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Bolkestein: il punto della situazione

(8 Marzo 2006)

La direttiva Bolkestein, simbolo dell’apertura dello spazio Europeo ai cataclismi della globalizzazione, è ritornata. Visto che i fautori del Trattato Costituzionale Europeo si erano impegnati ad abbandonarla per rassicurare l’opinione pubblica, allora la direttiva è stata in definitiva modificata ed adottata. In modo massiccio, i deputati europei si sono dichiarati soddisfatti del nuovo testo, che è stato presentato come un compromesso equilibrato.
Esperto riconosciuto di diritto europeo, Raoul-Marc Jennar analizza in questo documento la nuova direttiva Bolkestein. Secondo lui, la logica del testo non è stata modificata e gli emendamenti non hanno fatto che aggiungere una insicurezza giuridica ad una insicurezza sociale.

La proposizione della direttiva europea sui servizi mira ad instaurare la “libertà di impresa e di circolazione dei servizi”, in maniera tale che si crei un mercato unico nel settore dei servizi previsto dai Trattati di Roma (1957), ma mai veramente messo in atto fino ad ora.
Per arrivarci, due sono le strade possibili : sia armonizzando le legislazioni nel settore dei servizi, sottoposte alle leggi della concorrenza, (cosa che fa supporre vengano identificate quelle che non lo sono), sia de-regolando ed instaurando il principio del paese di origine (PPO), un concetto concepito da Jacques Delors (Libro Bianco, 1985), ma contrario all’articolo 50 del Trattato di riferimento. Il PPO è stato trasposto nel diritto comunitario, conseguenza di una interpretazione dell’Atto unico europeo (1986) consolidata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
È quest’ultima via che è stata imboccata dalla Commissione europea, dopo avere ricevuto il via libera dei governi degli Stati membri.
La proposizione elaborata sotto l’autorità del Signor Bolkestein, approvata all’unanimità dalla Commissione europea e sostenuta, nella primavera del 2003, da tutti i capi di Stato e di governo, supera una tappa del lungo percorso legislativo nel quadro di una procedura indicata di co-decisione, nella quale esistono due legislatori: il Consiglio dei Ministri e il Parlamento. Quest’ultimo ha appena terminato la sua “prima lettura” del testo.

Quello che cambia; quello che non cambia

I più significativi emendamenti hanno per oggetto il campo di applicazione della direttiva.
Il Parlamento ha aggiunto alle materie escluse dal progetto iniziale, in quanto già oggetto di direttive particolari, [servizi finanziari, servizi postali, comunicazioni elettroniche, trasporti, (salvo i trasporti di base e le pompe funebri), servizi giuridici], anche i servizi pubblici per la cura della salute, le cure mediche e il loro rimborso, i servizi audiovisivi, i giochi d’azzardo, le professioni che concorrono all’esercizio dell’autorità pubblica, i servizi sociali, le abitazioni sociali e i servizi di sicurezza.
Inoltre, è stato indicato in aggiunta che la direttiva deve rispettare il diritto privato internazionale, cosa che non avveniva con il testo della Commissione europea, che era consapevole che alcune disposizioni di diritto privato internazionale, contenute nelle convenzioni di Roma I e II, sono contrarie al principio del paese di origine.
Anche il diritto del lavoro, (in questo sono compresi il diritto di trattare per contratti collettivi, le libertà sindacali, e il diritto di sciopero), si sottrae alla direttiva, che cessa da questo punto di vista di essere in contraddizione con le convenzioni di base dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT).
Ma, la soddisfazione che se ne ricava da tutto questo, nello stesso tempo, conosce un limite a causa della definizione di “prestatore del servizio”, (questo può essere anche una persona fisica, vale a dire un lavoratore indipendente - art.4) e dalla proibizione di limitare le prestazioni a titolo indipendente (art.16,3,f).
Si è mantenuta aperta la possibilità che si generalizzi una pratica che è in pieno sviluppo: quella dei falsi indipendenti, cioè di lavoratori trattati dalle imprese come indipendenti, cosa che dispensa il datore di lavoro da oneri e gli consente una totale libertà rispetto alla valutazione dei compensi per le prestazioni ricevute.
Riscontriamo allora un modo di procedere sempre più frequente da parte dei liberisti di destra e di sinistra : si afferma che non si toccano i diritti, ma si introducono delle disposizioni che permettono di aggirarli.

Fra i cambiamenti favorevoli, bisogna sottolineare la soppressione in tutto o in parte di quattro articoli : il paragrafo 6 dell’articolo 15, che subordinava le legislazioni nazionali all’accordo pregiudiziale della Commissione europea, l'art. 23 per il quale la Commissione europea si dotava illegalmente di competenze in materia di cure sanitarie, l'art. 24 che svuotava in buona sostanza la direttiva rispetto al distacco dei lavoratori, e l'art. 25 che impediva qualsiasi possibilità di controllo dei “negrieri”.
Una modifica che conviene esaminare con una certa prudenza riguarda l’eliminazione dei servizi di interesse economico generale (SIEG) e dei servizi di interesse generale (SIG) dal campo di applicazione della direttiva (art.1). I SIEG raggruppano i servizi di settore che riguardano il mercato, che comunque sono, per definizione europea (Trattato di Maastricht), sottoposti alle regole della concorrenza. Quanto ai SIG, non sono previsti dal diritto europeo. E la Commissione europea conosce solo la definizione di servizio fornita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, secondo cui una attività di servizio è una “attività fornita in cambio di una contropartita economica”.
Questa grande vittoria annunciata con gran clamore dalla social-democrazia in effetti non è altro che una strombazzatura ingannatrice.

Quello che non cambia consiste in un lungo elenco di esigenze proibite (art. 14, 16,3 e 20) che amputano il margine di manovra dei poteri pubblici. Praticamente, tutte sono state conservate : non si potrà più esigere da un fornitore di servizi che abbia la nazionalità del paese dove esercita l’attività, che egli risieda in questo paese, che abbia una struttura d’impresa sul territorio, che sia sottoposto ad un test destinato a comprovare che la sua attività risponda ad un bisogno economico, che egli procuri una garanzia finanziaria o che sottoscriva una assicurazione, che sia iscritto ad un ordine professionale, che si doti di una infrastruttura, che si costituisca secondo una forma giuridica predeterminata, che possieda un documento di identità specifico per l’esercizio della sua attività, che utilizzi equipaggiamenti o materiali specifici.

Ugualmente è conservato (art.15) l'obbligo imposto a ciascuno Stato di rendere compatibili alcune esigenze con il triplo criterio di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità : quindi i limiti quantitativi o territoriali sotto forma, in particolar modo, di limiti fissati in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima fra i prestatori del servizio ; le esigenze che impongono al prestatore del servizio di costituirsi sotto forme giuridiche particolari ; le esigenze relative alla detenzione di un capitale societario; le esigenze (oltre a quelle relative alle qualifiche professionali) che riservano l’accesso alle attività di servizio che concernono prestatori di servizi particolari in ragione della natura specifica dell’attività; la proibizione di disporre di molteplici impianti di produzione dei servizi su un medesimo territorio nazionale; le esigenze che impongono un numero minimo di dipendenti; le tariffe obbligatorie minime e/o massime che deve rispettare il prestatore del servizio; l’obbligo per il prestatore di fornire, congiuntamente al suo servizio, altri servizi specifici.
Così, amputati di molteplici mezzi di azione e di controllo, i poteri pubblici saranno abbandonati al più completo dei “lascia perdere, lascia fare”. E certamente non sono le sfumature introdotte a livello dei numerosi “considerando” che devono rassicurare : i “considerando” non hanno alcuna forza giuridica!

Cosa resta del Principio del Paese di Origine (PPO)?

Alla base del principio del paese di origine (PPO) esiste una essenziale distinzione : viene fatta la distinzione fra la sede della struttura (quella che noi indichiamo spesso come sede sociale) del fornitore dei servizi e la sua sede di attività.
Su questa base, l'articolo 16 della proposizione della Commissione europea distingue lo Stato dove è insediata la sede sociale e lo Stato dove il prestatore del servizio esercita l’attività. E il testo dispone che il prestatore deve essere sottoposto unicamente alla legge del paese dove egli ha stabilito la sua sede sociale, qualsiasi sia il paese dove va a sviluppare le sue attività. È lo Stato della sede sociale che controlla il rispetto della sua legislazione nel paese dove l’attività viene esercitata.
Quindi, una volta individuato il paese che si presenta come il meno esigente sul piano fiscale, sociale, e ambientalistico, sarebbe bastante installare qui la sede sociale, in modo che sia il regime delle norme di questo paese che si impone al personale della sede di attività. Non solamente viene organizzata la competizione fra i lavoratori sottoposti a regolamentazioni differenti, ma si incita alla delocalizzazione delle sedi sociali.
Si comprende bene la collera di tutti coloro che si sentono vincolati a più di cento anni di conquiste sociali, aggirate da un’Unione Europea che non armonizza più, che organizza la concorrenza fra Europei e favorisce le ineguaglianze.

In un primo tempo – tempo durante il quale in Francia, a stare a quel che affermavano il Presidente della Repubblica, il primo Ministro e la direzione del Partito Socialista, il testo era stato “mandato alle spazzature della Storia” (Strauss-Kahn) - la Commissione competente del Parlamento europeo, dopo mesi di discussioni, il 23 novembre 2005, aveva sostituito il titolo dell’articolo 16 “Principio del paese di origine” con “Clausola del mercato interno” e aveva affidato allo Stato di accoglienza (del servizio) il compito di verificare il rispetto sul suo territorio della legislazione dello Stato di origine dell’impresa.
Se la logica del paese di origine veniva conservata, questo nuovo articolo prevedeva ispettori del lavoro in ogni paese, che padroneggiassero le 20 lingue ufficiali dell’Unione Europea e conoscessero la legislazione dei 25 Stati membri (anzi 27). Un bel modo per rendere qualsiasi controllo impossibile!
Ma da questo momento, abbiamo potuto sentire un buon numero di attori politici e di giornalisti al soldo dei medesimi interessi privati affermare che il principio del paese di origine era stato cancellato!

In seduta plenaria, il 16 febbraio 2006, sostenendo un compromesso negoziato fra il Partito Popolare Europeo PPE (che conta nelle sue file i deputati europei dell’UMP) e il PSE (i socialisti), una maggioranza di parlamentari europei hanno fatto ancora meglio : dopo avere ancora una volta ribattezzato l’articolo 16, che oramai si intitola “Libertà di prestazione dei servizi”, costoro hanno puramente e semplicemente soppresso qualsiasi riferimento alla legislazione applicabile e allo Stato incaricato di controllarne il rispetto. Cosa che permette di proclamare che il principio del paese di origine è scomparso. Formalmente questo è vero. Giuridicamente questa è una falsità :

a) gli Stati membri dell’Unione Europea non avranno più il diritto di imporre un qualche numero di norme. Questo viene denominato come “esigenze proibite” : il testo adottato a Strasburgo fa proibizione ad uno Stato di subordinare l’accesso ad una attività di servizio ad una esigenza che si appoggi sulla nazionalità. Limitazioni possono essere messe in atto solo per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza pubblica, di protezione della salute e dell’ambiente (i socialisti che hanno negoziato questo compromesso con i conservatori hanno accettato di non annoverare le politiche sociali e le protezioni dei consumatori fra le ragioni che giustificano le limitazioni…). Uno Stato non può più esigere che il prestatore del servizio abbia una struttura di produzione sul suo territorio, che sia iscritto ad un ordine professionale, che si doti di infrastrutture (uffici o studi), che applichi un regime contrattuale nei suoi rapporti con i destinatari del servizio, che possieda un documento di identità specifico, che utilizzi attrezzature specifiche (salvo che non si tratti di sanità e di sicurezza sul lavoro). Nondimeno, uno Stato potrà imporre la sua regolamentazione relativa alle condizioni di impiego, comprese quelle che sono stabilite dai contratti collettivi.

b) si è spostato il paragrafo 2 dell’articolo 16, quello modificato il 23 novembre 2005, verso l’articolo 35, dove è indicato che è lo Stato di destinazione (del servizio) che controlla il rispetto da parte del prestatore del servizio “della di lui legge nazionale”.

c) l'enunciazione del principio è scomparsa dal testo, ma non è stata introdotta nel testo alcuna indicazione che precisi qual’è la norma diversa ed opposta al principio del paese di origine (PPO) che deve essere applicata, vale a dire il principio del paese di destinazione (l'applicazione della legislazione del paese che accoglie un fornitore del servizio di provenienza da un altro Stato dell’Unione Europea). Anzi, al contrario : un emendamento che introduceva questo principio, proposto dalla Sinistra Unitaria Europea (GUE) è stato respinto. Questo voto è stato cruciale : l’aver respinto il principio del paese di destinazione fornisce senza il minimo dubbio la manifestazione delle reali intenzioni del legislatore di maggioranza: si è voluto che venga applicata la legislazione del paese di origine.

D’altronde, questa intenzione è confermata da un emendamento apportato alla definizione di prestatore di servizio (art 4, 2) : “qualsiasi persona fisica, cittadina di uno Stato membro, ovvero persona morale, attestata conformemente alla legislazione del suddetto Stato membro, che offre o che fornisce un servizio.” Significa chiaramente che il prestatore del servizio viene definito dalla legislazione del paese di origine. Il fatto che si precisi che lo Stato dove è reso il servizio conservi il diritto di imporre le sue normative in materia di diritto del lavoro, della sanità, della sicurezza, dell’ambiente e della protezione dei consumatori è ugualmente un modo di indicare che perde questo diritto negli altri ambiti.
Comunque, l'ambizione della Commissione europea non viene molto contrariata : la Commissione desiderava inscrivere nel diritto comunitario il principio del paese di origine che è già consacrato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ma può benissimo fare a meno di questa inscrizione nel testo della direttiva sui servizi. Non è un caso se l’ufficio del Commissario McCreevy, il successore di Bolkestein, rassicurava, ed invitava a votare questo compromesso inoffensivo, quei parlamentari ultraliberisti reticenti rispetto al compromesso PPE-PSE, che paventavano che troppe concessioni erano state fatte ai socialisti nella modifica dell’articolo dedicato al principio del paese di origine PPO.
Da questo si può misurare quello che valgono le dichiarazioni conclamanti la soppressione del principio del paese di origine e qual’è la credibilità degli attori politici e dei mezzi di comunicazione che diffondono tali affermazioni!

Chi ha votato in un certo modo?

a) Innanzitutto i voti si sono orientati su una proposta di rigetto. Questa ha ricevuto il sostegno solo di 153 deputati; 486 hanno votato contro. I voti degli eletti francesi (dei partiti democratici) si sono ripartiti come segue:
per il rigetto: tutti gli eletti GUE-PCF, PSE-PS, Verdi francesi (compreso Cohn-Bendit) ;
contro il rigetto : tutti gli eletti PPE-UMP, salvo Fontaine e Vlasto, assenti e tutti gli eletti ADLE-UDF (liberali).

b) L'emendamento presentato dalla GUE che introduceva il rispetto del principio del paese di destinazione (del servizio) è stato respinto con 527 voti contrari, 105 a favore e 4 astensioni.
I deputati francesi hanno votato nella maniera seguente:
per l’introduzione del riferimento alla legislazione del paese che riceve il servizio: Henin, Verges, Wurtz (GUE-PCF) ; Arif, Berès, Bourzai, Carlotti, Cottigny, Desir, Douay, Ferreira, Fruteau, Guy-Quint, Hamon, Hazan, Laignel, Le Foll, Lienemann, Moscovici, Navarro, Patrie, Peillon, Poignant, Reynaud, Rocard, Roure, Savary, Schapira, Trautmann, Vaugrenard, Vergnaud, Weber (PSE-PS), Bennahmias (Verdi) ;
contrari : tutti gli eletti PPE-UMP, salvo Fontaine e Vlasto, assenti ; Beaupuy, Bourlanges, Cavada, Cornillet, De Sarnez, Fourtou, Gibault, Griesbeck, Laperrouze, Morillon (ADLE-UDF) ; Aubert, Cohn-Bendit, Flautre, Isler-Beguin, Lipietz, Onesta (Verdi) ;
astensione : Castex (PSE-PS).

c) Quanto al voto finale sul testo modificato, dopo l’adozione degli emendamenti negoziati fra il PPE e il PSE, ci sono stati 394 voti a favore, 215 contrari e 33 astensioni. I voti francesi si ripartiscono come segue :
per il progetto modificato : tutti gli eletti PPE-UMP salvo Fontaine e Vlasto, assenti ; tutti gli eletti ADLE-UDF ; Rocard (PSE-PS)
contrari : tutti gli eletti GUE-PCF ; tutti gli eletti PSE-PS, salvo Rocard ; tutti gli eletti Verdi, compreso Cohn-Bendit.

L’insieme dei voti esercitati riguardanti la proposta può essere scaricato al seguente indirizzo:
(bisogna disporre del sistema di lettura Acrobat Reader, che può comunque essere scaricato gratuitamente)
http://www.europarl.eu.int/

E adesso?

Si impone una constatazione : l’emendamento di un testo inemendabile sfocia su numerose disposizioni contraddittorie (un solo esempio : le disposizioni relative agli insediamenti per i servizi negli articoli 15, 16 e 32). L'insicurezza giuridica, paventata da molti esperti ascoltati l’11 novembre 2004, viene ulteriormente aggravata dal testo adottato dal Parlamento europeo. Di conseguenza, questo testo assegna un potere considerevole a chi dovrà per necessità interpretarlo, vale a dire la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, della quale però è nota la dipendenza nei confronti della Commissione Europea e la propensione a sentenziare in senso molto liberista al posto del legislatore. Non è questa una soluzione accettabile.

Il testo proposto dalla direttiva, modificato dal Parlamento europeo, non è meno pericoloso della sua mistura iniziale. Anzi, risulta più dannoso, in quanto i suoi intendimenti, identici agli obiettivi iniziali, sono all’oggi molto di più impliciti che espliciti, più celati che manifesti.
E la macchina mediatica a smobilitare, già molto attiva nel corso del dibattito parlamentare, non si ferma, oggi che è supportata dai discorsi dei partiti e dei sindacati che non attendevano altro che alcune modifiche cosmetiche per dare la loro adesione al testo. La Confederazione Europea dei Sindacati, appoggiando gli emendamenti di compromesso fra i conservatori (PPE) e la social-democrazia (PSE), ha mostrato una volta di più quali sono gli interessi che serve realmente. E questo vale anche per la CFDT (Confederazione Francese dei Lavoratori). Quindi ci si trova di fronte ad una provocazione ancora più grande di quella posta in essere dal testo redatto sotto la responsabilità di Fritz Bolkestein.

La conseguenza della procedura di co-decisione è complessa.
Primo stadio, la Commissione europea presenta una “proposta riveduta”. In che senso? Non è dato troppo sapere, salvo che è cosa rara che la Commissione si ricreda. Salvo inoltre che il Commissario McCreevy è stato molto chiaro davanti al Parlamento europeo, il 14 febbraio : le modifiche che mantengono degli ostacoli alla libera circolazione non sono accettabili. Ed è stato molto chiaro nel citare gli articoli 24 e 25 sul mercato interno soppressi dal voto sopraggiunto in Commissione, il 23 novembre scorso, soppressione confermata in seduta plenaria dal Parlamento europeo. McCreevy ha annunciato che la Commissione compenserà la soppressione di questi articoli mediante disposizioni (delle “guidances” ha dichiarato in inglese) che si appoggiano alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. McCreevy ha invocato a più riprese la giurisprudenza della Corte. Ma il governo dei giudici non può essere la regola per l’Europa! Il legislatore è l’eletto dal popolo, e non il magistrato.
Secondo stadio, il Consiglio dei Ministri esamina le differenti sezioni del documento. Può accettare il testo del Parlamento che, in questa ipotesi, diventerà legge europea. Ma può respingerlo, e quindi, o accettare la proposta riveduta della Commissione europea, o presentare un suo proprio testo. In questi ultimi due casi, il testo del Consiglio dei Ministri deve allora ritornare davanti al Parlamento.
Come si vede, la procedura non è giunta al termine.

Come ci si può rendere conto, i fautori del neoliberismo più selvaggio, dopo quasi due anni di posizioni sulla difensiva, hanno dovuto scendere a patti. La resistenza molto forte che si è espressa in modo particolare con le tante manifestazioni a Bruxelles, Berlino, Roma e Strasburgo ha messo sulla difensiva i fautori della direttiva sui servizi. L’interpellanza degli eletti li ha messi sotto il controllo dei cittadini. Hanno sentito la necessità di sopprimere certi articoli, e di modificarne altri, per dissimulare le loro intenzioni. Bisogna agire ancora di più. La dimostrazione arriva dal fatto che per il Parlamento europeo questo progetto non è più emendabile. La lotta per respingerlo continua !

Raoul Marc Jennar
ricercatore, URFIG/Fondation Copernic

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