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Dopo la demagogia elettorale, la dura realtà

(15 Aprile 2006)

Queste elezioni si sono svolte all’insegna del culto della personalità. Di programmi si è parlato poco, quasi soltanto tra addetti ai lavori o negli incontri con i “grandi elettori” (confindustria, sindacati, ecc.). Le immagini dei “grandi leader” ci hanno perseguitato da ogni canale televisivo. I fotografi si sono specializzati in fotomontaggi, perché ogni candidato locale voleva apparire in foto accanto ai dirigenti nazionali, e questi, a differenza di Berlusconi, non avevano il dono dell’ubiquità.

Quanto più l’uomo reale è schiacciato, trasformato in una rotella di un gigantesco ingranaggio, tanto più la “persona” è esaltata e la sua vuota immagine trionfa. Le società in profondo rinnovamento sociale, al contrario, hanno sempre condannato il culto dell’immagine, dall’islamismo primitivo ed egualitario, che proibiva la riproduzione della figura umana, agli iconoclasti del mondo bizantino, che distruggevano le immagini sacre (icone), perché il loro culto superstizioso era uno strumento di dominazione della chiesa e dei latifondisti, ai borghesi rivoluzionari che gettavano alle ortiche le parrucche incipriate della nobiltà. Nell’epoca della borghesia senescente, invece, gli alti dirigenti politici contendono il truccatore ai clown e alle attricette televisive.

Le elezioni del 2001 videro la convergenza di vari settori della borghesia, Confindustria in testa. La Fiat si accodò con una punta di scetticismo, Agnelli sostenne che, se Berlusconi vinceva, vincevano tutti gli imprenditori, se perdeva, perdeva un imprenditore. Questa convergenza si è dissolta, la borghesia è divisa. Non è un buon segno per i lavoratori, perché la borghesia può permettersi divisioni e polemiche solo quando il movimento operaio è debole e a rimorchio di una delle fazioni borghesi, mentre serra i ranghi non appena rifiorisce la lotta di classe.

La maggioranza degli industriali, nonostante le dichiarazioni formali di neutralità, ha manifestato sfiducia verso Berlusconi. Sarebbe, però, fuori del mondo chi attribuisse al ceto industriale una funzione innovatrice. Gli industriali italiani hanno sempre cercato sovvenzioni statali e chiesto la riduzione del costo del lavoro, e non a caso Prodi ha parlato subito di quest’ultimo punto, rivelando il suo vero volto antiproletario. Il costo del lavoro, oltre che dal salario vero e proprio, è costituito dal salario differito (pensioni, stato sociale, ecc.), e proprio questa seconda parte è sotto il tiro dell’intera borghesia, prodiana o berlusconiana. I comunisti, invece, lottano per l’aumento del costo del lavoro, per una riduzione dei profitti e delle rendite.

La sinistra, di solito, riesce a trascinare dietro di sé i lavoratori con parole d’ordine demagogiche, che non ha nessuna intenzione di tradurre in realtà. E’ vero che nessuno ha battuto Berlusconi in demagogia, ma non poteva convincere i lavoratori, perché le sue parole erano rivolte, oltre che agli speculatori e agli evasori fiscali, alla piccola e media borghesia, mentre erano provocatorie verso gli operai, rei di volere i figli dottori, proprio come i professionisti. Giustamente si è scritto che ha copiato le parole della canzone “Contessa”.

Questo centrosinistra, mediocre rispetto all’offensiva berlusconiana, tuttavia può offrire migliori possibilità di sviluppo al capitalismo, favorire il complesso della borghesia piuttosto che settori ristretti e particolari. Non c’illudiamo che conceda alla classe lavoratrice una maggiore libertà d’organizzazione e di sviluppo politico. L’operaio è il figlio prediletto finché vede nei partiti della sinistra borghese o dell’opportunismo i propri rappresentanti politici, diventa il maligno quando rompe con le compatibilità economiche e politiche borghesi e rivendica un ruolo autonomo.

Se è vero che tutti i rami della borghesia sono ugualmente avversi agli interessi dei proletari, non è indifferente per i comunisti che ci sia un governo di destra o di sinistra, per un motivo completamente differente da quelli comunemente addotti: l’avvento di un governo della sinistra borghese permette ai lavoratori di trovare nei fatti la conferma di ciò che i comunisti hanno sempre sostenuto, e cioè che tutti i governi della borghesia e della sinistra opportunista pseudo operaia gli sono nemici, e che, soltanto se riuscirà a creare una propria organizzazione indipendente, un proprio partito, che abbia un’influenza reale nelle lotte politiche e sindacali, potrà ottenere risultati.

Finché il potere è nelle mani della destra, la sinistra borghese e gli opportunisti riescono ad egemonizzare le proteste dei lavoratori, trasformandole in innocue parate. Non costa niente fare la voce grossa dall’opposizione. Basti pensare all’enorme popolarità ottenuta da Cofferati che, come il pifferaio magico, condusse milioni di lavoratori a perdersi sulle vie illusorie della formazione di un nuovo partito del lavoro, per abbandonarli poi al loro destino. La fiducia in lui crollò in poche settimane, non appena andò al governo del comune di Bologna, e non si distinse più dai leghisti nella politica verso i salariati e gli extracomunitari.

Le condizioni di particolare debolezza del governo Prodi renderanno più facile il suo smascheramento. La presenza di posizioni (Rutelli, Mastella) che sul piano sociale non si differenziano dalla destra, la ridotta maggioranza al senato, gli ingombranti paletti posti dalla Confindustria e dalla Chiesa, i ricatti di Berlusconi, renderanno impossibile ogni concessione ai lavoratori. La legge 30 non sarà sostituita, ma “ritoccata” con una sapiente operazione di maquillage, il risanamento delle finanze pubbliche verrà con nuovi tagli allo stato sociale, la legge Gasparri rimarrà nella sostanza, perpetuando il monopolio televisivo, che si asseriva di voler eliminare, tornerà la concertazione.

Anche se a parole si rifiuterà la “Grosse Koalition”, quando ci sarà qualche provvedimento poco piacevole per i lavoratori, si ripeterà la commedia alla quale siamo abituati: le sinistre”radicali” si dissoceranno pro forma e il provvedimento passerà con i voti delle destre. Al tempo dei devastanti bombardamenti sulla Jugoslavia, verdi e cossuttiani seppero ricoprire il ruolo dell’opposizione pur rimanendo nel governo, dimostrando capacità di funambolismi difficilmente imitabili. Non dimentichiamoci di questo, e non facciamoci ingannare dall’apparente maggiore coerenza di questi due partitini rispetto al neoconvertito Bertinotti.

Dall’esperienza del secondo governo Prodi, usciranno con le ossa rotte soprattutto Rifondazione, che vedrà esplodere il malcontento della base, e quel che resta della sinistra DS. Il PCDI, partito di consiglieri e di assessori, resisterà meglio. Il problema sarà di trasformare la crisi del governo Prodi in una nuova stagione di lotte dei lavoratori. Lasciare cadere quest’occasione per il timore di favorire il ritorno della destra, evirando le capacità di reazione dei lavoratori, favorirebbe proprio quel ritorno del berlusconismo che si vuole evitare.

14 aprile 2006

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