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Arabia inaudita

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(19 Giugno 2011) Enzo Apicella
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(Flessibili, precari, esternalizzati)

Si mobilitanto i restauratori e le restauratrici della provincia di Napoli

Vessati, sfruttati, precari. I 1500 restauratori e le restauratrici di Napoli chiedono l'intervento dell'assessore regionale al lavoro della Campania Corrado Gabriele

(26 Aprile 2006)

Il Ministero dei Beni Culturali legittima gli interessi delle lobby della formazione e delle scuole di restauro, mentre centinaia di lavoratrici e lavoratori restauratori continuano ad essere sfruttati

APPELLO ALL’ASSESSORE REGIONALE AL LAVORO DELLA CAMPANIA CORRADO GABRIELE DA PARTE DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI ADDETTI AL RESTAURO ARTISTICO

Millecinquecento restauratori napoletani, il 90% donne, sono disoccupati o costretti ad operare nella precarietà.

Intanto continuano a rimanere fermi i cantieri per il recupero dei beni culturali. Intanto il Ministero dei Beni Culturali su pressione di alcune lobby ha deciso di istituire un “albo dei restauratori” al quale possono accedere solo i restauratori diplomati presso l’Istituto Centrale del Restauro di Roma e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, due scuole di “alta formazione” che diplomano solo venti giovani ogni anno, dei quali cinque stranieri. Chi si diloma in questi istituti praticamente ha un grande “potere contrattuale” in base ai decreti emanati dal Ministero dei Beni Culturali:può diventare imprenditore, essere assunto come direttore dei cantiere, o acquire qualifiche superiori. Il diploma presso queste due scuole “selettive” è stato equiparato come laurea. Una vera e propria discriminazione nei confronti di centinaia di restauratori e restauratrici che hanno acquisito formazione, professionalità nei cantieri o presso scuole altre scuole di formazione statale. Intanto la disoccupazione aumenta nel settore mentre centocinquanta cantieri finanziati per oltre ottocento milioni di euro nell’ambito del progetto “attrattori culturali” per il recupero di tutti beni culturali e monumentali di Napoli e Provincia non sono mai stati aperti.

Due anni fa, la Regione Campania, l’assessore alla cultura Marco Di Lello, aveva sottoscritto un “protocollo d’intesa” con le organizzazioni sindacali Fillea Cgil, Filca Cisl, Feneal Uil, il CNA, le soprintendenze, le università, le associazioni industriali.

Un accordo che sanciva apertura di cantieri, l’assunzione di almeno settemila restauratori ed operai archeologi, corsi di formazione e di aggiornamento professionale finalizzati, l’istituzione di un Istituto Pubblico di Restauro in Campania, affidamento dei lavori di restauro artistico con il sistema dell’appalto concorso.

Le soprintendenze in qualità di enti appaltanti dovevano selezionare le imprese sulla base di progetti di qualità. Il “protocollo d’intesa” non è mai stato attuato. Si è rivelato, forse, solo un’operazione d’immagine.

“A Napoli vi sono millecinquecento collaboratori restauratori e restauratrici disoccupati o precari – dicono Anna De Biase coordinatrice di Fillea Restauro e Ciro Crescentini dirigente provinciale della Fillea Cgil di Napoli – Sono costretti da alcuni imprenditori a stipulare contratti di lavoro fittizi ed elusivi, ad aprirsi la partita iva, a fatturare figurando come lavoratori autonomi ed a subire tutti gli oneri pesantissimi che ne derivano oppure ad essere retribuiti con la ritenuta d’acconto o più semplicemente, con il sistema del lavoro nero e dei contratti del settore commercio. Coloro che lavorano a queste condizioni non conoscono la tredicesima – sottolinea De Biase – Non conoscono le ferie, l’indennità di maternità, la cassa edile, i controlli sanitari, il diritto allo studio e alla formazione. Sono costretti a pagarsi tutte le tasse, i contributi Inps, Inail.Il tutto, ovviamente, per una paga oraria miserabile che raramente supera sei euro l’ora”.

La carenza normativa e legislativa della figura dei collaboratori restauratori artistici ha fornito un alibi agli imprenditori ed alle soprintendenze per portare avanti progetti e lavori senza mai porsi il problema dei lavoratori, a fronte di un mestiere oltretutto usurante e dannoso per la salute e l’incolumità fisica.

Da un campione di 155 schede di rilevamento personale prelevate durante un’assemblea dei collaboratori restauratori napoletani indetta dalla Fillea Cgil emergono i seguenti dati:
Il 90% sono donne; l’età dei lavoratori e delle lavoratrici è compresa tra i 19 e i 42 anni; il 17% ha prole;il 15% è laureato;solo il 5% è costituito in consorzi, cooperative;il 70% lavora a Partita Iva, ritenuta d’acconto o al nero per una paga oraria lorda che oscilla tra i 5 ed i 6 euro.

Solo il 24% risulta regolarmente assunto, prevalentemente con contratto a tempo determinato, part-time e formazione lavoro, ma in ogni caso con inquadramenti e retribuzioni improprie.

“Ci appelliamo all’assessore regionale al lavoro della Regione Campania Corrado Gabriele affinchè riceva una delegazione di restauratori e di restauratrici della provincia di Napoli – dice Ciro Crescentini dirigente provinciale della Fillea Cgil – Per ricercare subito una soluzione”.

NINO STELLA

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