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il pane e le rose

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A muso duro: Ferrando e ...dintorni

(27 Febbraio 2006)

Marco Ferrando non gode certo della mia simpatia. I suoi limiti e i suoi errori sono tutti iscritti nella storia del lento e inesorabile declino di ‘Progetto Comunista’, ridotto ormai a pallido fantasma dell’area che, per un periodo seppur breve, era riuscita a intercettare le simpatie di una fetta consistente (quasi il 20%) degli iscritti al Prc.

Non mi ha entusiasmato, ieri, il ‘tormentone’ sul suo ‘impegno’ a votare o meno (una volta eletto) la fiducia al governo Prodi, e non mi entusiasmano, oggi, le chiacchiere indignate di chi grida allo scandalo per la revoca della sua candidatura.

E, anche se non si può accettare il linciaggio mediatico che lo vede paragonato alla feccia neonazista (vera e propria porcheria avallata dai comunicati stampa del ‘suo’ stesso partito), verrebbe solo voglia di ricordare al mancato senatore che, a fare da copertura a sinistra di un partito ormai organico al centrosinistra prodiano, si rischia di perdere la faccia o di prendere sonori schiaffoni (su mandato del fogliaccio di Feltri), o l’uno e l’altro assieme.

Ma la vicenda che lo riguarda ha un valore emblematico. Fulgido esempio di dove porta la strategia di ‘condizionamento a sinistra del centrosinistra’.

Cartina di tornasole per misurare il livello di opportunismo del gruppo dirigente bertinottiano e il grado di servilismo verso le suggestioni del ‘mercato’ del voto che caratterizza quello che, una volta, era un partito che aveva la presunzione di rifondare – nientepopodimeno - che il comunismo.

Che cosa ha detto di tanto eversivo Marco Ferrando da fargli perdere il posto in parlamento? Quali sono state le esternazioni così impudenti da fargli rischiare perfino l’espulsione dal partito?

In forma pacata e argomentata (non è certo lo stile di Caruso le cui intemperanze verbali meritano comunque l’indulgenza del ‘capo’ e solo qualche rimbrotto dato che, in fondo, la sua ‘disobbedienza’ è tutta interna al progetto riformista) Marco Ferrando ha affermato (udite-udite) che Israele è una creazione artificiale (il che è un dato di fatto riportato in qualsiasi libro di storia contemporanea), che la politica dei “due popoli, due stati è fallita” (valutazione comune a parecchi osservatori non necessariamente comunisti), che la pace in Medio Oriente passa per la creazione di uno stato non confessionale, laico, democratico, dove ebrei e musulmani possano convivere, e - in ultimo - che non si può negare il diritto al ritorno di quei milioni di palestinesi cacciati dalle loro terre e dalle loro case.

Che tutto questo passi attraverso la distruzione dello stato confessionale sionista razzista e del suo apparato militare imperialista (cosa che comunque Ferrando non ha detto) può scuotere la sensibilità di Migliore ma fa parte di un’analisi condivisibile e condivisa dai comunisti, anche dai tanti che non si sentono vicini a Ferrando.

Così come sono condivisibili le affermazioni sull’Iraq e sulla lotta armata - altra cosa del terrorismo - sul diritto alla resistenza all’oppressore, sulla necessità di opporre alla guerra imperialista la guerra di liberazione.

E’ giusto affermare che gli iracheni hanno il diritto di resistere con le armi all’occupazione militare straniera – anche quando gli occupanti sono italiani.
Ed è pure giusto – anche se in tempi di alleanza organica col capitale ‘progressista’ può dare fastidio - ricordare che a Nassiriya ci si è andati per difendere le commesse e i pozzi dell’Eni (c’è un vecchio, e noto, documento riservato prodotto dal ministero delle Attività produttive che spiega tutta la faccenda).

Ed è giusto denunciare il carattere imperialista del nostro intervento in Iraq anche di fronte al ciarpame patriottardo che cerca di mascherarlo per intervento umanitario. Come erano umanitarie le bombe su Belgrado ai tempi del governo D’Alema. Come è umanitario l’invito ad ‘annichilire’ un resistente (pardon un terrorista!) ferito e ormai moribondo o sparare su un’ambulanza e ammazzare una donna incinta (tutto documentato e facilmente reperibile sul sito di Rainews24 che notoriamente ha poco a che fare coi comunisti).

Cianciare di pacifismo e non violenza è un lusso che i popoli massacrati e violentati dagli aggressori non possono permettersi. Continuare a predicarne gli effetti taumaturgici è, nella migliore delle ipotesi, stupidità - la stupidità di chi non vede la violenza del nemico perché ha gli occhi rivestiti di verdi banconote e le chiappe al calduccio - nella peggiore delle ipotesi, complicità - la complicità di chi tenta di disarmare ideologicamente e politicamente gli oppressi per aiutare gli oppressori a perpetuare il proprio dominio. Ruolo quest’ultimo assolto egregiamente dalla chiesa e dai suoi preti e per il quale non c’è proprio necessità di arruolare nuovi crociati della tempra di un Migliore o di una Gagliardi.

Dichiarare, come fa Bertinotti e la sua corte di corifei, che le affermazioni di Ferrando sono incompatibili con la linea di Rifondazione è, di fatto, una dichiarazione di guerra aperta nei confronti di quanti (pochi ormai) dentro il Prc continuano a illudersi della reversibilità del processo di trasformazione ‘genetica’ di questo partito: da partito comunista, seppur con i limiti e i difetti di una direzione opportunista, a partito liberal-radical-borghese con una direzione che è ormai passata armi e bagagli nel fronte avverso.
Il messaggio è chiaro. Nessuna opposizione è possibile tranne quella da operetta di un Luxuria o di un Caruso, ottime comparse di un copione che vedrà, lentamente ma inesorabilmente, Rifondazione sciogliersi nel neonato Partito della Sinistra Europea, nuovo soggetto su cui si concentrano le attenzioni del segretario.

E’ un messaggio chiaro nei confronti degli alleati ai quali si da la prova provata della capacità del ‘capo’ di controllare le opinioni e il comportamento del futuro gruppo parlamentare rifondarolo.

Lo stesso modo vergognoso con cui si è sacrificato quello che in fondo è ancora un dirigente del Prc - dopo una ‘consultazione telefonica’ e senza neanche il coraggio di una aperta discussione – quasi si trattasse di cacciare via dalle proprie file un appestato o un ‘traditore’, nella fretta di compiacere i salotti televisivi e di recuperare a Prodi è Mastella qualche elettore moderato è un chiaro messaggio ‘mafioso’ nei confronti di qualche altro eventuale ‘dissidente’ che si illudesse di poter utilizzare ‘pro domo sua’ le opportunità date dalla presenza nelle liste del Prc.

Grassi e gli altri sono avvisati. Se non vogliono perdere poltrone e prebende, ‘zitti e mosca’. E soprattutto, attenti, un altro mezzo punto recuperato da Berlusconi nei sondaggi, e potrebbero essere loro le prossime vittime da sacrificare sull’altare dell’immagine di un partito ‘responsabile’ e ‘in grado di governare’.

Eppure, per quanto poco possa contare e rappresentare Ferrando nel panorama elettorale e nello stesso partito, la sua esclusione – per i motivi e per il modo in cui è stata attuata – avrà un forte valore simbolico.
Così come avrà un forte valore simbolico l’assenza dei rifondaroli dalla manifestazione del 18 marzo in difesa della Resistenza palestinese e irachena.
Nella sua ‘marcetta trionfale’ verso i paludosi lidi della governabilità, Bertinotti non ne ha azzeccata una. Dalle primarie che avrebbero dovuto indicarlo come interlocutore determinante e che, invece, hanno incoronato Prodi indiscusso leader della coalizione relegandolo al ruolo di comparsa, al programma, i cui contenuti hanno poco a che spartire con le battaglie dei comunisti e le aspirazione delle classi subordinate.

E anche questa volta la scelta del segretario pare dettata, più che dalla razionalità, dalla debolezza e dalla difficoltà di gestire politicamente le contraddizioni del suo stesso partito, dal nervosismo di chi vuole ‘bruciare le tappe’ e dimentica che spesso la fretta è una cattiva consigliera.

Scoprirsi il fianco sinistro non è una scelta intelligente soprattutto quando ci sono ancora giorni e giorni di campagna elettorale in cui si dovrà spiegare al proprio elettorato – che in fondo, nella sua maggioranza, si sente ancora comunista - la bontà del pacchetto Treu e della riforma Dini, la necessità della Tav e la funzione progressista dei contributi alla scuola privata, il valore umanitario delle bombe targate Onu, tutte cose scritte a chiare lettere nel programma di Prodi e da lui tante volte ripetute fino alla nausea.
Con quale dignità può presentarsi alle elezioni un partito a sovranità limitata che lascia decidere a Fini e D’Alema la composizione delle sue liste?
Con quale credibilità può chiedere ‘un voto di sinistra’ un gruppo dirigente succube e corresponsabile della canea anticomunista che – prendendo a pretesto il caso Ferrando - si è scatenata nel paese?

Alla fine non è neanche detto che il tanto agognato bottino venga portato a casa, così come non è detto che in fondo al percorso ci sia la comoda poltrona di un ministero o non, invece, le monetine che accolsero Craxi alla conclusione della sua carriera.

16 febbraio 2006

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