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    Comunisti : antagonismo e alternativa

    (23 Marzo 2006)

    La strada sembra spianata, l'approdo sicuro: Rifondazione Comunista si appresta a trasformarsi in un soggetto “antagonista” e “competitivo” all'interno del sistema, posto ben oltre la tradizione marxista.

    Il nuovo soggetto, al di là delle proclamazioni verbali e dell'eventuale continuità nei simboli distintivi, sarà di stampo “radical-movimentista”, ponendosi il compito di rappresentare, in chiave governativa (sia a livello centrale, sia in sede locale: insomma, un partito con ministri ed assessori, seguendo la logica dell'alternanza) i “movimenti”, senza sviluppare, però, una qualche gerarchia delle contraddizioni sociali, considerate meramente “supplementari” e non “alternative”.

    Il nostro è un giudizio netto, che nasce da una lettura delle motivazioni di fondo che il segretario nazionale del PRC esprime nelle molte intervista rilasciate, in questi giorni, su questo tema, soprattutto laddove si afferma che “nella storia della sinistra l'uguaglianza ha prevalso sulla libertà della persona umana”.

    Passo avanti o ritorno all'indietro?

    In questo modo, a nostro giudizio, si saltano due secoli di storia, tornando direttamente all'illuminismo (fa il paio con questa posizione anche Jean Chesnaux, dalle colonne del “Manifesto”, quando torna a parlare di “centralità dell'individuo”) eludendo, così, il nodo di ciò che può ancora rappresentare, oggi, la critica dell'economia politica.

    Come si possa, ad esempio, a questo punto riprendere concretamente il tema dell'alienazione rimane, sempre a nostro avviso, un punto di difficoltà insuperabile, tale da far prevedere come il nuovo soggetto che dovrebbe uscire da questo profondo travaglio politico, rimarrà privo di una identità ben definita (dote di cui, per la verità, Rifondazione Comunista non è mai stata compiutamente in possesso), come del resto è già capitato all'altro troncone della diaspora comunista in Italia: quello PCI-PDS-DS.

    Un partito, quello che sortirà dalla trasformazione di Rifondazione Comunista, che, nella sostanza, sarà tenuto assieme soltanto da una forte connotazione leaderistica, esercitata a tutti i livelli.

    Questo stato di cose porterà, oggettivamente, come ci è già capitato più volte di scrivere, all'apertura di un importante spazio politico a sinistra.

    Non si tratterà, però, soltanto del sorgere dell'esigenza di riempire un “vuoto”, ma del proporsi di un tema assai più complesso: quello della necessità di una proposta adeguata sul piano teorico.

    A questo punto, fatta la tara dell'inadeguatezza intellettuale di chi scrive queste note, proveremo comunque a cimentarci sviluppando alcune prime, sommarie, argomentazioni di merito.

    Identità ed Autonomia progettuale dei Comunisti

    La domanda che dobbiamo prioritariamente porci, alla luce di quanto fin qui analizzato, è sostanzialmente questa: può essere ancora possibile far ripartire una possibilità di affermazione per una identità ed una autonomia progettuale dei comunisti, in Italia?

    Senza alcun timore di andare contro-corrente rispetto a gran parte della pubblicistica oggi in voga, la risposta a questa domanda sta, ancora, nella capacità di avviare una riflessione sulla concezione gramsciana dell'egemonia, proponendone un processo di concreta riattualizzazione.

    Nel frattempo si sono affermate alcune novità:

    La constatazione del profondo limite di penetrazione e di credibilità che incontra, all'interno di una società mutata nel senso di una tumultuosa complessificazione, un sistema di partiti occupato quasi esclusivamente nell'esercizio dell'invadenza del potere (di cui è testimone l'attuale legge elettorale,soltanto per fare l'esempio più semplice ed immediato);

    Il pressoché definitivo esaurimento delle tradizionali formule politiche;

    L'esigenza di rinnovare a fondo l'identità politica della forze di trasformazione, a fronte dei rilevantissimi mutamenti avvenuti, in particolare sul piano internazionale, rispetto a fattori del tutto fondativi per qualsiasi ipotesi di intervento politico: la scienza, l'economia, la cultura, il costume di vita quotidiana.

    Spostando, per un attimo, il ragionamento sul piano della riflessione storica va ricordato come Gramsci, fin dal'22 ma in forma assai più compiuta nel'26, individuasse, con grande lucidità, l'estrema articolazione esistente nella composizione di classe ed il ruolo determinante della sovrastruttura.

    Da questa analisi Gramsci trasse, e con lui l'intera tradizione del movimento comunista italiano, alcune conseguenze di grande importanza:

    a) la necessità di formare, attraverso un articolato lavoro di lotta sociale e politica, un blocco storico anticapitalistico. Una lezione valida tanto più oggi, per l'esigenza di pressanti ragioni derivanti dalla complessificazione del sistema sociale e dalla radicalizzazione della lotta politica, sicuramente non riassumibile nello schema del bipolarismo e dell'alternanza;

    b) l'utilizzo della mediazione praticabile da forze politiche profondamente ramificate nel senso comune di massa, smantellando un apparato egemonico costruito dall'avversario, per costruirne uno radicalmente alternativo: insomma il contrario del semplice “antagonismo competitivo” interno al sistema;

    c)l'operatività di un partito, in grado di agire non come semplice avanguardia, ma come intellettuale collettivo, promotore di una trasformazione di tipo intellettuale e morale: anche in questo caso, al contrario del leaderismo, della personalizzazione della politica, della governabilità quale fine esaustivo dell'agire politico;

    d)l'esigenza, infine, di fare tutto questo attraverso un non breve processo di lotta, all'interno delle società capitalistiche, con parole d'ordine intermedie e positive e con una forte attivizzazione e partecipazione di massa (al contrario, ancora una volta, del partito: “comitato elettorale”).

    In sostanza, in Gramsci, ma è il punto che davvero vorremmo riprendere per riflettere meglio sull'oggi, la traduzione italiana del leninismo è vista accentuando soprattutto l'elemento della rivoluzione quale processo sociale, tale da definire – fin d'allora e senza riscoperte tardive – l'immediato rapporto di profondo intreccio tra la democrazia ed il socialismo.

    E' proprio Gramsci, dunque, che riporta l'accento sul processo sociale, sull'elemento della transizione quale lunga fase storica; tutta la sua ricerca nacque come sforzo per applicare, nel concreto della situazione italiana, la novità della lezione leninista sulle alleanze e sul primato del potere politico, rifiutando il limite storico dell'economicismo piattamente evoluzionista.

    A questo punto sorge spontanea una domanda: quali riflessi concreti può ancora portare un patrimonio di questo tipo, che ci permettiamo di proporre quale base teorica, per la battaglia da intraprendere per mantenere ,in Italia, una identità ed una autonomia politica dei comunisti?

    Da una scelta di questo tipo derivano almeno due conseguenze:

    a) la necessità di un partito che deve tornare ad essere visto come forza di avanguardia, egemone rispetto ad un vasto ed articolato schieramento di forze sociali e politiche. Il fatto che il partito esprima un processo diretto verso l'universalità e che tale processo appaia come la progressiva assunzione, in forme nuove e coerenti, di una ipotesi di transizione, deve significare che il partito stesso tende ad esercitare una egemonia sempre più larga. Una egemonia che, non essendo soltanto influenza ma anche azione reale per una trasformazione della società, tende a superare le basi strutturali delle culture e delle ideologie precedenti e a risolverle in un nuovo orizzonte storico, rifiutando in toto il concetto di “fine della storia”;

    b) il partito deve costituire lo strumento di elaborazione per una verità continuamente autocriticantesi. E' ciò che Gramsci definisce “storicità del marxismo”; una storicità che egli non si limita, come aveva fatto Luckàs a confinare in una epoca ipotetica, in cui le basi strutturali della società classista fossero superate.

    Gramsci estende il concetto di “storicità” a tutto il processo di trasformazione che appare, dunque, radicalmente e conseguentemente, come prefigurazione della nuova società, quale progressivo affermarsi in nuce di una positività e di una universalità delle istanze sociali, più direttamente legate alla idea della della liberazione.

    Si tratta di un dato da acquisire nella realtà di oggi, in forma completamente alternativa a quella corrente della “caduta della diversità” e dell'omologazione, liquidando subito quel limite di evidente strumentalismo che sta riaffiorando, pericolosamente, nelle scelte che sta compiendo parte della sinistra italiana, cui ci stiamo riferendo nel corso di questo nostro lavoro.

    Alcune provvisorie conclusioni

    In conclusione, è necessario accennare ancora ad alcuni fenomeni:

    Il determinarsi di nuove fisionomie sociali, definite frettolosamente quali elementi di vera e propria definitiva scomposizione della realtà di classe. Al contrario (come dimostra l'esempio francese) ci troviamo di fronte a potenzialità di allargamento nella realtà stessa della possibile base sociale del blocco antagonista, che si realizza proprio mentre si moltiplicano e si approfondiscono all'interno della realtà sociale le differenziazioni di reddito, di abitudini, di funzioni produttive, esaltate da quella internazionalizzazione del conflitto che non affrontiamo in questa sede, per ragioni di mera economia del discorso. La base sociale del blocco antagonista suddivisa dalla frantumazione del lavoro, dall'alienazione urbana, dall'aggressione industrialista alla natura, dalla differenziazione di sesso, dai conflitti sociali che oggettivamente portano i processi di migrazione, non può essere raccolta a livello immediato e sociologico, ma soltanto attraverso la mediazione e la sintesi politica;

    Esiste, inoltre, un punto di evidente crisi del sistema che non può non essere rimarcato con forza. Fin qui il liberismo, accettato da tutti, aveva garantito una capacità unificante attraverso lo sviluppo, comunque, delle forze produttive. Il fenomeno di quella che abbiamo definito, fin dalle soglie del millennio, come “globalizzazione” e la richiesta di cessione di sovranità dello “stato nazionale” con la crescita trasversale del potere delle multinazionali, non realizza più questo elemento, neanche attraverso, come abbiamo potuto osservare nei tempi più recenti, rilanciando pesantemente l'industria bellica. L'incertezza nel controllo dell'uso delle risorse naturali e la difficoltà nel controllo totale dello sviluppo tecnico – scientifico (nuovi Paesi si autoinvitano al tavolo del nucleare; i tassi di sviluppo di India e Cina rappresentano, ormai, un pericolo concreto per una certa visione del dominio del mondo), oltre ad una lunga fase di dominio delle “lobby” tecno-teocratiche al vertice della superpotenza, stanno portando il sistema ad una rischio, non immediato ma concreto, di implosione.

    I comunisti, in Italia e altrove, posseggono dunque ragioni fondative per ricostruire, in questo difficile frangente, una propria capacità prefiguratrice fornendo, attraverso l'identità e l'autonomia della propria struttura politica, forma, coscienza, realtà sociale, analisi delle contraddizioni.

    Questo è vero perché il carattere di classe, il meccanismo dello sfruttamento, non solo perdurano ma giungono, alfine, nella loro pienezza esprimendosi in forme nuove.

    Appare, per la prima volta, in evidenza la contraddizione fondamentale del sistema: quella tra il valore d'uso ed il valore di scambio; quello della reificazione dell'uomo, del suo lavoro, del suo consumo.

    Una risposta meramente “movimentista” e “governativista” a questo arco di problematiche risulterebbe troppo debole; serve ancora una soggettività che abbia l'eguaglianza come orizzonte, esercitando, nel proporla, un ruolo di avanguardia egemone, misurandosi con tutte le pieghe della società nell'espressione di un progetto di alternativa radicale allo stato di cose presenti.

    Savona, li 22 Marzo 2006

    Franco Astengo

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