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Legge 30: lottare per abolirla. Come in Francia

(8 Aprile 2006)

In questi giorni in Francia si sciopera contro una legge che introduce una forma di contratto di formazione lavoro: il Contratto di Primo Impiego. E’ una lotta che anche in Italia bisognerebbe in qualche modo emulare. Parliamo della condizione dei giovani e dei lavoratori precari, sempre più penalizzati da inique normative in materia di lavoro, che in questi anni hanno reso sempre più problematica la qualità della vita di milioni persone, che subiscono il ricatto quotidiano della mancanza di un’occupazione stabile e sufficientemente retribuita. È la grande difficoltà di vivere in una società incapace di dare risposte e un futuro alle grandi masse. In questa situazione appunto, sono le giovani generazioni quelle più penalizzate, per loro si allontana sempre più la possibilità di un rapporto di lavoro garantito: il contratto a tempo indeterminato è sempre più un miraggio In questi anni, anche a partire dal “Pacchetto Treu”, introdotto nel ‘97 dal governo Prodi, si è avuto un grande dibattito circa la necessità di aiutare le imprese a rilanciare la competitività sui mercati internazionali attraverso l’abbattimento del costo del lavoro che è il vero obbiettivo anche per quanto riguarda la legge 30. Si diceva che la flessibilità avrebbe ricreato una situazione con bassi tassi di disoccupazione e che il problema semmai era “solo” quello di trovare delle soluzioni in termini di ammortizzatori sociali per quei lavoratori che perdevano il posto di volta in volta. Bene. In questi anni indubbiamente, lo dicono le cifre, le imprese hanno incrementato i profitti in maniera davvero notevole anche e soprattutto in virtù delle leggi che i vari governi hanno emanato con l’obbiettivo di tagliare il costo del lavoro, ma i lavoratori non hanno avuto i vantaggi che erano stati loro promessi. In compenso abbiamo avuto salari sempre più bassi e largamente insufficienti, peggioramento delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, una crescente sottomissione ai padroni: l’introduzione di nuovi contratti mette in discussione il diritto di ammalarsi, il diritto di maternità per le lavoratrici e - non ultimo - il diritto di accedere a quello che ancora oggi è principale strumento di difesa per un lavoratore, ovvero l’adesione al sindacato. Da questo punto di vista la Fiat è un esempio emblematico.

Soprattutto sarebbe utile aprire una discussione profonda sull’operazione ideologica che è stata tentata in questi anni, e spesso purtroppo è anche riuscita, attraverso l’intervento nel mondo del lavoro della legge 30. Questa operazione ideologica ha consistito e consiste nel tentativo di radicare nella mente dei giovani in particolare un’idea del lavoro del tutto distorta, dove il lavoratore smarrisce la percezione della dimensione collettiva del posto di lavoro e diviene invece un semplice individuo, isolato e totalmente succube dell’azienda, chiuso in se stesso, spesso impossibilitato a rapportarsi con chi lavora vicino a lui. Condannato ad avere una visione alterata della propria condizione e magari chiamato a sentirsi - a dispetto della realtà - “imprenditore di se stesso”. In tale contesto i diritti, il salario, le condizioni di vita materiali (pensiamo alle difficoltà enormi di accesso ai mutui per la casa) vengono completamente sopraffatti. A ciò si accompagna un’altra deformazione ideologica: la mitologia del “piccolo è bello”, dell’impiego nella piccola media impresa a carattere familiare, che invece poi è quella dove il lavoratore ha meno diritti e che poi non reggere le crisi e quindi fallisce creando altra disoccupazione.

Di fronte a queste enormi criticità c’è il sindacato. Sarà importante ragionare su che sindacato ci vuole e ci vorrà per fronteggiare questa sfida che la legge 30 e simili ci pongono. È ormai chiaro che il sindacato oggi non è adeguato strutturalmente e organizzativamente al confronto duro che viene imposto dal ciclo di ristrutturazione internazionale che è in atto. E’ un sindacato che cerca di dibattersi spesso in modo confuso dentro modelli concertativi che finiscono per mortificare i lavoratori vittime degli attacchi delle organizzazioni datoriali, della loro politica di compressione dei costi (e dei diritti). Anche il sindacato sceglie purtroppo la strada dello scambio dei diritti per pochi soldi (l’ultimo contratto dei metalmeccanici ne è la riprova). Si sceglie sempre meno o comunque in modo sporadico e insufficiente la via delle lotte dure che sono assolutamente e sempre necessarie appiattendosi invece in battaglie di difesa e poco più. Se il sindacato non saprà essere più radicale e dinamico rispetto a questa fase di trasformazione verrà travolto e con esso verranno inevitabilmente insieme alle speranze di milioni di giovani che invece devono avere nel sindacato un punto di riferimento, un orizzonte di lotta per conquistare i propri giusti diritti. la lotta come unica soluzione, sull’esempio degli studenti e dei giovani francesi.

Andrea Bono (Resistenze - Foglio di organizzazione sociale di Progetto Comunista Sinistra Prc)

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