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Festival cinematografico di Venezia: la classe operaia torna protagonista

(17 Febbraio 2006)

L’ultima edizione del festival di Venezia ha visto una nuova ondata di registi che rivolgono l’obiettivo della cinepresa verso scene di lotta di classe o storie che si svolgono comunque su uno sfondo sociale operaio e segnato da tensioni sociali e politiche. E’ un sintomo di come, dopo gli anni ’70, il cinema si faccia in qualche modo nuovamente necessariamente interprete di un mondo segnato e attraversato da una crisi economica e finanziaria che intensifica ed esplicita le contraddizioni di classe.

Contraddizioni che vengono raccontate in alcuni casi attraverso lo strumento, ritornato da qualche anno in voga, del film documentario. E’ il caso di Workingman’s death (la morte dell’operaio) dell’austriaco Michael Glawoggen, che registra il progressivo spostamento dello sfruttamento operaio dai nostri paesi verso aree a basso costo del lavoro. Cinque episodi sono dedicati rispettivamente ai minatori dell’Ucraina, a quelli delle cave di zolfo indonesiane, ai siderurgici cinesi, ai dipendenti di un mattatoio nigeriano, agli operai dei cantieri navali del Pakistan. L’epilogo è collocato un Occidente in cui la delocalizzazione produttiva ha lasciato un deserto: un’acciaieria tedesca riadattata a a parco paesaggistico. Insomma il capitalismo produce miseria e sfruttamento sia dove apre stabilimenti sia dove li chiude.

Il regista francese Cantet, dopo aver raccontato qualche anno fa in Risorse Umane la storia di un giovane laureato, incaricato dalla propria azienda di un progetto di ristrutturazione che costerebbe il posto di lavoro anche a suo padre, dipendente della stessa società, in Verso il sud si sposta nell’isola di Haiti. Il soggetto è l’esperienza erotica di tre donne americane in vacanza con un giovane haitiano sullo sfondo della dittatura di Jean Duvallier. Dice Cantet a commento della sua opera: “In un mondo in cui le relazioni tra le classi sociali sono terribili, dove il divario tra i ricchi e i poveri è enorme, l’unica cosa che può unire le persone è il sesso.

Il sesso è l’unica cosa che i poveri possono vendere e una delle tante cose che i ricchi possono comprare.”

Il fatalista del portoghese Joao Botelho ha come protagonista l’autista Tiago, che nei suoi viaggi in lungo e in largo per il Portogallo incontra storie persone ai limiti della follia e capisce che “la lotta di classe è il vero motore del mondo”; mentre in Romance and sigarettes di John Turturro James Gandolfini e Susan Sarandon sono protagonisti di una divertente commedia centrata sulla crisi coniugale di una famiglia operaia a New York.

Infine a Venezia è tornato un grande del cinema internazionale, Costa Gavras, con Le couperet (Il tagliatore di teste, appena uscito nelle sale italiane), storia di un dirigente d’azienda licenziato che, dopo tre anni di disoccupazione, dichiara guerra al capitalismo a suo modo, uccidendo i suoi potenziali concorrenti sul mercato del lavoro.

Insomma se il dramma sociale e la classe operaia ritornano protagonista sugli schermi ciò rappresenta il riflesso di un mondo in cui i lavoratori si riaffacciano sulla ribalta internazionale come soggetto sfruttato che si interroga sul proprio ruolo nella nostra società. E forse hanno anche una qualche idea di dove cercare delle risposte. In Francia ai vertici delle classifiche dei libri più venduti si trovano una biografia di Marx di Jacques Attali e un romanzo, I vivi e i morti, che racconta la lotta di un gruppo di operai contro il licenziamento. Non è un caso che gli intellettuali moderati guardino a questo ritorno con una certa preoccupazione. Alain Touraine, storico e sociologo francese, in un’intervista rilasciata qualche mese fa su L’Espresso, ammoniva a non ricadere nel vecchio mito dell’arte impegnata e della rappresentazione oleografica delle “sofferenze della plebe”, perché il mondo di oggi può essere cambiato soltanto attraverso l’impegno culturale.

Lo spettro del comunismo tornerà ad aggirarsi per l’Europa? Touraine teme di sì e mette in guardia dal ritorno alla “politica che idealizzava la figura dell’operaio” e al leninismo “il pericolo maggiore dell’età industriale”! Evidentemente non la pensano così i portuali di Marsiglia, che nelle scorse settimane hanno scioperato violentemente fino a dirottare una nave della loro compagnia di navigazione per lottare contro una privatizzazione che mette a rischio 800 posti di lavoro.

Marco Veruggio
tratto da "Resistenze Foglio di organizzazione sociale di Progetto Comunista Sinistra Prc"

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