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(Call center e lotta di classe)

«Atesia: accordo pessimo, referendum vero»

(30 Aprile 2006)

I nuovi schiavi della New Economy non intendono accettare un futuro fatto di incertezza, bassi salari, ricatti e frustrazioni. Il risultato delle assemblee di questi giorni nel più grande call center d'Italia ne è la controprova: il 21 aprile, i circa 400 lavoratori presenti hanno detto a chiare lettere che la distanza tra la piattaforma rivendicativa e l'accordo raggiunto non è in alcun modo colmabile e che non intendono proseguire la propria vita all'insegna della precarietà.
Se analizziamo l'accordo che prevede 426 contratti di inserimento (18 mesi) 1100 contratti di apprendistato professionalizzante (36 mesi) e 294 assunzioni a tempo determinato rispetto alla situazione preesistente che vedeva quasi tutti i lavoratori con contratto Co.Co.Pro potrebbe sembrare un passo avanti.

Il punto è che i lavoratori, in questi anni, hanno sopportato condizioni pesantissime, con la legittima aspettativa di modificarle radicalmente. Proprio ciò che non è avvenuto con questo accordo, che lascia la stragrande maggioranza dei lavoratori in una condizione di fortissima ricattabilità e con salari risibili (650 euro lordi con part time di 5 ore su tre turni lavorativi). Non è data alcuna certezza di assunzione al termine dei contratti di inserimento e di apprendistato per lavoratori che già da anni lavorano per la medesima azienda.

L'azienda potrà continuare ad assumere con i contratti Co.Co.Pro, andando così a ricreare un esercito di lavoratori senza diritti e dando uno schiaffo a quei lavoratori del gruppo Cos, di cui fa parte l'Atesia, che a tutt'oggi sono in cassa integrazione o sono stati addirittura licenziati. Viene peggiorata la Legge 30 che prevede, al massimo, il rapporto di un dipendente in apprendistato a fronte di un dipendente a tempo indeterminato. Inoltre lo sfruttamento dei lavoratori Atesia trae origine, in parte, anche da commesse pubbliche, configurando una sorta di corresponsabilità degli Enti e delle Amministrazioni coinvolte in forme di vero e proprio sfruttamento.

Per tutti i motivi su esposti abbiamo condiviso la volontà del Segretario Generale della Cgil di Roma e del Lazio di riaprire immediatamente le trattative, per trovare un nuovo accordo che sia rispettoso dei diritti più elementari dei lavoratori. Abbiamo chiesto, prima che si svolgessero le assemblee dei lavoratori, che si utilizzasse l'unica forma possibile di validazione dell'accordo e cioè il referendum. Risulta infatti evidente che le condizioni di ricattabilità non permetterebbero ai lavoratori di partecipare liberamente alle assemblee (che hanno visto la presenza di appena il 10% degli aventi diritto).

Ma se è vero che i lavoratori in assemblea hanno chiesto e ottenuto il referendum, in perfetta sintonia con la nostra proposta avanzata al Direttivo, questo non basta.
Occorre dare certezza che tutti i lavoratori possano partecipare al referendum del 15 maggio, senza il rischio di incorrere in sanzioni di qualsiasi genere e se come sembra, non si terrà in circoscrizione, occorrerà garantire comunque che tutti i lavoratori possano esprimere liberamente la loro opinione, trovando i modi più opportuni per impedire che possano essere oggetto di rivalse da parte aziendale.

La letteratura sull'argomento ci dice che i call center italiani sono più di 2000 ed impiegano circa 400.000 lavoratori, compresi quelli non denunciati. La recente splendida lotta degli studenti e dei lavoratori francesi ci insegna che se il sindacato non saprà dare efficaci risposte alla crescente precarizzazione del lavoro che colpisce le giovani generazioni, queste ultime troveranno altri canali per affermarsi. Il risultato del congresso Cgil in Atesia che ha visto su 200 iscritti solo 7 lavoratori presenti dovrebbe indurre tutta la Cgil a una profonda riflessione.

Direttivo Cgil Roma e Lazio Daniele Canti,
Alessandra Taormina, Roberta Turi,
Ornella Dalla Noce(IL Manifesto 29 Aprile 2006)

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