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25 aprile

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(25 Aprile 2012) Enzo Apicella

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25 Aprile e dintorni: un piccolo glossario.

Volantino diffuso al corteo del 25 aprile a Roma

(26 Aprile 2006)

ANPI
L’ Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, fondata nel 1944 a Roma, quando nel nord ancora infuriava la guerra, è stata ed è la principale custode della memoria partigiana, ma ha anche contribuito ad affermare una lettura riduttiva della resistenza, intesa solo come una guerra di liberazione nazionale. Questa tendenza ha avuto la sua massima espressione negli anni ‘60, quando il motivo della cacciata dell’invasore divenne dominante al punto da eliminarne qualsiasi altro, cancellando in primo luogo quella lotta di classe che pur segnò gli anni ’43-‘45. Promotore di celebrazioni ufficiali spesso retoriche, l’ANPI richiama, nel suo Statuto, all’obiettivo della piena attuazione della Costituzione vista come espressione di tutte le spinte che attraversarono la Resistenza. In passato questa lettura degli eventi del ‘43-’45 ha portato a gravi omissioni, ma l’ANPI, nel corso della sua storia, ha saputo anche aggiustare parzialmente il tiro. Così negli ultimi anni ha riconosciuto l’importanza di formazioni partigiane al di fuori del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), come Bandiera Rossa, fortemente radicata nel proletariato romano.

CAMPI DI CONCENTRAMENTO
I campi di concentramento sono un’invenzione della modernità occidentale. Essi vennero impiegati per la prima volta durante il conflitto ispano-americano, che portò nel 1898 alla “libertà” di Cuba, e nello svolgimento della guerra anglo/boera, scoppiata nel 1899 per il controllo dei territori sudafricani. Nei primi anni ’30, il fascismo costruì diversi campi di concentramento nella colonia libica, per vincere la resistenza della popolazione della Cirenaica. Ma è con i lager tedeschi che si arriva al maggiore sviluppo di questo fenomeno, alla creazione d’una scienza dell’internamento. I primi campi di concentramento in Germania sono costruiti nel ’33 e spesso, estremizzando i meccanismi della moderna fabbrica, sono legati a finalità produttive (si pensi a quello di Flossenburg, costruito nel ’38 nei pressi di una cava di pietra). Ma talvolta, in essi, il lavoro è fine a sé stesso, serve a far soffrire e morire i prigionieri. Durante la guerra ed attorno al lancio della soluzione finale contro gli ebrei (1942), si sviluppa un nuovo tipo di campo: il campo di sterminio. Se nei campi di concentramento di prima generazione si muore soprattutto di lavoro o per esecuzione, nei campi di sterminio la via per la morte passa anzitutto per la camera a gas. Analizzando il fenomeno dei campi nel suo complesso, tenendo conto delle diverse tipologie, si può dire che i lager sono a un tempo “metafora del sistema produttivo del Novecento” (De Luna) e rivelazione dei tratti più inquietanti della statualità contemporanea, fondata sul principio della definizione di un nemico esistenziale e su un monopolio della violenza sui corpi che, in fasi eccezionali, può dispiegarsi senza limite alcuno, senza garanzie che tengano.

CIAMPI
Ciampi, distinguendosi dai revisionisti, ha sempre sottolineato il valore della Resistenza. Ciò, però, nel segno della sua depurazione da ogni spinta radicale, ponendola in continuità con gli ideali di Mazzini e Garibaldi e leggendola come momento di riscatto della patria offesa. Il fatto è che il Presidente, rendendosi conto della fragilità della Repubblica italiana, non ha voluto privarla d’un importante mito fondativo. Si può dire dunque che i suoi discorsi sulla resistenza hanno uno stretto rapporto con quelli che ha svolto sul recupero di simboli come il tricolore e sul ruolo dell’Italia nel mondo, nel segno dell’esaltazione delle aggressioni coloniali in cui sono coinvolti i nostri soldati. Deludendo i suoi fans, Ciampi forse non darà il bis. Di certo noi non rimpiangeremo i suoi sermoni.

COSTITUZIONE
Il mito della Costituzione del ’48, mai attuata e dalle infinite possibilità espansive in senso democratico, persiste. Eppure la sua stessa genesi può portare ad un discorso diverso: quando fu concepita vi fu una chiara divisione dei compiti tra socialisti e comunisti, che si occuparono soprattutto dei principi generali, e democristiani, cui spettò di disegnare l’ordinamento della Repubblica. E’ vero, al principio vi fu il forte tentativo di non attuarla da parte delle forze conservatrici, il che spinse Piero Calamandrei a lanciare l’allarme circa il tradimento di quella Carta. Però l’esponente azionista, da fine giurista quale era, vide un segno in controtendenza nel varo della Corte Costituzionale (1956). Ed aveva ragione: da quel momento e sino alla fine degli anni ’70, in un processo non lineare ma continuo, la costituzione fu attuata in larga parte. Col primo centrosinistra, negli anni ’60, si cominciò ad attuare il suo modello di economia capitalistica con forte intervento statale, poi negli anni ’70 si portò avanti il decentramento amministrativo. Nel frattempo nelle piazze si lottava per obiettivi che andavano molto al di là dell’attuazione del dettato costituzionale. Le cui possibilità espansive sono assai inferiori di quanto normalmente si pensi. Per fare un esempio: sulla spinta delle lotte, negli anni ’70 il diritto alla salute venne inteso come universale, eguale e gratuito, ma la Costituzione al riguardo (art. 32) è assai più generica ed arretrata.

DONNE
Per le donne la resistenza fu un’occasione per uscire dai ruoli tradizionali, particolarmente fortificati durante il regime fascista. Moltissime furono le donne che parteciparono alla resistenza, ma il loro contributo è stato sottovalutato fino a poco tempo fa, perché si prendevano in considerazione solo quelle appartenenti alle bande partigiane. Si dimenticavano milioni di donne che hanno agito nella cosiddetta resistenza civile, prevalentemente non armata, diffusa sul territorio, e che alla fine della guerra non hanno preso medaglie, rientrando nell’anonimato in una società che – per tutti gli anni ’50 – non ruppe completamente con quella fascista sul piano dei ruoli. Lo sviluppo, negli anni ’70, del movimento femminista, ha avuto però conseguenze anche sul piano storiografico, vincendo l’ottusità delle accademie. Perciò si è cominciato a studiare l’altra metà della resistenza, dando un apporto significativo alla battaglia contro il revisionismo. Parlare della resistenza delle donne, infatti, vuol dire parlare di quella sorta di enorme esercito invisibile su cui, in ogni momento, ha potuto contare l’esercito armato costituito dalle formazioni partigiane. Ribadendo, quindi, che la resistenza coinvolse assai di più che un’esigua minoranza in lotta contro un’altra.

GENOCIDIO
Il XX secolo si apre all’insegna di un genocidio, quello attuato in Turchia contro il popolo armeno. Un evento di portata enorme non solo per la sua entità, ma anche perché di esso tenne conto Hitler nel progettare lo sterminio degli ebrei. Ora, lo stretto legame tra queste due tragedie, deve indurre a collocare in modo adeguato la vicende armena. Al contrario di quanto molti dicono non si è trattato dell’ultimo colpo di coda - segnato da una scia di sangue - del morente Impero Ottomano, bensì di un evento legato alla nascita della Turchia come moderno Stato-nazione. E’ vero, la storia umana è segnata dalle stragi, ma quelle del passato, spesso dovute alle guerre di conquista dei grandi imperi multinazionali, non prevedevano l’eliminazione di un soggetto in quanto tale. Il fatto è che lo Stato-nazione ha bisogno di omogeneizzare ciò che si ha dentro le sue frontiere ed è disponibile a raggiungere questo obiettivo con ogni mezzo: per questo ha inventato il genocidio. L’elemento di diversità, dentro il suo territorio, è concepito – per usare le parole del giurista nazista Carl Schmitt - come nemico esistenziale. Se non in tutti gli Stati si è arrivati al genocidio, è vero che la vicende della Turchia e della Germania nazista lungi dall’essere parentesi di orrore inspiegabile, rivelano gli abissi dello Stato contemporaneo in quanto tale.

MEMORIA
Ogni volta che si svolge un’iniziativa istituzionale sui crimini nazisti, si dice che è per non dimenticare, per evitare che l’orrore si ripeta. Ora, noi sappiamo che la memoria è un campo di battaglia e che il ricordo ufficiale di certi crimini non dipende dalla loro effettiva entità ma da altri fattori. I primi documentari sui campi di concentramento, nel dopoguerra, omettevano che in essi aveva perso la vita un milione di omosessuali. Il fatto che ora se ne parli di più è dovuto all’esplosione, a partire dalla fine dei ’60, di un movimento gay. Raramente, invece, soprattutto sui media, sono citati – come perseguitati dai nazisti – gli zingari e i Testimoni di Geova. Rispetto ai primi, peraltro, i più beceri organi di stampa del centro-destra come Libero continuano a lanciare campagne additandoli come pericolo sociale, mentre i leghisti, in diversi cortei, hanno minacciato di passare alle vie di fatto, urlando slogan come “bruceremo i campi nomadi”.

POLITICA (Primato della)
Nel dopoguerra il PCI, protagonista della lotta partigiana, è il partito nel quale si identificano gran parte della classe operaia e dei settori sfruttati. Proverbiale è la sua capacità di radicarsi nei luoghi di lavoro, nei quartieri popolari, nelle campagne. D’altra parte, esso dispone di una potente macchina organizzativa ed i suoi dirigenti spiccano per intelligenza strategica. Ma, qui sta il punto, il rapporto tra questa organizzazione e le masse è improntato al primato della politica. Le spinte provenienti dal basso non esprimono solo l’odio nei confronti del padrone o del fascista riciclatosi nell’Italia repubblicana. Talvolta, seppur in forme ingenue, esse rimandano alla volontà di forzare gli equilibri dati, al non riconoscersi nella stessa Costituzione del ’48, ancora anelando ad una rivoluzione socialista. Quando queste spinte si traducono in un dissenso organizzato o, almeno, capace di rappresentarsi in quanto tale, si va incontro alla più implacabile repressione, alla diffamazione sapientemente orchestrata. Altrimenti, il tutto viene ricomposto facendo capire agli “insoddisfatti” che si accettano compromessi ma che la prospettiva è sempre rivoluzionaria. Nulla, comunque, deve entrare in contraddizione con il progetto politico del Partito, che va spiegato alla base ma che non può esser modificato. Tutte le spinte provenienti da essa vanno ricondotte al grande disegno della democrazia progressiva, che viene presentata come partecipazione alla lotta parlamentare con la prospettiva di sviluppare non ben specificate forme più avanzate di democrazia. E che in realtà consiste nella lotta contro le forze più reazionarie per la piena attuazione della Carta del ’48, uno dei cardini della linea del PCI, per niente in contraddizione col suo sostanziale allineamento – sul piano internazionale – al blocco dei paesi del “socialismo irreale”.

REVISIONISMO
In Italia, il revisionismo non ha fatto che approfittare delle debolezze della vulgata ufficiale sulla resistenza. S’è accentuato eccessivamente il dato patriottico? I revisionisti hanno individuato, nel proclama dell’armistizio dell’8 settembre ‘43, che avrebbe portato il paese allo sbando, il momento che simboleggia la morte della patria. In questo quadro, l’esperienza di Salò sarebbe stato un tentativo disperato e volto al fallimento di uscire da quella crisi. S’è parlato della resistenza come moto unitario, privo di contraddizioni? I revisionisti hanno avuto buon gioco nel farne emergere gli scontri interni, talvolta aspri. Nel dare una lettura degli accadimenti troppo istituzionale, concentrata sulle forze del CLN, s’è persa di vista la resistenza come fenomeno diffuso? I revisionisti hanno venduto l’immagine di un’Italia attraversata dallo scontro tra due bande, ma nella stragrande maggioranza alla finestra in attesa di sapere il vincitore. Ora, da alcuni anni gli storici più accorti rispondono a questa offensiva nel segno di una “revisione da sinistra”, tale da superare letture tradizionali facilmente attaccabili dai revisionisti. E’ uno sforzo da sostenere ma anche un’impresa difficile. Per quanto logora la vulgata ufficiale mantiene la sua presa a sinistra ed alcuni suoi aspetti fanno parte, inconsapevolmente, persino del bagaglio culturale del movimento antagonista. Che spesso si limita ad essere più conseguente, nella prassi, della sinistra istituzionale, non riuscendo ad elaborare una propria lettura della storia italiana.

Roma, 25 aprile 2006

Corrispondenze Metropolitane
(Riunione ogni martedì, ore 21, presso il comitato di quartiere Alberone, in via Appia Nuova 357)

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