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Bertinotti: Ferrando incompatibile con noi

(14 Febbraio 2006)

«E’ incredibile che io sia costretto a parlare di Marco Ferrando; non lo dico per un vezzo aristocratico o perché ho la puzza sotto il naso, ma è chiaro che è un danno evidente»; Fausto Bertinotti è stanco e anche parecchio arrabbiato con il leader trotzkista che ha giustificato la strage di Nassiriya.

In campagna elettorale vorrebbe «valorizzare l’impianto riformatore del programma dell’Unione» e il progetto del suo partito. E invece... «E invece - sospira - sono costretto a spiegare l’incompatibilità della posizione di Ferrando con la linea politica del Prc». Non solo il leader trotzkista ha ripetuto le sue affermazioni su Israele - e così è stato «messo giustamente fuori dalla civiltà politica» - ma ha pronunciato anche quelle parole su Nassiriya.

«E’ una posizione - afferma Bertinotti - che ci riporterebbe indietro rispetto al processo che Rifondazione ha avviato. E’ una posizione per me inaccettabile, come se non avessimo compiuto un percorso collettivo, fatto di congressi, strappi, consensi...».

Ma insomma, sbotta il segretario, «candidando Ferrando, anche quando una parte rilevante della sua corrente era contraria, la maggioranza del partito ha fatto un atto di grande responsabilità. E lui come replica? Con un grave atto di irresponsabilità politica».

La posizione di Ferrando corrisponde, secondo Bertinotti, «alla fisionomia di un partito comunista settario, chiuso, prigioniero dei vizi peggiori del suo passato». Non solo pre-Prc ultima versione, ma addirittura pre-Pci: «Come esperto - ironizza il segretario del Prc - posso dire che Ferrando è a prima del Congresso di Lione». Ossia quel congresso del Partito comunista d’Italia del 1926 in cui la sinistra di Bordiga venne messa sotto.

«Confesso - si sfoga ancora Bertinotti - che sento un senso di estraneità». Ma vi è anche un elemento che va al di là della politica intesa in senso stretto che fa rabbrividire il leader di Rifondazione: «Quello che mi colpisce - spiega - è la mancanza di pietas , l’insensibilità di fronte alla perdita di vite umane».

Peccato che il concetto di resistenza irachena non è appannaggio del solo leader trotzkista: è tutto il partito che lo esalta. «La nostra lettura di quella guerra replica Bertinotti - va fatta alla luce di quello che per noi è un imperativo: la nonviolenza. E’ questa la linea che è passata al Congresso e che impegna tutti».

Anche Ferrando, dunque. «Per noi - insiste Bertinotti - è una scelta strategica». Sì, ma tornando alla resistenza... «E’ del tutto evidente - osserva il segretario di Rifondazione - che c’è un diritto alla resistenza contro gli occupanti, ciò detto la nostra scelta non violenta ci consente di guardare alle diverse forme di resistenza partendo da due elementi».

Cioè? «Primo - spiega Bertinotti - noi alziamo un muro nei confronti del terrorismo, quali che siano le ragioni addotte. Non vi è un motivo che rende il terrorismo meno repellente». E il secondo elemento? «Vanno privilegiate alcune forme di resistenza: le donne che in Iraq sfilavano per la liberazione di Luciana Sgrena. E anche il voto è stato una forma di resistenza. Se invece si enfatizza l’elemento armato, facendolo diventare il punto più alto della resistenza, si fa un discorso che è radicalmente incompatibile con la linea politica del nostro partito».

Ma che farà allora Rifondazione? Non candiderà Ferrando? A questa domanda Bertinotti non risponde. Eppure corre voce, proprio nel Prc, che alla fine possa essere presentato un altro candidato, sempre della stessa corrente. Il segretario si limita a dire: «Questo tema non può essere valutato politicamente in un colloquio giornalistico». Intanto, però, tenendo il leader trotzkista si corre il rischio di litigare anche con gli alleati. «Obiettivamente Ferrando offre armi a chi vuole attaccare l’Unione e il Prc», ammette Bertinotti. E non aggiunge altro.

Maria Teresa Meli (Corriere della Sera, 14 febbraio 2006)

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