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La colomba della pace

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(4 Settembre 2011) Enzo Apicella

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Mentre a Roma si bertinicchia, al Cairo si organizza la Resistenza Araba

(10 Aprile 2006)

27-29 Marzo 2006: Prima Conferenza al Cairo dell’Alleanza Popolare per la Resistenza Araba. Con un prologo cairota.

Cari amici e compagni, avrei voluto inviarvi, per quello che potrebbe interessarvi, un Mondocane dedicato alle elezioni, condividendo certamente con voi il drammatico conflitto che ci si impone tra votare per una banda disomogenea di capitalisti neanche tanto soft, con il suo seguito di embedded dell’opportunismo, per sbattere fuori “dai coglioni” un truffatore lucidamente delinquente e lucidamente psicopatico, e il rifiuto di prestarci all’ennesimo gioco sopra le nostre teste. Poi ho preferito farvi pervenire questo resoconto (qualcuno lo chiamerebbe Report!) di un’importante conferenza al Cairo su quello che per tutti noi rappresenta il cuore dello scontro, forse finale, non solo per la libertà e il socialismo, ma per la sopravvivenza della specie, scontro di cui la nostre vicenda elettorale non è che una squallida e inadeguata appendice. Quanto al voto, alla fin fine, anche un poco dopo aver visto l’efficace drammatizzazione dell’apocalisse berlusconiana nel “Caimano” (bel film, purtroppo sbilanciato su una laterale vicenda famigliare), apocalisse che è nei piani e a cui si tenterà di dare l’avvio con qualche colpo di mano post-elettorale (sotto gli auspici delle stesse ditte truffaldine Usa, Diebold e Accenture, che hanno agevolato i brogli di Bush per la sua falsa vittoria nel 2004) , mi sono convinto a votare. Sono un giornalista cui stanno a cuore i destini dei popoli e che si identifica con quelli che lottano e, dunque, voto per coloro che, almeno, sul piano della valutazione di realtà eroiche ed essenziali per il nostro futuro, come Cuba, Palestina, Iraq, Venezuela, mantengono un atteggiamento dignitoso e solidale: il Partito dei Comunisti Italiani. Vincendo la turlupinatura “Unione”, ci resterà almeno qualche spazietto di agibilità antagonista, che il regime rifascistizzante di Berlusconi-Bossi-Casini-Fini annullerebbe totalmente. In ogni caso va ridimensionato quello sconcio collateralista ed entrista, formalmente anche volgare, che è diventato il PRC sotto la ferula del Porta-a-portinocchio.

Fulvio.

RESISTENZA. QUELLI CHE LA FANNO E QUELLI CHE CI FANNO

La scelta era tra un convegno a Roma della Rete dei Comunisti (Contropiano, Radio Città Aperta, Disobbedienti padovani, ossia la Lista Arcobaleno per Veltroni), il 26 marzo, chiamato “Laboratorio delle Reti Sociali”, e la conferenza al Cairo delle organizzazioni rivoluzionarie di sostegno alla Resistenza iracheno-palestinese-araba dal 27 al 29 marzo, con un preludio dal 23 al 26 marzo, sempre al Cairo, in cui si incontravano altre organizzazioni, queste a prevalente carattere islamico, per la IV Conferenza del Cairo contro la guerra. Voi cosa avreste scelto? Più istintivamente che altro e anche per un’antica consuetudine affettiva per quella parte del mondo, ho preferito il Cairo. A rafforzare la decisione venne in soccorso a larghe falde anche il dato che a Roma gli organizzatori erano coloro i quali annunciano una “Lista Arcobaleno” per Veltroni sindaco likudnik, foriera, una volta compattate le “reti sociali”, di una lista per Veltroni, co-boss likudnik con Rutelli del nuovo Partito Demokratico. Senza contare che, alla luce delle buonisterie tra il tonto e il furbesco di un movimento della pace sempre più istituzionale, di governi arabi sempre più sconciamente rattrappiti negli egoismi delle oligarchie compradore, di un’opinione pubblica occidentale lobotomizzata dai media di regime, l’unica forza che si sta opponendo alla notte dilagante della civiltà è la resistenza irachena, soprattutto, palestinese, se rinasce, e araba in potenza. E di questo si sarebbe argomentato al Cairo.

BERTINOCCHIANDO

Al ritorno, del convegno romano trovai un documentino intitolato Report (non “rapporto”, “relazione”, “resoconto”, macchè: Report. Come fashion, glamour, stress, life-style, fast food, slow food , look, weekend, format, trend, spot, target…cosa non si farebbe per non svelarsi provinciali e monoglotti!). Report, alla Veltroni del my way, quasi fossimo già nell’agognato Partito Demokratico . Vi si parlava di “soggetti collettivi” e “reti sociali”, di “spazio pubblico di movimento autonomo e allo stesso tempo non minoritario. In grado di coniugare sperimentazione politica e radicamento sociale”. Tutto questo, onorando una prosa tra il portoalegrino e il disobbedientese, “ha alimentato una riflessione feconda”, “su un nodo programmatico decisivo” in vista del “sindacalismo metropolitano” e di “nuove forme ricompositive”. Tra il vasapollista e il casariniano bertinotizzato, superato un azzardato accostamento tra i furbetti della retina e le milionate di francesi in piazza (quando la rana si fa bue…), si affronta la guerra: “La guerra, per un verso punto di verifica acuminato del probabile governo di centro sinistra, costituisce un dispositivo complesso e articolato, tanto sul piano della qualità del comando che su quello della produzione di soggettività…” Caspita, il Porta-a-portinotti non avrebbe potuto metterla meglio.

Scusate la lunga e inquietante citazione, ma alla sua luce, nessuno vorrà risentirsi che a questo laboratorio si sia preferito l’appuntamento del Cairo. Tanto più che rappresentava una risposta netta ai conciliaboli, pure cairoti, del novembre scorso nei quali l’incontro preparatorio a una “Conferenza di Riconciliazione” irachena, voluto da Lega Araba e principi sauditi, sotto l’ombrello di un’Usa in preda alla disperazione per il disastro iracheno, aveva visto accorrere festante l’intero pecorame del collaborazionismo pacifista, iracheno ed occidentale. Da esso vorrebbero distinguersi coloro che, temerari fino all’eroismo, pian pianino, a tre anni dall’inizio della più brutale operazione coloniale di tutti i tempi, si sono spinti a “riconoscere il diritto alla resistenza del popolo iracheno”. E i fedayin e mujahedin, che ne stavano in trepida attesa – “ci riconosceranno, non ci riconosceranno? -, ne sono rimasti commossi. Sfugge a costoro, come gli sfuggiva la verità del ruolo rivoluzionario e antimperialista dell’Iraq nei quarant’anni precedenti, il valore intrinseco di questa resistenza. Come scrive bene “Senza Censura”: Non solo si oppone efficacemente all’occupazione dell’Iraq, ma impedisce una riorganizzazione complessiva della regione ed è un vettore di ricomposizione per la popolazione del mondo arabo e di crisi per gli alleati Usa nell’area..,. ciò che hanno incominciato a fare gli iracheni cambierà la faccia del mondo, non solo arabo… Ci sembra doveroso affermare che grazie agli iracheni siamo tutti un po’ più libero e sicuri”. Parole non dissimile da quelle ripetutamente pronunciate da Hugo Chavez.

IL CAIRO, NEL DNA LA PERENNITA’ DEI FARAONI

Tra una seduta e l’altra della tregiorni sulla Resistenza araba mi aggiro per una città che, pur gonfiata in pochi decenni da 8 a 15 milioni , è assolutamente la stessa che frequentavo ai tempi della Guerra dei Sei Giorni, di Nasser e poi di Sadat, anni ’60-’70. E’ finita nelle mani del peggiore dei gaglioffi, il Mubarak satrapico e ciclista, nel senso che pesta verso il basso, i sudditi, e piega la schiena verso l’alto, da dove parte il guinzaglio di Condoleezza Rice, ma la commedia umana nelle strade, attori e scenografia, voci, colori, scambi, sono immutati. E a stare anche solo un po’ dove le cose sono come quando avevi trenta, quarant’anni di meno, uscito da quel frullatore insensato e nevrotico che è la “superiore civiltà”, dove non fai in tempo a usare che già devi gettare, a vedere, che già altro ti squarta la vista e frantuma il pensiero, bè, ragazzi, respiri qualcosa che noi ci siamo fottuti. Si chiama serenità. Forse, felicità. La rosa purpurea del Cairo… E’ solo un po’ più lisa, più stazzonata nel suo fantasioso abito tra il decò, l’abasside, e un realismo socialista addolcito dai panni stesi e dai riverberi delle bancarelle glorificate da arance, zucche e meloni. Frutta e verdura che stanno alle nostre come un tramonto sul Cervino sta alla Pianura padana di novembre. E, in mezzo, un tranquillo brulichio umano di tutto e del suo contrario: veli e jallabìe (aumentano verso la periferia) che tengono il passo con magliette e jeans e a volte si coniugano: folgorante la stanga velata con due occhi truccati come Nefertiti e il terzo occhio, l’ombelico, ammiccante sopra i fuseau inguinali. E gli uomini? Un po’ assomigliano a Nasser, un po’ a Ramsete II e un po’ anche a Faruk. Hanno la pazienza dei faraoni e ti sorridono come gli dei: dall’alto, ma con intesa e partecipazione. Sorrisi così profondi e ubiqui li trovavi fino a qualche decennio fa ancora in Calabria, Sicilia, Puglia. Angusti e ombrosi vicoli dove chi prega sulla stuoia, chi gioca a domino, chi fuma il narghilè. Sempre in serie e in parallelo, mai niente da soli. E il gusto della conversazione a coppia, a crocchio, a sarabanda, serpeggia per le vie e negli androni, nelle bettole e botteghe, nei caffè e sui marciapiedi, insieme all’onnipresente afrore dei dolci arabi e l’impalpabile vellicamento della polvere: il deserto è lì che incombe. E noi che ci guardiamo in cagnesco e non sappiamo chi abita accanto e vorremmo sfregiare la macchina a chi ci sorpassa e dobbiamo sapere solo di correre, competere, fregare, compagni compresi…

Approdo al palazzotto dell’Unione degli Ingegneri, in Shara Ramsis, dove si tiene la conferenza. E’ una risacca di lamiera che mi deposita oltre il largo corso. Per capire cos’è il traffico al Cairo, immaginate di dar fuoco a un formicaio. Il meccanismo è quello dei vasi comunicanti. Ci si infila dove c’è uno spazio. E se non c’è uno spazio, ci si distrae strombazzando. Tutti minacciano di speronare tutti, ma nessuno sperona nessuno. I semafori? Pare che i cairoti abbiano il telepass del semaforo. I suoi colori gli sono indifferenti quanto i secoli e i millenni. Il pedone si avventura come in uno tsunami, ma viene risparmiato e accompagnato alla salvezza dal solito sorriso. Una sera, uscendo dal convegno, piove a dirotto e mi fermo sotto la tettoia. Nell’androne c’è il gabbiotto del portiere. Mi chiama dentro e mi fa sedere sull’unica sua sedia. Resterà in piedi fino a quando non avrà spiovuto e per quell’ora e mezza mi offre il tè e le chiacchiere sue e dei suoi amici. Sorrisi come se piovesse. Un’altra sera è fuori città la coppia di compagni che mi ospita e mi fa conoscere la figlioletta di dieci anni che ogni giorno disegna sulla lavagna “Fulvio Grimaldi, welcome!”, circondato da fiorellini. Mi cerco da mangiare per una via che, dopo la pioggia, è un canale di fango sui cui sparagnini bordi secchi sfilano come funamboli donne con spesa e bimbetti. Siamo un po’ fuori e i lampioni qui non ci sono. Solo formidabili tagli di luce dal barbiere, dal caffè, dall’armadietto di cianfrusaglie che finge di essere un negozio e, infine, dalla botteguccia del foul (piatto popolare egiziano a base di fave e olio d’oliva). Non è che me la cavi un granchè con l’arabo, ma questi sono svelti, intendono al volo. Dentro si cucina in grandi paioli, fuori c’è un tavolaccio e una panca. Non faccio in tempo a sedermi che un ragazzino mi offre la sua pagnotta, un altro, più grande spunta dal buio e mi elenca le sue conoscenze di italiano: “Carlo Azeglio Campi, Silvio Berlusconi, Del Piero, Valentino…” Con un niente la conversazione si fa così fitta, l’amicizia così calorosa, le risate, le pacche sulle spalle, che l’altro ragazzo, quello della bettola, non vuol farmi pagare. Alla fine per un piatto di indimenticabile foul, una tazza di tè e un’ora di allegra compagnia, accetta mezzo pound, dieci dei nostri centesimi. Arabi!

Me ne torno a casa tra pozzanghere e folate di nero e non trovo la risposta a un perché: la povertà, spesso la miseria, l’arretratezza culturale, la frustrazione sono le stesse dei quartieri del degrado a Rio, Caracas, Bronx, Milano, Liverpool, Bangkok. Com’è che qui però vedo bambine delle elementari giocare nei vicoli bui alle dieci di notte, com’è che qui una donna può aggirarsi a notte fonda in qualsiasi angolo della città, com’è che qui nessun turista deve temere per il suo portafoglio e la sua macchina fotografica, com’è che qui non esistono portoni blindati e serrature a prova di dinamite e anzi le porte dei palazzi restano aperte sempre? Chi lo sa. Mi viene il sospetto che c’entri qualcosa che sta alla base anche della guerriglia irachena e della resistenza palestinese: umanità, dignità e, dunque, rispetto. Arabi!

UNA CONFERENZA CHE PORTI LA RESISTENZA IN TUTTA LA NAZIONE ARABA

Come accennato, di conferenze ce ne sono state due, una dopo l’altra, sullo stesso argomento, ma di due “soggettività” diverse. Manco fossimo in Italia. In ogni modo, meglio due, che niente. Tanto più che in un paese come l’Egitto a parlare fuori dai denti, cioè fuori dal gradito al Rais Mubarak e ai suoi padrini Usa, si rischia di finire malissimo e l’argomento “Resistenza”, addirittura armata, suscita le attenzioni della più attiva e folta presenza di repressori e di spie internazionali del Medio Oriente (furono, infatti, non pochi i visti negati dall’Egitto ai partecipanti da altri paesi arabi). Quanto meno, tuttavia, non esiste laggiù, almeno ufficialmente, una “Sinistra per Israele” a guida veltroniana, cioè di colui per il quale si incomincia a raccattar voti “disobbedienti” e retinari onde fargli governare, intanto a Roma, un altro quinquennio likudnik-vaticanista. La prima delle conferenze – Campagna Popolare di Appoggio alla Resistenza in Palestina e Iraq e contro la Globalizzazione – era all’insegna dell’esaltazione della risorgenza islamica e, accanto a gruppi occidentali del movimento pacifista e no-global, subiva la discutibile egemonia dei Fratelli Musulmani, confraternita che più volte ha dato adito a preoccupanti sospetti di infiltrazione e che, diversamente dagli ostracizzati comunisti e nasseriani, gode di una benevola tolleranza da parte del regime egiziano, pilastro arabo del nuovo Grande Medio Oriente pianificato dai nazisionisti di Washington. Le risoluzioni finali di questa assise non differivano molto, quanto a buoni propositi per Iraq e Palestina e contro imperialismo e sionismo, da quelle che si sarebbero poi adottate nell’altra conferenza, salvo un punto centrale: la solidarietà prioritaria, nella prima conferenza, per l’Iran minacciato da aggressione israelo-statunitense.

Nessun ostracismo all’Islam politico nell’altro convegno – Conferenza di Fondazione dell’Alleanza del Popolo Arabo Resistente – nel quale prevaleva tuttavia una linea radicalmente di sinistra, disegnata dal piccolo, ma dinamico Partito Socialista Egiziano con il concorso di varie organizzazioni antimperialiste, perlopiù laiche, marxiste e nazionaliste, di Palestina, Giordania, Siria, Libano, Sudan, Marocco, Tunisia e Iraq, rappresentate da intellettuali, politici, attivisti, giornalisti, sociologi, con una nutrita e particolarmente attiva componente femminile. Come era inevitabile, non figurava nessuna rappresentanza della Resistenza armata irachena e, forse per ragioni di sicurezza, lamentevolmente neanche un esponente del Baath, partito guida della Resistenza irachena e dell’unità araba. E’ intervenuto ripetutamente un delegato dell’Alleanza Patriottica Irachena (API), gruppo di esiliati della fase storica precedente che sembra aver concluso un’alleanza con una frazione del Baath all’estero, a quanto si dice in funzione di interlocutore dei governi europei, come contrappeso ai settori iracheni vicini agli Usa. L’uomo dell’API, Labied Abdul-Aziz, si è distinto nell’informare sugli sviluppi interni in Iraq durante gli ultimi mesi, con dati su episodi di ferocia repressiva, operazioni di guerriglia, provocazioni degli squadroni della morte voluti dall’ex-ambasciatore Usa, John Negroponte e agenti su ordini della gerarchia scita e di Tehran, ma per la verità si trattava di notizie già diffuse da vari siti e, in particolare, dall’ottimo Uruknet. C’erano anche gruppi europei, purtroppo pochi e purtroppo tanto poco rappresentativi quanto ideologicamente tra il settario e il comico. Un gruppetto turco, rigorosamente marxista-leninista-stalinista, imbevuto di tutte le ubriacature propagandistiche occidentali su Saddam Hussein; un adolescente pachistano di tal Partito degli Operai e Contadini, che parlava come il libretto rosso di Mao; ben tre delegati dell’italico “Campo Antimperialista”, di cui stranamente un palestinese assai preparato, un norvegese pallidissimo e rancoroso, cui la mia presenza faceva l’effetto di un dito infilato nella presa elettrica, e una monacale epifania austriaca che, letta la sua relazioncella, s’è zittita per sempre, non modificando più un solo muscolo della marmorea fisionomia. Tutti costoro non ci misero molto a finire ai margini del dibattito, una volta che i convenuti arabi avevano superato lo sconcerto di una teoria, comune all’intera pattuglia, di un terrorismo binladesco accreditato come espressione, insieme ad altre forme di lotta, della Resistenza dei popoli contro gli aggressori. Alle orecchie di chi aveva subito sulla pelle la sanguinaria e coordinata commistione di violenza anglo-israelo-statunitense e provocazioni stragiste Al Qaida, travestite da Resistenza e manipolate dalle centrali della guerra sporca imperialista-sionista, le argomentazioni demenziali dei saputelli europei suonavano stonate e imbarazzanti.
Non per nulla emergeva, come sottolineatura costante di una strategia di sostegno alla resistenza araba, l’impegno a smascherare la paternità occidentale del grande terrorismo contro civili, dall’11 settembre a Londra, da Madrid a Casablanca, da Istambul a Bali e alle carneficine del logo “Al Zarkawi” in Iraq.

LA QUESTIONE IRAN

Quanto all’Iran, si taceva il rappresentante dell’API, consapevole della macchia sulla sua organizzazione causata dall’acritico e augurabilmente accantonato sostegno – comune al Campo Antimperialista – del doppiogiochista agli ordini dell’Iran, Moqtada Al Sadr, sostenitore dell’allora premier fantoccio scita Al Jaafari e ritenuto responsabile, insieme ad altre milizie scite, di buona parte della spaventosa caccia all’uomo scatenata contro sunniti all’indomani dell’attentato di regime alla moschea di Samarra. Diversamente da quanto deciso nella precedente conferenza “islamista”, qui l’attenzione e la priorità nelle risoluzioni finali è stata data alle minacce di aggressione a Siria e Sudan, piuttosto che a quelle all’Iran, viste piuttosto come pressione propagandistica destinata ad arginare un’egemonia iraniana sull’Iraq che sta entrando in competizione con il controllo anglo-israelo-statunitense. Non pochi relatori, infatti, sottolineavano l’equivoco ruolo di Tehran, avversario storico della nazione araba, giocato tra collaborazionismo-competizione con gli occupanti in Iraq (con il corollario del comune sterminio di oppositori) e sostegno alle forze della resistenza islamica in Libano, Hizbollah, e Palestina, Hamas. Sostegno che non può cancellare il ruolo criminale di un governo che, insieme agli Usa, quasi fossero due avvoltoi che un po’ pasteggiano uniti, un po’ si beccano per il boccone migliore (chiedendo scusa agli avvoltoi), si impegna a sbranare quello che ritiene essere il cadavere iracheno. La caccia all’uomo che, in particolare dopo la provocazione della cupola d’oro di Samarra disintegrata, ha fatto ritrovare nei fossi centinaia di civili innocenti giustiziati dopo orripilanti torture, con lo sterminio dell’intellighenzia irachena, accademici, intellettuali, insegnanti, artisti, letterati, medici, inizialmente autorizzata dagli occupanti, è stata condotta dalle squadracce Al Badr, Mehdi e Peshmerga, rispettivamente di obbedienza scita e curda. Su Hamas, oggi al governo nei territori occupati, vi è stata l’unanime dichiarazione di appoggio, con la concomitante soddisfazione per l’affermarsi di uno schieramento che respinge ogni demonizzazione della lotta armata, insieme a tutti i ripetuti tentativi di ingabbiare la resistenza palestinese in ingannevoli e fraudolenti pseudonegoziati di pace. Così, in sintonia con quanto ripetutamente dichiarato dalla dirigenza della resistenza irachena, si è anche appoggiato il rifiuto di ogni forma di “soluzione politica”, come quelle adombrate nei contatti tra occupanti e forze che, aderendo alle istituzioni fantoccio create dall’occupante, hanno perso ogni rappresentatività nella lotta di liberazione. Tra i partecipanti più prestigiosi vanno infine ricordati un generale dell’aeronautica del governo di Saddam e due ex-ambasciatori iracheni, al Cairo e a Tehran, voci di quella maggioranza del popolo iracheno che ha saputo resistere a quarant’anni di aggressioni e complotti imperialisti e che, insieme ai palestinesi, continua a rappresentare il fronte di riferimento nazionale e progressista arabo contro i piani neocolonialisti di Israele e dell’Occidente come raffigurati nei progetti della Grande Israele e del Grande Medio Oriente.

TEMI DELLA CONFERENZA

L’imperialismo è il nemico principale dei popoli e non è unico, ma multiplo, quello Usa essendo il più forte, influente, sviluppato e aggressivo. Nessun altro imperialismo può essere nostro alleato, con buona pace dei cultori (Fausto Sorini del Prc e il Campo Antimperialista con gli annessi neonazisti di Eurasia) di un Europa, o Eurasia, capitaliste, antagoniste degli Usa in chiave competitiva. Resta ovvia la priorità da dare alla lotta contro l’imperialismo Usa, in quanto capace di approfondire le contraddizioni tra quello e gli altri imperialismi. Strumento strategico dell’imperialismo nella regione e primo nemico da affrontare sul piano politico è il progetto del Grande Medio Oriente.
Le classi dirigenti e i regimi dei paesi arabi sono subordinati all’imperialismo e ne rappresentano gli interessi. Non saranno mai a fianco dei diritti dei popoli e delle loro lotte di liberazione. Le cosiddetta “riforme” che questi regimi, sotto pressione Usa, promettono di attuare sono pura mistificazione. La lotta contro questi regimi è il corollario della lotta contro l’imperialismo.
La lotta contro l’imperialismo nell’Est arabo (Iraq, Palestina, Libano, Siria…)
è la continuazione della lotta contro il colonialismo e la subordinazione e rappresenta oggi il cuore della lotta globale contro l’imperialismo. La sconfitta dell’imperialismo nell’Oriente arabo sarà un passo decisivo verso la sconfitta dell’imperialismo a livello mondiale.
L’entità razzista sionista è illegittima. L’unico rapporto che si deve intrattenere con questa entità è quello della resistenza e della battaglia per lo smantellamento dell’occupazione . Ciò conferma che la contraddizione principale nella regione è tra il progetto di liberazione arabo, da un lato, e i piani dell’imperialismo e del sionismo dall’altro. Si tratta di una lotta non per confini, ma per l’esistenza. Va quindi sostenuta la lotta contro la normalizzazione dei rapporti con Israele a tutti i livelli, localmente e globalmente, giacchè la normalizzazione è uno strumento rilevante dell’egemonia sionista. Ne consegue il diritto incondizionato, assoluto e irrinunciabile al ritorno del popolo palestinese alle sue città e ai suoi villaggi. Nessuna autorità ha il diritto di negoziare o cedere tale diritto in qualsiasi forma.
Va respinta incondizionatamente l’occupazione dell’Iraq con tutti i suoi sottoprodotti e le sue conseguenze. Ci collochiamo nella trincea della resistenza all’occupazione con tutti i mezzi, ponendo in cima alle priorità la resistenza armata. Non potrà esistere mai una legittimazione internazionale all’egemonia imperialista poiché l’unica legittimità deriva dal popolo, dai suoi diritti naturali, storici, etici e di classe. Sta solo al popolo accettare o rifiutare le “risoluzioni internazionali”.
La base del processo vittorioso è l’unita della patria araba, fondata su principi umani e non sciovinisti, nel pieno rispetto delle diversità culturali, ideologiche e religiose. L’unità araba, corrispondente alle aspirazioni storiche delle popolazioni dell’area, è elemento partecipe della lotta internazionalista per la sconfitta dell’imperialismo.
La lotta per la liberazione e la democrazia comporta un ininterrotto scontro con l’imperialismo e i regimi vassalli. Liberazione e democrazia sono ottenibili soltanto facendo prevalere gli interessi sociali, economici e politici delle classi popolari e la sovranità del popolo sulla propria terra e sulle proprie risorse.
Vanno respinti i finanziamenti stranieri (extra-arabi), nonché l’intervento di organizzazioni governative e non governative che dipendono da finanziamenti esteri, poiché si tratta di strumenti al servizio dell’imperialismo e finalizzati a frazionare le questioni arabe fondamentali in tematiche isolate, umanitarie, che risultano estranee al contesto storico e militante. Sono anche strumenti per indebolire il progetto rivoluzionario arabo e promuovere l’”addomesticamento” degli intellettuali progressisti (basti, a conferma di quanto sopra, il percorso delle Ong italiane, a suo tempo impegnate in Iraq, a fianco dei movimenti “non violenti” e delle proposte ONU della “comunità internazionale”).
Va sottolineata l’importanza dell’analisi teorica fondata su una conoscenza dinamica e in evoluzione che permetta di comprendere le strutture dell’imperialismo e il suo progetto colonialista nella regione araba e nel mondo. Sottolineiamo la necessità dell’elaborazione di una strategia dei popoli arabi che difenda la causa araba e i relativi diritti e s’impegni in difesa delle lotte di liberazione ed emancipazione in tutto il mondo.

OBIETTIVI DELLA CONFERENZA

Sulla base dei principi enunciati, la conferenza si è dedicata allo studio di un progetto per la resistenza araba contro i piani neocolonialisti; alla formulazione di un programma di lavoro per i gruppi arabi e non arabi che partecipano alla conferenza; alla creazione di una segreteria che si impegnerà nell’esecuzione del programma di lavoro; al coordinamento tra i gruppi della Resistenza araba e le forze che perseguono analoghi obiettivi nel mondo e, in particolare, in America Latina. A questo scopo, si apriranno canali di comunicazione, coordinamento e collaborazione in primo luogo con i governi cubano, venezuelano e boliviano e con le organizzazioni di massa rivoluzionarie e progressiste negli altri paesi latinoamericani. Per carenza di interlocutori, per ora non si sono pianificati approfondimenti con analoghe forse in Europa, salvo un avvio di contatti esplorativi, data la loro dimostrata debolezza e la prevalente ambiguità delle posizioni politiche in merito a terrorismo e lotta armata.

Una volta di più, la conferenza, a dispetto degli infantilismi schematici e delle ambiguità analitiche di quasi tutti i partecipanti europei, l’ha fatta finita con il paradigma imperialista-bertinottiano della “spirale guerra-terrorismo”, che riconosce al “terrorismo islamico” l’autenticità che le centrali imperialiste, che lo hanno creato e lo gestiscono, vorrebbero attribuirgli onde giustificare guerre globali permanenti, compartecipazioni colonialiste, repressione e fascistizzazione interne finalizzate a contenere la crisi strutturale del capitalismo. Sono state innumerevoli le testimonianze dal territorio circa il carattere di strumento dell’imperialismo di realtà virtuali come Al Qaida e di personaggi inesistenti, o non più esistenti, come Al Zarkawi e Bin Laden, nel nome della caccia ai quali sono state sterminate popolazioni e devastate città. Direttamente dall’Iraq abbiamo potuto approfondire – anche con la mia modesta testimonianza sulle provocazioni degli squadroni della morte Cia e Mossad, etichettati Al Qaida, a Basra, Baghdad e Amman - sia la dimensione degli orrori genocidi inflitti alla popolazione, sia la funzione delle milizie iraniane e curde al servizio dell’occupazione, dello squartamento dell’Iraq e degli interessi materiali delle proprie oligarchie feudali e dei rispettivi governi patrocinanti (Iran per le milizie Al Badr del Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq, SCIRI, Israele e Usa per i peshmerga curdi, ancora Iran per le milizie Al Mehdi di Moqtada al Sadr). In questo contesto, sulla base delle numerose dichiarazioni politiche della dirigenza della Resistenza armata e, proprio in quei giorni, del messaggio inviatoci dal comandante della Resistenza Nazionale, Izzat Ibrahim Al Duri, vicepresidente iracheno, è stato ribadito che ogni trattativa con gli occupanti, ogni partecipazione alle istituzioni sue e dei suoi fantocci sono escluse e verranno avversate nei termini più decisi. Chiunque dovesse partecipare a una “Conferenza di riconciliazione”, come quella adombrata dalla riunione del Comitato Preparatorio al Cairo nel novembre scorso, cioè sedicenti partiti islamici, o i rappresentanti di Al Sadr, o il rinnegato e collaborazionista Partito Comunista Iracheno (gemellato al Prc!), o altri opportunisti, verranno considerati conniventi con l’occupazione e come tali colpiti.
La Resistenza irachena, preparata con largo anticipo e composta dai combattenti dell’esercito nazionale, delle milizie del Partito Baath, dai fedayin del popolo e da gruppi di mujaheddin dell’Islam politico, è l’unica abilitata a parlare a nome del popolo iracheno in tutte le sue componenti. Si tratta anche di rompere la blindatura del silenzio che i media occidentali e arabi costruiscono attorno ai comunicati politici e militari della Resistenza, come, particolarmente significativa, quella recente del vice di Saddam Hussein, Izzat Ibrahim, con la quale si nega ogni coinvolgimento della guerriglia anti-occupazione negli episodi di terrorismo contro civili, moschee, mercati e se ne denuncia la matrice imperialista e il fine di provocare la guerra civile in un Iraq che non ha mai conosciuto conflitti di confessioni.

Due capitoli all’ordine del giorno per la minaccia di aggressione imperialista-sionista, relativi a Siria-Libano e Sudan-Darfur, hanno visto formulare un impegno di chiarificazione e solidarietà rispetto agli ormai evidenti progetti di destabilizzazione e intervento militare di imperialismi congiunti. Si richiede una forte mobilitazione per portare all’opinione pubblica progressista e democratica la verità su questi due scenari, già offuscati da una massiccia operazione di propaganda: la presunta repressione del governo sudanese nei confronti delle popolazioni del Darfur, invece sobillate da forze esterne per l’ennesimo progetto di smembramento di uno stato arabo ricco di risorse; e il complotto sionista-imperialista contro Libano e Siria, tramite una “rivoluzione colorata” nel primo caso, innescato dall’attentato al premier Rafiq Hariri, attentato di chiara marca sionista con copertura ONU nelle successive indagini, e un intervento militare finalizzato al cambio di regime e all’ulteriore espansionismo israeliano, nel secondo. Quanto all’Iran, sulle voci che riecheggiavano la psicosi di un imminente attacco sionista-imperialista, è prevalsa l’analisi di una situazione di stallo dovuto alla confluenza-concorrenza degli interessi tra Iran e i suoi presunti assalitori in Iraq e nel Medio Oriente, oltrechè di un tentativo di mascherare le intenzioni aggressive più attuali nei confronti di Siria, Palestina e Sudan.

Nel finale, in attesa della dichiarazione conclusiva che gli organizzatori faranno circolare nei prossimi giorni sulla base di un documento discusso e approvato a maggioranza dai partecipanti, si è voluto sottolineare con forza la necessità di una vasta mobilitazione culturale che colleghi, nella coscienza dei popoli, la lotta di liberazione nazionale araba alle lotte anticapitaliste ed antimperialiste in tutto il mondo, per la creazione di un fronte antimperialista unitario, interdipendente, sinergico, ma articolato concretamente secondo le necessità delle varie esigenze locali.

Il Dr.Isham Bustani, dell’Associazione contro la Normalizzazione, Giordania, co-coordinatore della conferenza insieme alla dottoressa Arab Lutfi, del Partito Socialista Egiziano, ha così concluso: “ Nel mondo si stanno scontrando due progetti di portata planetaria, quello imperialista, che intende riproporre i rapporti di produzione e di controllo del colonialismo ottocentesco, e quello di liberazione nazionale e di sovranità che contiene in sé l’obiettivo del potere delle classi subalterne. Noi dobbiamo adoperarci per far vincere il progetto di liberazione nazionale. La nostra priorità è l’unità. Un’unità che si fondi sulla non negoziabilità dei principi, come quello del rifiuto del sionismo, dottrina colonialista e razzista, che oggi detta addirittura l’agenda al governo Usa. Il nostro compito è elaborare e porre in atto un progetto che unisca le forze antimperialiste nel mondo su un piano di lavoro militante. In questo piano ha necessariamente il ruolo di avanguardia mondiale la resistenza dei popoli iracheno e palestinese, a fianco dei quali è impegno prioritario schierarsi senza compromessi, identificandosi con i combattenti per la libertà e sovranità e appoggiando il loro rifiuto di tutte le fraudolenti proposte di pace avanzate nel corso degli anni per stroncarne la marcia verso la vittoria. A questo scopo verranno promosse una pubblicazione periodica multilingue e un nuovo sito di informazione di lotta antimperialista da affiancare a quelli già operanti. Proponiamo anche una giornata di mobilitazione mondiale per il 15 maggio e un intervento di informazione e coscientizzazione al Forum Sociale Europeo di maggio ad Atene. Si invitano i gruppi radicali in Europa e Asia a coordinarsi con noi e ad assumere proposte di lavoro coordinato che operino in particolare sul piano culturale, con concerti, feste, cineforum, festival video, eventi vari, allo scopo di diffondere la verità sulle lotte di resistenza ai più vasti strati della popolazione. A questo scopo viene costituito un comitato di compagni non arabi che contribuisca anche al reperimento e alla valorizzazione di fonti di finanziamento. Nostro interlocutore privilegiato è oggi il movimento di massa in America Latina e, a questo scopo, va promossa una presenza dei nostri contenuti e delle nostre attività in particolare sull’emittente televisiva Telesur”.

Come si può vedere, resta escluso ogni riferimento politicio-ideologico all’Islam, nonostante il dichiarato sostegno alle forze dell’Islam politico che operano verso obiettivi condivisi, come Hamas e Hizbollah, onde evitare qualsiasi strumentalizzazione della conferenza a vantaggio della teoria imperialista dello”scontro di civiltà”. In conclusione, una conferenza quantitativamente forse non all’altezza di un assunto che vanta una portata storica e mondiale, ma che sul piano qualitativo, una volta lamentata l’inadeguata partecipazione esterna al mondo arabo, ha saputo dare un contributo importante alla nascita di un movimento di massa arabo e internazionale che si identifichi con le ragioni della Resistenza dei popoli e si proponga di opporre un fronte di verità e militanza alla disinformazione globale e all’opportunismo di frange sedicenti antagoniste, ma effettivamente subalterne.

MONDOCANE FUORILINEA 4/04/06
di Fulvio Grimaldi

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