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La "questione Ferrando" e gli effetti del sistema elettorale

(16 Febbraio 2006)

La “questione Ferrando” non può e non deve diventare il caso del singolo esponente, ma una occasione per ampliare la conoscenza della “questione partiti”.

È noto che il PRC ha sempre evitato di trovarsi nella condizione di essere complessivamente rappresentata nelle istituzioni “pesanti”. Altri partiti, altre formazioni politiche, anche comuniste, non hanno mai considerato l’appartenenza ad una tendenza (o corrente o frazione) come un fatto da censurare all’affaccio istituzionale. Per un motivo molto semplice: le dinamiche istituzionali, in contesti sufficientemente democratici e rappresentativi, altro non sono che lo specchio delle dinamiche politiche e sociali in atto, e negarle tout-court è impossibile, sarebbe come creare un vuoto. Ed il vuoto, si dice, in politica non esiste!

Oggi pare che il PRC debba fare “l’esame del sangue” a tutti i suoi candidati per garantire la soddisfazione della richiesta dalemiana (sicura affidabilità pretesa dallo stesso nelle pagine del luglio 2004 di Repubblica).

Ma risulterebbe assai pericoloso se lo stesso esame venisse somministrato non solo ai candidati rifondaroli ma persino a quelli della compagine del centrosinistra.

Emergerebbero infatti contraddizioni assai più evidenti non solo rispetto a Marco Ferrando (che viene improvvisamente (?) scoperto come propugnatore di idee “in-com-pa-ti-bi-li” quando queste erano alla luce del sole e pubblicate da anni e magari estrapolate artatamente) ma anche all’arrembaggio del Fisichella di turno.

Le già evidenti discrasie (come quelle citate dall’Astengo) ridotte velocemente al silenzio producono un riallineamento, al ribasso, funzionale al concetto dell’alternanza.

Il problema però resterebbe solo in casa di Rifondazione: i suoi riferimenti sociali e di classe infatti (diversamente da quelli della Margherita o dei DS) mal potrebbero tollerare d’essere la “copertura a sinistra” di un governo liberale.

Dunque la questione va analizzata reindirizzandola all’intero comparto politico emergente e alle sue rappresentazioni istituzionali (l’ultima legge fintamente proporzionale ne è l’esplicazione in sintesi: andremo a votare l’azienda che ci sembra meno peggio, mentre i funzionari ed i dirigenti e gli amministratori delegati non li potremo scegliere).

L’epistemologia di questa (nuova?) classe politica necessita di organizzazioni che abbandonino il concetto della rappresentanza sociale per diventare veicoli di promozioni elettorali, incultura politica, annullamento neuronale: altri faranno politica.

Qui a nulla vale il richiamo all’entrismo (anche nella sua accezione più ottimista come attività svolta in partiti o istituzioni con l’intento di modificarli dall’interno), e men che meno l’eccesso di tatticismo: si tratta di capire invece se le avanguardie di espressione e le basi di riferimento di Rifondazione (Comunista) sentano d’essere una forza capace di promuovere critica politica ed azione conseguente. E se possano albergare in un Partito Comunista!

Si tratta di capire se, parafrasando l’evento del giorno, sia più terribile dichiarare che “siamo truppe d’occupazione” con tutto quel che ne consegue, oppure che la prossima riforma pensionistica (o gli effetti della famosa Bolkestein) risulterà più digeribile perché legiferata dal centrosinistra.

Rifondazione, o meglio il suo gruppo dirigente, deve fare una scelta: dimostrare aprioristicamente la sua -sola- tenuta parlamentare (facendo gli esami del sangue ogni mattina a tutti??) e lasciare alla sua sinistra una vera e propria prateria sconfinata dei disillusi dell’inefficace cacciata di Berlusconi che andrà rimpinguandosi nei prossimi mesi, oppure accogliere e fare proprio il concetto di rappresentanza e conflitto sociale e di classe, sottraendosi dal fornire ministri e sottosegretari ad un governo di banchieri, finanziarie ed industriali.

Rifondazione è in un “cul de sac” spaventoso, perché la sua collocazione di governo determinerà uno smottamento, in tempi prevedibili, della sua base di riferimento. E “farsi le pulci” –su ordine di Prodi o D’Alema- rimane l’unica attività politica mass-mediatica di rilievo…..

La scelta dell’abbandono dell’Unione invece velocizzerebbe quella ricomposizione al centro che in molti prefigurano, ma sconterebbe l’insoddisfazione di quel senso comune di repulsione attorno alla figura di Berlusconi.

Sono mancati in Rifondazione il coraggio e la spinta a proporsi come terzo polo aggregatore, alternativo, anticapitalistico ed autonomo. E questa è responsabilità, assai grave, della maggioranza dei dirigenti del PRC.

Questo in sintesi il vero argomento del giorno, oltre alla piena solidarietà al Compagno Ferrando e alle sue posizioni assolutamente limpide.

Patrizia Turchi

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