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    Proposte di lotta per l’opposizione di classe

    (15 Marzo 2006)

    Si avvicinano le elezioni ed è abbastanza probabile (anche se non sicuro) che vinca l’Unione di Prodi, con la piena collaborazione di Rifondazione Comunista. Quali sono le prospettive per una continuazione della lotta e per evitare di essere schiacciati dalla nuova concertazione, non più soltanto sindacale, ma anche politica?

    Com’è possibile far capire ai lavoratori che un governo Prodi, per quanto diverso per certi aspetti da quello di Berlusconi, rimarrebbe tuttavia un avversario di classe?

    Una prima forma di lavoro politico è quella propagandistica, che chiarisce quali sono le caratteristiche antiproletarie di un governo di centro sinistra. Il propagandista - c’insegna Lenin - parte da un problema importante, per esempio, l’impossibilità per molte famiglie di giungere a fine mese, spiega come l’attuale basso livello dei salari sia legato ad una gigantesca redistribuzione del reddito, che permette alla borghesia di utilizzare i crescenti profitti non più nell’industria locale, ma in speculazioni finanziarie, o per creare nuove industrie in Paesi dai salari infimi, in cui si può sfruttare fino all’inverosimile la manodopera. Dimostra che nessun governo di centrosinistra può modificare realmente queste tendenze della borghesia. Spiega perché è da respingere l’accettazione della moderazione salariale, e che, se i lavoratori rinunciano a condurre una lotta salariale dura, si precludono la via per conquiste politiche assai importanti. Il discorso del propagandista è complesso, e si rivolge ad un numero limitato di persone, che abbiano la formazione necessaria per capire, o almeno si sforzino per raggiungerla.

    L’agitatore, invece, parte da casi che colpiscono l’opinione pubblica, per es. il licenziamento di un certo numero di operai, e cerca di radicare nella mente delle masse un’idea, per esempio che c’è una crescente incertezza nell’occupazione, che il “posto sicuro” non esiste praticamente più. Cerca di suscitare il malcontento, l’indignazione delle masse contro questo stato di cose e lascia al propagandista il compito di dare un quadro completo della situazione. L’agitatore opera prevalentemente con discorsi, volantini ecc, il propagandista con scritti più impegnativi.

    Il lavoro di propaganda e d’agitazione è insostituibile, e i comunisti devono sia spiegare le caratteristiche salienti del futuro governo Prodi, i suoi legami con settori industriali e finanziari, e fare un’analisi del suo programma politico, sia trarre esempi, dal passato o dal presente, per imprimere nella mente dei lavoratori l’idea che non si tratta di un governo amico.

    Ma, se questa attività necessaria deve essere adeguata alle capacità di comprensione dei lettori o dell’uditorio, e non deve essere stancante. Ripetere all’infinito che quello di Prodi è il governo dei banchieri, che bisogna rompere col centro liberale, sommergendo con volantini e articoli fatti in serie i lavoratori, è controproducente. Bertinotti, forte dell’appoggio di parte della stampa borghese, sempre presente nel dibattito televisivo e sicuro della robotica obbedienza dei funzionari e della stampa ufficiale del partito, di solito può tollerare queste polemiche “in nome della libertà di opinione”, ma non esita a colpire, tra gli applausi dei media, quando, per qualche circostanza, la critica giunge alla ribalta.

    Altri compagni preferiscono puntare sulle rivendicazioni programmatiche soltanto all’interno di Rifondazione: propongono una serie di punti, che sono in implicito – e a volte esplicito – contrasto col programma borghese di Prodi, sperando di suscitare forme di lotta all’interno del partito. Non c’è nulla di sbagliato in tutto ciò, salvo il fatto che si è in ritardo, questo tipo di lotta poteva essere utilizzata in periodi precedenti lontani dalle elezioni: la campagna elettorale, creando nella base un riflesso di unità, rende difficile il pieno sviluppo della critica. Le decisioni più importanti, inoltre, sono già state prese da tempo.

    Cosa fare allora? Un’ispirazione la può dare un punto delle “Tesi sulla tattica” del Congresso di Roma del Partito Comunista d’Italia (1922). Questo documento porta le firme di Bordiga e Terracini, fu approvato anche da Gramsci, perciò ogni comunista lo può accettare tranquillamente:

    “ Punto 35. D'altra parte il partito comunista non trascurerà il fatto innegabile che i postulati su cui il blocco di sinistra impernia la sua agitazione attirano l'interesse delle masse e, nella loro formulazione, spesso corrispondono alle reali loro esigenze. Il partito comunista non sosterrà la tesi superficiale del rifiuto di tali concessioni perché solo la finale e totale conquista rivoluzionaria meriti i sacrifici del proletariato, in quanto non avrebbe nessun senso il proclamare questo con l'effetto che il proletariato passerebbe senz'altro al seguito dei democratici e socialdemocratici restando ad essi infeudato. Il partito comunista inviterà dunque i lavoratori ad accettare le concessioni della sinistra come una esperienza, sull'esito della quale esso porrà bene in chiaro colla sua propaganda tutte le sue previsioni pessimistiche, e la necessità che il proletariato per non uscire rovinato da questa ipotesi, non metta come posta del gioco la sua indipendenza di organizzazione e di influenza politica. Il partito comunista solleciterà le masse ad esigere dai partiti della socialdemocrazia, che garantiscono della possibilità di realizzazione delle promesse della sinistra borghese, il mantenimento dei loro impegni, e colla sua critica indipendente ed ininterrotta si preparerà a raccogliere i frutti del risultato negativo di tali esperienze dimostrando come tutta la borghesia sia in effetti schierata su di un fronte unico contro il proletariato rivoluzionario, e quei partiti che si dicono operai, ma sostengono la coalizione con parte di essa, non sono che i suoi complici e i suoi agenti. ”

    Abbiamo parlato di “trarre ispirazione” da questo punto delle tesi, e non di applicazione pedissequa, che sarebbe impossibile, data l’enorme differenza delle situazioni. Basti pensare che oggi non esiste un autentico partito di classe.

    Bertinotti, Diliberto, e i gruppi dirigenti dei due partiti, da tempo hanno rinunciato ad ogni autonomia di classe, perciò il discorso di non porre in gioco l’indipendenza di organizzazione e di influenza politica non riguarda certo loro, ma coloro che, all’interno o all’esterno di Rifondazione, nella CGIL o nei sindacati di base, non hanno smesso di riproporsi la lotta per il socialismo, e sono contrari all’ alleanza con la borghesia. A questi ci rivolgiamo. Non sappiamo se, in tempi non troppo lunghi, sorgeranno le condizioni per la rinascita del partito di classe, ma questo ritardo storico non deve diventare una scusa per giustificare una completa passività.

    Ci sono molte rivendicazioni, che appaiono nei discorsi dei dirigenti di Rifondazione e negli articoli di “Liberazione”, che effettivamente possono interessare le masse: pensiamo all’abolizione della legge 30, al ritiro immediato delle truppe dall’Iraq, dall’Afghanistan e da altri fronti, l’abolizione della legge Moratti, il superamento dei contratti a tempo determinato, il ripristino della scala mobile, ecc. che non sono contenute, o lo sono in forma equivoca, nel programma dell’Unione, e possiamo essere sicuri che il nuovo governo farà il possibile per non realizzarle. Manca il partito di classe, ma ogni lotta deve avere lo stesso degli strumenti organizzativi, anche se non così completi ed efficaci. Per questo sarebbe importante che, dovunque esista un circolo combattivo di Rifondazione, o un gruppo di comunisti senza partito, o una sezione sindacale particolarmente agguerrita, si desse vita ad organismi di base collegati fra loro, col compito di lottare per abrogare le leggi che più ostacolano le lotte, a cominciare dalle leggi antisciopero, da quelle sulla pubblica sicurezza, ai vari “capolavori” del centrosinistra, ad esempio la Turco Napolitano (di cui la Bossi Fini è solo una variante), che ha istituito i CPT e così via. Naturalmente non si può procedere in modo indiscriminato – a volte, l’abolizione di una legge lascia un vuoto legislativo che può creare gravi danni a settori di lavoratori – occorre cercare di coinvolgere avvocati ed esperti di diritto del lavoro. Gran parte della legislazione berlusconiana e buona parte di quella degli anni novanta, cioè dei periodi in cui si è distrutto lo stato sociale, deve essere o abrogata o modificata.

    Senza una spinta delle masse nessun governo lo farà mai; nessuno può garantire fin da oggi che questa spinta ci sarà, ma è certo che si tratta dell’unica via che permetterebbe di allentare la morsa con cui la borghesia sta letteralmente soffocando, sul piano politico e sindacale, la classe operaia, e la condizione necessaria per riprendere la via di nuove e più importanti conquiste politiche e sociali. Noi comunisti possiamo certamente incentivare le lotte che sorgono dai lavoratori, spingere perché assumano forme organizzate, ma non suscitarle dal nulla, pretendendo di sostituirci alla classe operaia. Una grande chiarezza di pensiero è indispensabile per non cadere in forme sterili di volontarismo.

    Tutto questo non basta. Occorrerà seguire, appoggiare e rendere noti tutti i casi in cui settori di lavoratori si opporranno alla nuova concertazione sindacale, quale che sia il nome che i dirigenti sindacali le daranno. Forse le daranno un astruso nome anglosassone, per essere alla moda e, soprattutto, per evitare che i lavoratori comprendano subito che si tratta della solita minestra riscaldata.

    Questa lotte, ovviamente, costituiscono una forma d’opposizione, ma utilizzano rivendicazioni che la cosiddetta “sinistra radicale” ha lanciato, salvo rimangiarsele nei fatti per correre in braccio a Prodi. Anche molti lavoratori che credono nel centrosinistra possono lottare per esse, il che amplia notevolmente la rilevanza della lotta. Nessuno pensi che si tratti di richieste troppo modeste: le rivendicazioni devono essere commisurate non certo alle compatibilità della borghesia, ma ai rapporti di forza, e, se questi si modificano a favore dei lavoratori, si può risalire la scala delle richieste, chiedendo poi di più. Non è determinante da dove si parte, conta soprattutto il fatto che ci sia una rapida ascesa delle lotte e un rapido smascheramento delle reali intenzioni del governo e dei suoi alleati “di sinistra”.

    In poche parole, la consegna è questa: dopo la cacciata di Berlusconi, alla quale dobbiamo dare una mano (anche col voto, che non deve essere un plebiscito per Prodi o Bertinotti, ma una manifestazione di ostracismo per Berlusconi, alleato dei fascisti), non dobbiamo attendere una sola ora per presentare il conto al nuovo governo, per dirla alla Lenin, gettando “un po’ di fiele” nella “luna di miele” governativa, come i giornalisti chiamano il periodo iniziale dei governi. Nella speranza che lo spettro della lotta di classe sorga subito di fronte al volto allibito di quei politici, da Mastella a Bertinotti, da Diliberto a Prodi, da Rutelli a D’Alema, che si sono accordati nell’intento di esorcizzarlo.

    14 marzo 2006

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