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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Ferrando: Ecco cosa significa la mia esclusione dalle liste di Rifondazione comunista

(5 Marzo 2006)

Su Liberazione del 19 febbraio, nel contesto dell’intervista al segretario del partito, Rina Gagliardi ha sentito l’esigenza di riassumere le mie posizioni in fatto di Iraq, nel seguente modo: «… sostegno acritico alla resistenza irachena, rivendicazione del ruolo necessario e salvifico della violenza». Per poi replicare di «non vedere nulla di sinistra in attentati che massacrano gente in cerca di lavoro e bambini» e che «con queste pratiche una strategia rivoluzionaria non ha nulla a che fare».

Bene: considero inaccettabile e provocatoria questa grossolana falsificazione delle posizioni mie e di Progetto Comunista. E tanto più inaccettabile e grave se proviene da una dirigente del partito e se è riportata sul giornale del partito, in perfetta consonanza con la campagna di diffamazione e di calunnie che la grande stampa ed i principali partiti, di centro-destra e di centro-sinistra, hanno scatenato contro di me in questi giorni.

E’ bene allora sgombrare il campo, definitivamente, da ogni mistificazione:

1) Come tutto il partito sa, Progetto Comunista rivendica da sempre il diritto di resistenza popolare, anche armata, del popolo iracheno contro tutte le forze d’occupazione coloniale, incluse le forze d’occupazione italiane: forze mandate in quella terra, anche a prezzo della vita, per gli interessi dell’Eni e per la spartizione delle risorse di quel popolo. Questo è il contenuto dell’incriminata intervista al Corriere, falsificata strumentalmente nel titolo (con un cosciente scopo politico) ma assolutamente inequivocabile per chiunque. Di questa intervista, come ho detto più volte, rivendico tutto, sino all’ultima virgola (salvo un peccato di sottovalutazione, a monte, della pirateria giornalistica del Corriere). E certo non sono disposto ad indietreggiare neppure di un millimetro di fronte alla reprimenda di un vecchio campione di guerre umanitarie, come l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, o addirittura del ministro degli Esteri di un governo di guerra, come Gianfranco Fini: che semmai va chiamato a rispondere pubblicamente, al pari di tutto il governo, della copertura politica dei crimini di guerra delle truppe di occupazione italiane contro bimbi, donne, civili iracheni come nel corso della battaglia dei ponti a Nassirya. A proposito: perché il nostro partito non lancia, qui e ora, una campagna di denuncia e mobilitazione su questi crimini?

2) Come tutto il partito sa, e come è detto esplicitamente nell’intervista al Corriere, ho sempre distinto il diritto incondizionato di resistenza popolare contro le truppe coloniali americane, inglesi, italiane, dal terrorismo indiscriminato contro la popolazione civile, tanto più se di marca fondamentalista. Di più: ho sempre indicato nel fondamentalismo religioso, non solo in Iraq, un pericolo per le prospettive di emancipazione della nazione araba. Ponendo l’esigenza di un’egemonia alternativa nella stessa resistenza irachena capace di unire la lotta armata contro gli eserciti occupanti con la rivolta dei lavoratori e delle masse diseredate: esattamente contro la pratica terroristica del fondamentalismo, che divide il popolo arabo a tutto vantaggio dell’imperialismo.

Sono queste, peraltro, le posizioni che Progetto Comunista esprime da sempre, pubblicamente, negli organismi dirigenti, nei circoli, negli stessi Congressi di partito, senza mai nascondere nulla dei propri convincimenti. Convincimenti che peraltro corrispondono, nel merito delle questioni citate, al senso comune non solo di ampia parte del partito, ma di larghi settori dello stesso popolo della sinistra. E’ possibile allora che Rina Gagliardi non abbia appreso o compreso, per molti anni, le posizioni pubbliche e gli argomenti della minoranza, peraltro ospitati più volte dal giornale che lei dirigeva? E’ possibile che possa attribuirmi il sostegno ad «attentati che massacrano gente in cerca di lavoro e bambini» e addirittura l’individuazione in essi di «una strategia rivoluzionaria», quando neppure il direttore del Corriere della Sera è giunto ad attribuirmi tanto?

La verità è che quando si sente l’esigenza di ricorrere, su una materia così delicata, alle scarpe piombate di falsificazioni pesanti (naturalmente sempre nel nome dell’“antistalinismo”), è per rimuovere dietro una nube di fumo la natura reale del problema. Che non riguarda affatto, di per sé, il merito reale delle divergenze sulla questione irachena o palestinese, per quello che effettivamente sono. Riguarda invece il pubblico veto che le forze dominanti della politica italiana, della CdL e dell’Unione, hanno posto su una determinata candidatura del Prc, e l’accettazione supina di questo veto da parte della maggioranza dirigente del partito. Questa è la verità che tutto il partito ha compreso e che nessuna cortina fumogena potrà confondere. Del resto il plauso entusiasta che tutto il centro dell’Unione rivolge oggi a Bertinotti per la mia cancellazione dalle liste ne è la riprova più clamorosa ed evidente.

Ma se le cose stanno così - e così stanno - allora non esiste alcun “caso Ferrando”. Esiste il caso “Rifondazione Comunista”, il problema della sua sovranità e della sua prospettiva politica. Mai come oggi tutto il centro dell’Unione chiede al Prc di assolvere il proprio ruolo coerente di “sinistra del centro-sinistra”: ossia di dimostrare una piena affidabilità istituzionale di governo, entro le compatibilità dell’Unione, della sua politica sociale, della sua politica estera. Mai come oggi il centro dell’Unione ci chiede di contenere e disciplinare le iniziative di movimento sul territorio (dalla lotta anti-Tav alla lotta sulle case sfitte); ci chiede di assecondare ogni possibile rilancio della concertazione (a partire dal contratto dei metalmeccanici); ci chiede di limare ulteriormente, su ogni versante, il profilo della nostra politica estera (innanzitutto sulla questione palestinese). Ci chiede, insomma, una prova preventiva di affidabilità nella gestione di quel programma di governo che parte dalla rivendicazione testuale della “alleanza leale con gli Usa” per giungere al rilancio del rigore finanziario e dei relativi sacrifici.

Ed è proprio in funzione di questa verifica di affidabilità che il centro dell’Unione ha invocato la ripulitura dalle liste del Prc dei cosiddetti “candidati impresentabili”: ed in particolare di un candidato che ha sempre rivendicato, nel Prc, il carattere irrinunciabile dell’opposizione comunista. Dunque chinare il capo di fronte a questo diktat non ha costituito solamente una grave cessione della propria sovranità (e un danno politico per il Prc in settori importanti del suo elettorato). Ma ha significato mostrare la propria subalternità politica al centro dell’Unione e alle sue ragioni di classe.

In conclusione. Come sempre non ho nulla da chiedere al partito se non di rispettare se’ stesso, le ragioni per cui è nato, le speranze che ha raccolto. Se oggi, attorno al caso di un’esclusione indotta, si è sviluppato un moto impressionante di pronunciamenti e di solidarietà che ha coinvolto non solo il corpo militante del Prc, ma anche settori significativi del suo insediamento d’avanguardia, sindacale, culturale, di movimento, è proprio perché una parte larghissima del nostro mondo ha visto in quell’esclusione la metafora di una capitolazione politica umiliante. Per questa stessa ragione la battaglia in corso non riguarda solamente il diritto democratico di una minoranza, ma la prospettiva dell’intero partito, al di là di ogni steccato congressuale.

Marco Ferrando (Liberazione del 19 febbraio)

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