera del novembre 2004.

Una conclusione in forma di chiosa e un’indicazione di lotta

È chiaro che su un programma così concepito si svolgerà la campagna elettorale dell’Unione e del Prc. Ma è curioso notare che perfino chi, come Marco Ferrando (ex portavoce dell’area congressuale di Progetto Comunista), per oltre un decennio ha combattuto nel partito la battaglia per l’indipendenza e l’autonomia dei movimenti da tutti i governi - e da tutti i programmi - della borghesia oggi faccia la campagna elettorale su quel programma per Rifondazione comunista (e per l’Unione, dopo avere per anni rivendicato che le masse rompessero col centro liberale del centrosinistra)!
La questione dell’acqua deve invece costituire per i rivoluzionari uno dei capisaldi della prossima fase di acutizzazione più generale dello scontro sociale. Le mobilitazioni popolari debbono a questo punto, a partire dalla regione Campania, essere rilanciate valorizzando e capitalizzando l’indubbio risultato positivo sin qui raggiunto e rivendicando con le lotte una vera pubblicizzazione delle risorse idriche che passi attraverso l’apertura dei libri contabili delle imprese che gestiscono le reti e la distribuzione, nonché la loro nazionalizzazione sotto il controllo operaio dei lavoratori e di comitati popolari.

Queste consegne serviranno a smascherare le direzioni riformiste che intendono assumere la rappresentanza dei movimenti a difesa dell’acqua pubblica, in esse compreso un Prc puntellato sulla propria sinistra da chi si è lasciato cooptare liquidando la lunga battaglia per l’autonomia e l’indipendenza dei lavoratori e dei comunisti; ed accompagneranno i movimenti nella lotta per una vera pubblicizzazione dell’acqua: una lotta che deve essere intesa come una tappa importante della più complessa lotta contro il sistema capitalistico.

Valerio Torre

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