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(14 Agosto 2012) Enzo Apicella

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XV congresso nazionale della Cgil Epifani offre su un piatto d'argento la Cgil all'eventuale governo dell'Unione

(19 Marzo 2006)

Con una logica di sindacato di governo riaffermate la concertazione e la "politica dei redditi". Lanciato il "patto sociale" con il nuovo esecutivo. Patta allineato con la destra. Rinaldini e Cremaschi borbottano ma votano la relazione e il documento finale

Occorre riorganizzare la sinistra sindacale
Come è andato il XV congresso nazionale, tenutosi dall'1 al 4 marzo scorso a Rimini? Verrebbe da dire, in una battuta: tutto come previsto, nessuna novità di rilievo rispetto alle previsioni precongressuali. Si potrebbe aggiungere che, sono almeno 22 anni, che le conclusioni di un congresso della Cgil non erano così scontate. Scontata la linea illustrata dal segretario generale uscente, il socialista Guglielmo Epifani, e scontata la sua rielezione a questo incarico, scontati i contenuti sintetizzati nel documento politico conclusivo, scontato (e deprecabile) l'allineamento delle espressioni più grosse della sinistra sindacale, più sfacciata quella di Patta e di "Lavoro e società", meno quella di Rinaldini e Cremaschi con a seguito "Rete 28 aprile", scontata infine la divisione dei posti del Comitato direttivo nazionale, ivi compresi i mugugni di quest'ultimi.

Le ragioni di questo epilogo dal nostro punto di vista negativo e non accettabile, noi le abbiamo denunciate più volte, stanno nel famoso patto precongressuale dei 12 segretari confederali per predeterminare lo svolgimento del congresso, stabilire la linea congressuale e definire le percentuali della spartizione degli incarichi tra la corrente maggioritaria riformista capeggiata da Epifani e dall'ex minoranza "Lavoro e società"; stanno nella deleteria decisione della maggioranza della sinistra sindacale di rinunciare a presentare un documento congressuale alternativo, stanno nel ripiego messo in campo da Rinaldini e Cremaschi, ovvero le due tesi alternative su contrattazione e democrazia, accettando però l'insieme delle tesi congressuali di Epifani.

Ma prima alcune cifre e notizie. L'assise di cui stiamo trattando riguarda il più grande sindacato italiano e tra i più grandi in Europa. Secondo i dati ufficiali la Cgil conta 5.587.307 iscritti (di cui 2.900.000 pensionati). Sono 1.605.701 gli iscritti che hanno partecipato ai congressi territoriali e di categoria. Oltre 54 mila le assemblee di base. Attenzione però a non farsi impressionare dai numeri perché non sempre la quantità corrisponde alla qualità. Specie nei congressi di base dove organizzazione dei lavori e definizione delle conclusioni hanno lasciato molto a desiderare. Al congresso di Rimini sono arrivati 1.222 delegati e delegate. Presenti anche 120 delegazioni estere e ben 300 giornalisti.

Il fatto che il congresso si sia svolto alla vigilia delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile prossimi, ha sollecitato una presenza in massa degli esponenti dell'Unione, con in tesa il leader, Romano Prodi, accompagnato da Fassino, D'Alema e quasi tutta la segreteria DS, Bertinotti per il PRC, Pecoraro Scanio per i Verdi, Diliberto per il PdCI, Parisi e Treu per la Margherita, Di Pietro per l'"Italia dei valori".
A rappresentare il governo, il braccio destro di Berlusconi, Gianni Letta, pubblicamente ringraziato da Epifani (sic!). Presenti inoltre i segretari di Cisl e Uil, Pezzotta e Angeletti, ma anche il segretario del sindacato fascista UGL legato ad AN (ex Cisnal) accolto con apertura e disponibilità dalla presidenza (un segno di come la discriminante antifascista sia stata liquidata anche a livello sindacale) e i rappresentanti della Confindustria.

È chiaro che un congresso (pre) organizzato come abbiamo accennato, non poteva che portare a votazioni di tipo plebiscitario. Il documento politico finale, che approva la relazione di Epifani e richiama i contenuti delle tesi congressuali, ha avuto infatti l'88% dei voti. Guglielmo Epifani è stato confermato con 140 voti a favore, 5 no e 2 astenuti da parte dei membri presenti del nuovo direttivo nazionale. Direttivo composto da 161 persone, oltre 140 posti sono andati alla corrente maggioritaria riformista del segretario generale, 23 alla corrente di Patta (con un consenso del 10% sulle sue "tesi alternative") mentre a Rinaldini e Cremaschi sono andati 17 posti, nonostante che avessero ottenuto il 15% sulle tesi congressuali da loro avanzate. Il congresso ha anche approvato una serie di ordini del giorno, tra cui quelli sulla Tav, la difesa della 194, contro la "riforma" della Costituzione, sulla direttiva Bolkestein, sulla Rai e altri ancora.

Ha fatto impressione, nell'ultimo giorno dei lavori, sentire cantare in un congresso della Cgil l'inno di Mameli, cioè l'inno per eccellenza della borghesia che piace tanto anche ai fascisti, non importa se eseguito da Vasco Rossi.

Il patto fiscale
Nella relazione di Epifani ciò che ha destato non diciamo sorpresa ma più interesse per capire cosa intende fare e come vuole collocarsi la Cgil nei prossimi anni, non è stata l'analisi della pessima situazione economica e sociale del Paese, nemmeno le cifre della crisi che hanno portato l'Italia negli ultimi posti della classifica europea su quasi tuti i campi, nemmeno ancora la prevedibile e attesa critica ai cinque anni del governo Berlusconi, anche se noi la giudichiamo insufficiente perché fatta in un ambito riformista e non portata fino infondo, ma il giudizio lusinghiero e acritico che egli ha dato sul programma elettorale dell'Ulivo e l'offerta di un "patto di legislatura" al nuovo governo dell'Ulivo se dovesse vincere le elezioni. Al quale chiede "Non una politica dei cento giorni, ma dei tremila".

Se c'è una critica al capitalismo italiano è legata al fatto che sarebbe inadeguato a reggere le sfide della globalizzazione. Il vertice riformista della Cgil lo vorrebbe più dinamico e moderno in economica e di tipo socialdemocratico in campo politico e sociale Nel documento finale si legge che sarebbe tempo "per una discussione sul modello capitalista italiano e sul ruolo di responsabilità, indirizzo, controllo, propulsione che il pubblico è chiamato a ricoprire".

Per Epifani, per "riprogettare l'Italia", occorre insomma un vero e proprio "patto sociale" col governo che verrà al quale dovrebbero aderire anche Cisl,Uil e le associazioni padronali, Confindustria in testa. "Proprio l'altezza di questa sfida - scrive - dà forza, senso e centralità alla richiesta che avanziamo di un nuovo patto fiscale". E aggiunge: "Su questo terreno - se Cisl e Uil fossero d'accordo come penso - insieme dovremo fare il primo passo: chiedere al governo che uscirà dalle elezioni, se avrà questi obiettivi nei suoi impegni di programma, un confronto in questa direzione, dando la disponibilità a negoziare, e a definire - se ve ne saranno le condizioni - un accordo di legislatura".

Da notare che una proposta simile fu lanciata nell'ultimo congresso nazionale della Cisl che è il sindacato di origine cattolica e democristiana che tradizionalmente ha perseguito la cogestione con governo e padronato.
La proposta di "patto sociale" di Epifani è esplicitamente "avanzata innanzitutto - si legge nella relazione - al centrosinistra, allo schieramento dell'Unione, alla vigilia delle elezioni legislative". "Oggi che il programma dell'Unione è stato varato, la Cgil può dire di trovarvi una risposta positiva... Di scoprirvi una valutazione dello stato del paese comune, una volontà di cambiare rapidamente, per non rassegnarsi al declino; una disponibilità ad un rapporto positivo con le organizzazioni sindacali".

Immediata ed entusiasta la risposta dell'economista borghese e democristiano Prodi che si è visto offrire su un piatto d'argento l'appoggio e il sostegno, di stampo neocorporativo, intanto della Cgil. Nel suo intervento salutato da applausi a scena aperta, un tempo impensabili, mostra di gradire l'offerta di collaborazione. Certo, "lavorare insieme" esclama, per riparare i danni del governo di "centro-destra" e "far ripartire l'Italia", per rilanciare il capitalismo italiano sulla scena europea e mondiale, per far recuperare ad esso competitività e capacità di penetrazione nei mercati.

A questo scopo è importante "riattivare il prezioso strumento della concertazione che con grande miopia è stato accantonato". Per ottenere questa collaborazione e rafforzare quella che viene chiamata "coesione sociale" si dovrà dare anche qualcosina ai più bisognosi e ai ceti più deboli.

Epifani, nell'eventualità che Berlusconi perda Palazzo Chigi, vuole tornare al più presto a una concezione di sindacato di governo, vuole recuperare il sistema della concertazione, potremo dire a un livello superiore inedito, trattandosi di un "patto di legislatura" di tipo politico generale, vuole tornare ad accordi che richiamano i precedenti siglati nel '93 per la "politica dei redditi" e nel '98 denominato "patto per il lavoro". All'interno di questa premessa ogni dichiarazione di autonomia e indipendenza del pensiero e dell'azione della Cgil, è pura retorica, suona di fatto falsa.

La piattaforma rivendicativa
Ed anche la piattaforma rivendicativa, in certe sue parti anche interessanti, quando chiede la cancellazioni di leggi come quelle della Bossi-Fini sull'immigrazione, della Moratti sulla scuola e l'Università, quando si schiera per l'abrogazione della controriforma costituzionale, quando chiede il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq, tende ad essere un po' troppo generica e annacquarsi. In essa ci sono comunque delle ambiguità che possono dare degli sbocchi diversi da quello che una lettura superficiale potrebbero far pensare. Ad esempio sulla legge 30 del leghista Maroni. Epifani non rivendica apertamente la sua abrogazione, come tra l'altro era scritto nella tesi 5, ma si limita a chiedere di "andare oltre la legge 30, ribaltandone la filosofia: vanno cancellate le norme che precarizzano il rapporto di lavoro".

Il che farebbe intendere che ci sono dei contratti di lavoro flessibili che non portano alla precarietà e che vanno conservati come il lavoro interinale e i famosi collaboratori continuativi a progetto. Che è la stessa posizione che si ritrova nel programma dell'Unione. È vero che nel documento politico finale si torna ad usare la parola "cancellare" la legge 30 ma non c'è garanzia che questa posizione venga effettivamente tenuta in sede di confronto col governo e la Confindustria.

Le stesse rivendicazioni contenute nel suddetto "patto fiscale" tipo la restituzione del drenaggio fiscale, la riduzione del carico fiscale sulle pensioni, il ritorno alla progressività del prelievo fiscale, l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie e dei patrimoni e la lotta all'economia sommersa non è che siano da disprezzare, a parte una loro necessaria ulteriore precisazione. Ma un conto è affrontarle in modo vertenziale, un altro conto metterle nel calderone di un "patto sociale" più ampio che le rende oggettivamente subordinate e compatibili alla realizzazione di obiettivi economici generali.

Il rilancio della concertazione non può non includere il rilancio della "politica dei redditi" e la "riforma" del modello contrattuale contenuto dell'accordo del 23 luglio '93; così come vanno chiedendo da tempo la Cisl da un lato e la Confindustria dall'altro. Nelle conclusioni del congresso c'è ancora la difesa del contratto nazionale e dei due livelli di contrattazione, così come c'è l'invocazione del diritto dei lavoratori ad approvare con il referendum le piattaforme e gli accordi contrattuali.

Tuttavia, nel gioco dello scambio e del dare avere, sia con le altre due organizzazioni sindacali, sia con Montezemolo, verso il quale Epifani esprime apprezzamenti davvero ingiustificati, c'è già un'apertura per trovare nei mesi avvenire delle posizioni comuni che, forza maggiore, comporteranno delle concessioni.

Tacitato il dissenso
In nome del "congresso unitario" tutte le espressioni della sinistra sindacale, fuorché quella nostra poiché nessun militante o simpatizzante del PMLI è arrivato al Congresso nazionale, si sono accodate alla linea di Epifani. Il dissenso sindacale di sinistra che nei passati congressi, non solo contestava la proposta congressuale della maggioranza riformista ma esprimeva un suo documento alternativo, è stato in pratica messo a tacere, a parte dei mugugni di nessun significato pratico. Di Patta era noto l'orientamento, avendo stabilito un accordo congressuale col segretario Epifani, comprendente lo scioglimento dell'area programmatica "Lavoro e società". Nel corso della consultazione congressuale è stato tra i più attivi e accaniti nella difesa delle tesi congressuali. E perciò era logico che in sede di congresso nazionale riconfermasse ufficialmente questa posizione. Anche se ha annunziato di voler ricostruire "Lavoro e società" ma come una corrente all'interno della maggioranza della destra della Cgil.

Una corrente che finisce per fare la copertura alla segreteria e che, a questo punto, non ha le carte in regola per rappresentare coerentemente la sinistra sindacale in Cgil.
Nella sostanza il comportamento di Rinaldini in congresso non è stato molto diverso. Nel suo intervento si è limitato ad esprimere un disagio rispetto all'accordo del 23 luglio 1993, a chiedere di evitare di definire di legislatura il patto fiscale contenuto nella relazione di Epifani e sulla posizione secondo cui il sindacato non ha "governi amici", intendendo quello eventuale di Prodi, non è stato affatto limpido. Rinaldini ha votato a favore del documento conclusivo e, come è noto, si colloca nella corrente della maggioranza riformista e non intende dare vita ad alcuna distinta area programmatica della sinistra sindacale.

Cremaschi, che ha impostato tutta la battaglia in sintonia con Rinaldini, nel suo intervento ha sì criticato "la strada della concertazione e dell'accordo del 23 luglio" ma poi si è messo ad esaltare l'arcirevisionista e riformista di destra Giuseppe Di Vittorio, che è stato il padre di questa concezione concertando col governo e il padronato d'allora il "patto per il lavoro". Anche lui ha approvato relazione introduttiva e documento politico finale. Non è chiaro se dopo il congresso formalizzerà la costituzione dell'area programmatica in Cgil "Rete 28 aprile". Staremo a vedere e valuteremo in quel frangente.

Noi vediamo comunque la necessità, se possibile ancora più forte di prima, di riunire e riorganizzare la sinistra sindacale in Cgil, per contrastare la linea concertativa e di "patto sociale" varata nel congresso, per evitare che i diritti dei lavoratori e delle masse popolari siano, ancora una volta, sacrificati alle esigenze economiche e politiche del capitalismo italiano e della classe dominante borghese, per far affermare, nel tempo, un modello di sindacato diverso, che per i marxisti-leninisti si concreta nella parola d'ordine del grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale nelle mani dell'Assemblea generale dei lavoratori.

Pmli 15 Marzo 2006

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