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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Giovani Comunisti - Rivoluzionari del XXI secolo

Verso la III conferenza dei Giovani Comunisti

(31 Marzo 2006)

La Conferenza nazionale dei giovani Comunisti del Prc si terrà nel mese di Luglio. Tra maggio e giugno si svolgeranno le conferenze in ogni federazione. La Conferenza prevede documenti, fra loro contrapposti, che per essere presentati a livello nazionale devono ottenere duecento firme entro il prossimo 15 aprile. Questo che presentiamo di seguito è il l'appello proposto dai sostenitori di FalceMartello, tendenza marxista nel Prc, la base politica su cui raccoglieremo le firme di adesione per il nostro documento che vogliamo presentare nelle conferenze dei Gc in tutta Italia.

Invitiamo tutti i giovani comunisti a leggere, discutere e sostenere questo appello. Se volete organizzare una presentazione del documento nel vostro circolo o federazione, desiderate sostenerlo o, più semplicemente, per ogni informazione, scrivete all'indirizzo dario.salvetti@marxismo.net oppure telefonate allo 026480488.

1. Quattro anni fa la nostra Conferenza fu totalmente incentrata sulla proposta del gruppo dirigente di aderire alla Disobbedienza. Oggi di quella proposta non rimane in piedi nulla. Il Laboratorio dei Disobbedienti è imploso su se stesso, dividendosi in un arcipelago frammentato dagli scontri di vertice con un grave disorientamento della nostgra organizzazione. Posti dalla disobbedienza sul terreno sterile del conflitto “simbolico” e mediatico, i Giovani Comunisti hanno mancato di intervenire politicamente nel conflitto reale che ha attraversato il nostro paese durante gli anni del Governo Berlusconi. Usciamo da un ciclo di mobilitazioni dalle caratteristiche estremamente radicali (basti pensare alla lotta di Melfi, degli autoferrotranvieri, di Scanzano, Acerra, della Val Susa ecc) e ci troviamo al punto minimo del nostro radicamento. Compito di questa conferenza è discutere i metodi e i programmi con cui ribaltare questa situazione. Tanto più che è nostra convinzione che le mobilitazioni viste fin qui non siano di natura episodica, ma al contrario sono solo anticipazioni di nuovi e più profondi movimenti di massa, come in questi giorni ci testimonia la grandiosa mobilitazione in Francia.

2. A livello internazionale la crisi del capitalismo si riflette fedelmente nelle difficoltà della principale potenza imperialista, gli Usa. Il continuo aumento delle spese militari e le continue minacce di intervento armato che rivolgono in giro per il mondo sono tutto fuorchè segnali di forza. In Iraq sono impantanati in una guerra che non possono vincere e proprio per questo stanno lavorando attivamente per dividere quel paese in una guerra civile su basi religiose ed etniche. L'alternativa è ancora quella delineata da Marx: o socialismo o barbarie. E proprio nel cortile di casa americano, l'America Latina, torna ad affacciarsi la possibilità di un cambiamento in senso socialista della società. In tutto il continente assistiamo ascesa della lotta di classe, basti pensare all'insurrezione boliviana della scorsa estate o al processo rivoluzionario in Venezuela dove irrompe il dibattito sul socialismo del XXI secolo. Un ciclo di lotte che nelle sue punte più avanzate non ha trovato espressione nelle idee propagandate dal nostro gruppo dirigente come l'ultima frontiera del “movimento”, ma bensì nei metodi classici della lotta di classe: insurrezioni, scioperi generali, occupazione e lotta per il controllo delle fabbriche e per la nazionalizzazione della produzione sotto il controllo dei lavoratori. La situazione in America Latina deve essere oggetto di attenzione e di studio approfondito, sviluppando campagne politiche permanenti di solidarietà, sul modello ad esempio di quello fatto con la campagna “Giù le mani dal Venezuela ”.

3. All'interno della crisi generale del capitalismo, il capitalismo italiano vive un proprio processo peculiare di declino. Un declino che è fotografato dalla perdita di quote di mercato, dall'aumento del deficit commerciale e dalla crisi industriale permanente. Non si tratta di prendere atto di questa situazione per invitare la “patria” ad una reazione, sul modello degli appelli fatti da Prodi. Si tratta di analizzarla per capire il contesto in cui si svilupperà la mobilitazione sociale nel nostro paese. L'ideologia che sta alla base dell'Unione, penetrata fin dentro il nostro partito, sottintende che proprio il declino dell'economia italiana crei una disponibilità tra i settori “sani” della borghesia (quali siano questi settori rimane un mistero) ad una via di sviluppo basata su innovazione tecnologica, di prodotto e diritti dei lavoratori. La realtà è opposta: la condizione della classe operaia e dei settori oppressi della società è letteralmente crollata nel corso degli ultimi 20 anni, con'un accelerazione particolare nell'ultimo decennio. È la grossa parte dei peggioramenti si concentrano sulle spalle proprio sui giovani. Se nel 1982 il 52% della ricchezza prodotta nel paese andava al reddito dipendente, oggi questa quota è ridotta ad un misero 40%. Al 54% più povero della popolazione va appena il 12% del reddito mentre il 2% più ricco ne assorbe il 26%. Si tratta di una situazione di crescente polarizzazione economica della società che finirà inevitabilmente per riflettersi in una profonda polarizzazione politica.

4. In questo scenario, dopo cinque anni di continua retorica movimentista, il partito torna all'interno della gabbia dell'Unione. Mentre tutto il dibattito interno viene monopolizzato dalle questioni istituzionali, i circoli approfondiscono la propria crisi di militanza. Se dieci anni fa il nostro appoggio al governo Prodi fu giustificato con l'idea che avremmo dovuto fare in parlamento i supplenti di un movimento che non c'era, oggi si teorizza che saranno i movimenti a permetterci di spingere a sinistra l'Unione. Ma se prendiamo ad esempio la nostra partecipazione ai governi locali del centrosinistra non esiste un solo caso dove questo sia avvenuto. Tutto al contrario: laddove si sviluppano delle mobilitazioni il partito si vede costretto ad uscire dalle giunte di centrosinistra o a rimanervi isolandosi dallo stesso sviluppo delle lotte. Non è stato questo il caso di Acerra, della lotta in Val di Susa, di Bologna ecc.? Il centro moderato della coalizione, Prodi in testa, non accoglie il nostro partito nell'Unione per riconoscere le ragioni delle mobilitazioni che vorremmo rappresentare, ma tenta di ingabbiarci nella più classica delle politiche concertative.

5. Come dimostrano le prese di posizioni di Confindustria o del Corriere della Sera, di fronte alla probabile sconfitta del centrodestra, buona parte della borghesia concentra tutte le proprie attenzioni sull'Unione. Dopo aver tentato per cinque anni la carta dell'attacco frontale alle condizioni dei lavoratori, i padroni si vedono costretti ad appoggiarsi sulle stesse direzioni del movimento operaio per continuare la propria politica. Dietro a questo cambio di cavallo, tuttavia, non si nasconde alcuna “scelta strategica”. Mentre con una mano spremono le organizzazioni dei lavoratori e i partiti di sinistra, dall'altra preparano l'alternativa a destra attraverso una campagna reazionaria all'interno della società fatta di xenofobia, razzismo, integralismo cattolico e familismo. Ciò che oggi appare sul terreno elettorale “un'unione” per fermare la destra, nella realtà si trasformerà in una delle principali cause di un suo ritorno in grande stile.

6. Proprio la costante campagna razzista orchestrata dalla borghesia attraverso i media, partiti come la Lega e gruppuscoli fascisti di ogni genere deve farci porre al centro della nostra attenzione la questione dell'immigrazione e della lotta alla xenofobia. Il padronato avvelena il movimento operaio con il razzismo per scaricare sugli immigrati la crisi economica. Recentemente Sassuolo, un piccolo centro del modenese, è diventato noto alle cronache nazionali per il pestaggio da parte dei carabinieri di un marocchino. Questa piccola cittadina si è trovata non casualmente ad essere simbolo dello scontro tra razzismo e movimento operaio. Giusto qualche mese prima, a seguito dello sgombero indiscriminato di 60 famiglie di lavoratori immigrati dal palazzo in cui alloggiavano, nella zona si era sviluppato un movimento unitario tra lavoratori italiani e immigrati. Un movimento promosso e reso possibile da un gruppo di Giovani Comunisti sulla base di alcune condizioni politiche: l'assoluta autonomia dalla linea sciagurata di accordi col centrosinistra del partito (a Sassuolo la giunta che sgomberava gli immigrati era di sinistra e l'assessore alla casa addirittura un compagno di Rifondazione) e il radicamento degli stessi Gc nei luoghi di lavoro come attivisti sindacali per poter intercettare la richiesta di mobilitazione dei lavoratori immigrati coinvolti nello sgombero.

7. Tutt'oggi, invece, la presenza organizzata dei Giovani Comunisti nei luoghi di lavoro rimane complessivamente nulla. Alle annunciate campagne sulla precarietà non è mai corrisposto un intervento paziente verso quelle lotte dei precari che pure si sono sviluppate. Si tratta anche del risultato finale di anni in cui la nostra organizzazione è stata imbevuta di teorie che negavano l'attualità del concetto di proletariato o sminuivano la portata del conflitto tra capitale e lavoro. Le lotte degli ultimi anni come quelle degli stabilimenti Fiat di Termini Imerese o di Termoli, passando per Melfi, per gli scioperi degli autoferrotranvieri fino alle recente vicende degli scioperi di appoggio alla lotta no-Tav o del contratto metalmeccanici dimostrano quale sia l'abisso tra la disponibilità alla mobilitazione di settori significativi di giovani lavoratori e l'arrendevolezza delle direzioni sindacali nel cercare l'apertura di una nuova stagione concertativa. Contraddizione particolarmente evidente nelle lotte dei precari in aziende quali Tim, Atesia, Unicab, call centers siciliani, ecc.Nostro compito è far leva su simile contraddizione per ricostruire in Cgil un'opposizione di sinistra degna di questo nome. Un'opposizione che, per potersi distaccare dalla malsana tradizione burocratica che ha caratterizzato anche la ormai defunta sinistra sindacale, dovrà inevitabilmente trovare nei giovani la propria linfa vitale e costituirsi attorno a due questioni chiave: la richiesta della trasformazione di tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato e la proposta di nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende in crisi come unica via per fronteggiare la crisi economica.

8. La lotta per il radicamento fra i giovani lavoratori va affiancata a una mobilitazione generale contro la disoccupazione che veda al centro la rivendicazione del salario garantito per tutti i disoccupati, come mezzo di unificazione delle lotte e strumento fondamentale di risposta al ricatto del lavoro nero, della precarietà, dell'emigrazione e dell'economia criminale.

9. Se il nostro intervento nei luoghi di lavoro non ride, quello nel movimento studentesco piange. Tanto più che si tratta dell'unico terreno dove i Gc avevano raggiunto nel proprio passato un certo livello di radicamento attraverso la costruzione, seppur con metodi criticabili, dei collettivi studenteschi. La scuola pubblica è al collasso. Non esiste un solo capitolo dell'istruzione che non sia stato peggiorato: condizione salariale e contrattuale dei docenti, tempo pieno, ritmi di studio, costi ecc. Non si tratta solo del risultato di cinque anni di Moratti ma di un disastro accumulato da quasi 20 anni di attacchi alla scuola pubblica, acceleratisi particolarmente con i progetti di Autonomia Scolastica e Universitaria varati proprio dal precedente governo di centrosinistra. Progetti che il Governo dell'Unione si ripromette di riprendere, approfondire e, se possibile, peggiorare. Nello scorso autunno abbiamo assistito ad un accenno di mobilitazioni in scuole ed università. Un accenno, a nostro parere, estremamente sintomatico sia delle potenzialità presenti sia dei limiti attuali del movimento studentesco. Limiti che risiedono principalmente nell'assenza di una struttura in grado di unificare su scala nazionale e sulla base di un coerente programma di difesa dell'istruzione pubblica le potenziali mobilitazioni studentesche. Finché esiste simile vuoto l'Unione degli Studenti potrà continuare a giocare un ruolo di freno nelle mobilitazioni, tanto più con un governo di centrosinistra. Per questo non si tratta di formare semplicemente collettivi studenteschi (cosa che peraltro sarebbe un passo in avanti rispetto all'attuale nostro livello di intervento), ma si tratta di formarli e collegarli sulla base di un programma e di una struttura nazionale. In ogni istituto e università dobbiamo formare Comitati e collettivi in difesa della scuola pubblica discutendo un programma di rifiuto di qualsiasi forma di privatizzazione dell'istruzione e di lotta senza quartiere alla selezione di classe, per un'istruzione pubblica, gratuita, laica e di massa!

10. La crisi della società si manifesta in una generale pressione sulle giovani generazioni, chiamate a pagarne il prezzo in termini di maggiore sfruttamento, precarietà, distruzione del diritto allo studio e con la crescita di un soffocante clima di oscurantismo che alimenta campagne di criminalizzazione (legge Fini sulle droghe), di repressione, ecc. Affrontiamo questa conferenza con l'obiettivo di proporre la costruzione dei Gc come organizzazione combattiva, militante, capace di portare la rabbia e la voglia di cambiamento delle giovani generazioni all'interno dei Giovani comunisti e del partito. È questa la via per riscattare i Gc e il nostro partito dall'attuale, disastrosa subordinazione alla linea governista.

Jacopo Renda, Elisabetta Rossi, Dario Salvetti

moduli di adesione , completi delle firme degli iscritti ai Giovani comunisti con tessera 2005, dovranno pervenire entro il 12 aprile
via fax allo 0266201615
oppure in allegato all'indirizzo dario.salvetti@marxismo.net

Stefano Pol

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