">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Stato e istituzioni    (Visualizza la Mappa del sito )

Consigli sul fine settimana

Il consiglio di Enzo Apicella

(25 Giugno 2006) Enzo Apicella
Il 25 e il 26 giugno vota NO al referendum costituzionale sulla "devolution"

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Stato e istituzioni)

Salviamo la nostra Costituzione!

(30 Aprile 2006)

In una ricerca effettuata da Alma Renata di Soccorso Popolare qualche tempo fa l’obiettivo era quello di dimostrare che il nostro Paese era avvolto da una “ragnatela”, frutto della strategia del ragno che aveva completato la sua trappola, elaborata dalla Loggia massonica segreta P2, del Gran Maestro Licio Gelli, con la formulazione del Piano di "Rinascita Democratica."

A nostro parere, questo Piano ha visto la sua promozione ed attuazione, fin dalla metà degli anni’70, tramite un ceto politico, complessivamente parlando e nel suo insieme, che ha contribuito ad alimentare il clima, l’ambiente, la mentalità, la cultura che hanno permeato una “costituzione materiale” che ha influito ed influisce ancora sulla vita civile dei noi cittadini.

Se si avrà la pazienza di andare a leggere questa “riforma” della nostra Costituzione, ci si accorgerà quanti punti di questa “riforma” coincidono con i capitoli del Piano della Loggia P2. Consigliamo per questo confronto la lettura del testo “Salviamo la Costituzione” di Domenico Gallo e Franco Ippolito.

Siamo in presenza di un progetto eversivo, di stravolgimento della nostra Costituzione che, se attuato, porterà allo svuotamento dei principi del pluralismo, dell’uguaglianza, della libertà, della partecipazione, che costituiscono il fondamento dell’edificio costituzionale.

Il costituzionalismo, sviluppatosi a prezzo di dure battaglie nel corso dei due precedenti secoli, sia per garantite i diritti fondamentali e il principio di eguaglianza politico-sociale (art. 3 Cost.), in specie dopo la seconda guerra mondiale, sia per sottoporre il potere a regole ferme, per delimitarlo e controllarlo, viene sostanzialmente negato dalla recente riforma imposta dalla destra.

Con questa riforma

- è stata operata, a colpi di maggioranza, una rottura "rivoluzionaria" rispetto all'impostazione del Costituente del 1947, che aveva voluto fosse la Costituzione il patto comune di regole, valori e principi condivisi, che tutti sono impegnati ad osservare e realizzare

- si è scelto di "liberare" il potere dai vincoli e dai limiti prima posti al fine di evitarne l'esercizio arbitrario.


Circa il primo aspetto ricordiamo che Hans Kelsen, uno tra i più grandi giuristi democratici, ha insegnato che l'ordinamento costituzionale non può essere stravolto ed asservito ad interessi di parte, contrariamente a quanto ha sostenuto invece Carl Schmitt, "giurista principe del Terzo Reich". Proprio per questo motivo, la sua sostanziale revisione comporta il necessario coinvolgimento di larghe, qualificate maggioranze.

In merito al secondo aspetto, osserviamo che la revisione non può superare, se non con una rottura
"rivoluzionaria", determinati limiti inviolabili, quali il sistema parlamentare e l'assetto democratico, e, quindi, il sistema poliarchico di pesi e contrappesi coordinati al fine di impedire la concentrazione del potere in una sola persona. Al contrario, con la recente riforma, "il centro dello Stato diviene ... il Primo Ministro, dotato di poteri assoluti" ed in particolare di un forte potere di ricatto e controllo sulla maggioranza parlamentare.

Altro limite che la maggioranza dei costituzionalisti ritiene inviolabile è la immodificabilità della prima parte della Costituzione, limite che è stato invece superato, incidendo la cosiddetta “devolution” direttamente sul principio di uguaglianza, affidando competenza esclusiva alle Regioni in materia di sanità ed istruzione. La “devolution” crea infatti ostacoli a che si realizzino la libertà e l'uguaglianza di tutti, ostacoli che ai sensi dell'art. 3 Cost. sarebbe invece compito dello Stato rimuovere, a prescindere dal luogo dove si è nati e si vive.

Inoltre, con la riforma operata, limitando il ruolo della Corte Costituzionale, per renderlo in sintonia con la maggioranza parlamentare, è stata operata una riduzione grave della garanzia voluta dal Costituente del 1947 a tutela dei diritti affermati nella prima parte della Costituzione, superando un altro limite ritenuto pure invalicabile.

E' stata compiuta una "rivoluzione" eversiva anche dei principi istituzionali dell'ordinamento, "realizzata con le procedure legali previste per il suo mutamento"; rivoluzione che è giusto definire conservatrice, anzi, reazionaria. Infatti, la vera posta in gioco è, da quindici anni in qua, la riscrittura del patto fondamentale, lo sradicamento delle radici antifasciste della Repubblica, la rottura della sua unità territoriale, l’archiviazione liberista dei suoi principi egualitari, l’introduzione di una forma di governo presidenziale che renda pleonastico il ruolo del Parlamento. Ovvero il progetto che dal 1994 tiene incollata la destra tricipite italiana, Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord, e che la “riforma” costituzionale varata in Parlamento e sottoposta a referendum realizza perfettamente e coerentemente. Contro tutto questo, è giusto e legittimo che il popolo organizzi una attiva resistenza. Azione che oggi, intelligentemente, è stato deciso di portare avanti in forme legali dal Comitato in Difesa della Costituzione con la raccolta di più di ottocentomila firme per sottoporre a referendum lo “sbrego” fatto alla nostra Costituzione da forze politiche che si esprimono in personaggi come il razzista Calderoli e suoi alleati. (Parte del testo è il frutto di elaborazione teorica dell’avv. Luigi Ficarra del Comitato per la Difesa della Costituzione)

Quindi, in effetti il primo problema che dobbiamo affrontare è che la gente non sa che è avvenuta una riforma della Costituzione. Il fatto che la stampa e i mass-media, tutti, abbiano utilizzato l’espressione “devolution”, che ci è stata imposta dalla destra per indicare questa riforma, (non si capisce poi perché i mezzi di comunicazione di sinistra abbiano recepito la stessa espressione), è diventata una convenzione linguistica. Di conseguenza, la gente non sa nulla di quello che è successo, perché il termine “devolution” nasconde quello che è stato fatto, non serve a svelare e a formare un’idea di quello che è successo.

La cosa più importante, che dobbiamo far capire a tutti nella campagna elettorale per il referendum, è che non ci troviamo in presenza di una modifica della Costituzione, di una semplice revisione della Costituzione, ma della sostituzione della Costituzione partorita nel 1947, frutto della lotta di Resistenza e frutto di una contingenza storica particolare in cui l’Italia ha dato il meglio di sé, con un’altra Costituzione, scritta in una baita del Cadore da “saggi” del livello…dell’ex ministro leghista Calderoli, estranea ai valori costituzionali che sono stati alla base della Costituzione del 1948.

Questi “saggi” sono persone estranee a questi valori, e sono portatori di una cultura che va a ridisegnare completamente l’orizzonte della nostra vita collettiva, come comunità politica organizzata in Stato.

Il metodo utilizzato da costoro è un metodo che serve fortemente a ridurre l’impatto, perché apparentemente sono rimasti in vigore lo stesso numero di articoli, però è il loro contenuto che è stato radicalmente mutato. Sono stati radicalmente cambiati 50 su 84 articoli effettivi che compongono la seconda parte della Costituzione.

Per questo, risulta necessario far capire ai cittadini Italiani che la Costituzione, che ha segnato l’orizzonte nel quale si è svolta la nostra vita politica e le nostre vicende personali, umane, di cittadini, questa Costituzione viene sostituita da un’altra Costituzione.

Quali sono le linee di fondo di quest’ultima?

Certamente non la cosiddetta “devolution”, che tra l’altro, anche se viene presentata come una grande vittoria di accrescimento del potere delle Regioni, non corrisponde a questo. Non è questo il punto dirimente.

Il punto dirimente è che noi ci troviamo davanti ad una nuova Costituzione. Il popolo Italiano potrà approvarla o rigettarla, ma si deve sapere che la scelta che si andrà a fare, il 25 e il 26 giugno 2006, è una scelta istituzionale, come quella che si fece il 2 giugno del 1946 fra Monarchia e Repubblica.

Si tratta di una scelta pesante, però con un significato inverso. Mentre nel 1946 il popolo Italiano veniva chiamato ad abbandonare un regime monarchico, che aveva dato una pessima prova di sé, per fondare un nuovo ordinamento repubblicano, nel 2006 noi veniamo chiamati ad abbandonare l’ordinamento repubblicano per fondare un nuovo ordinamento autocratico, un ordinamento peggiore dell’ordinamento monarchico in vigore ancora per la prima metà del 1946.

Quindi, si tratta della scelta che riguarda il nostro futuro e la nostra identità come collettività politica organizzata attraverso le istituzioni, lo Stato e la Costituzione.

La “riforma” è un oggetto misterioso, che nessuno conosce, tant’è che non ci sono pubblicazioni che la illustrano e che ne danno diffusione; i giornali, quando ne danno conto, lo fanno in modo estremamente semplificato e riduttivo, se non mistificante, e quindi il popolo Italiano si troverà di fronte ad una scelta fondamentale per il suo futuro senza avere gli strumenti di cognizione minimi necessari.

Quindi, per prima cosa, bisogna far capire che siamo in presenza di un progetto di nuova Costituzione. Nello stesso tempo bisogna sforzarsi di far capire qual è il valore della posta in gioco, quali sono i valori fondamentali della attuale Costituzione Italiana, di cui purtroppo molti di noi hanno perso memoria in una sorta di analfabetismo costituzionale di ritorno, perché i ceti politici dirigenti, in fondo, da anni hanno abbandonato questi valori come punti di riferimento. Per questo, anche noi stessi, popolo Italiano, un po’ alla volta abbiamo perso il senso del significato, della forza di questi valori.

Uno degli argomenti che sono stati usati nel dibattito parlamentare per tranquillizzare gli Italiani è stato quello che, in fondo, la “riforma “modifica soltanto la seconda parte della Costituzione, mentre alla prima parte, quella sui diritti, sulle libertà dei cittadini, in alcun modo è stato messo mano. Ai cittadini Italiani si racconta questa favola, ma tutto questo è falso!
La prima parte della Costituzione viene fortemente ridimensionata, per non dire travolta, dalla modifica della seconda parte. E questo è facile da spiegare. La seconda parte della nostra Costituzione è l’ordinamento della Repubblica; ora, quando noi parliamo di uguaglianza, di diritti di libertà, di diritti dei lavoratori, di diritti della famiglia, quando parliamo di tutti questi beni e valori fondamentali repubblicani, che sono indicati nella prima parte, questi beni, per esistere, hanno bisogno di essere attuati attraverso un ordinamento democratico. Se questo non esiste, la prima parte della Costituzione diviene come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, un bel documento, ma se non viene accompagnato da alcun ordinamento democratico, sono belle parole al vento. Quindi, sostituendo l’ordinamento democratico con un nuovo ordinamento, in realtà, hanno pensato di devastare anche la prima parte della Costituzione.

Pensiamo al principio democratico, che è il primo principio affermato dall’art. 1 della Costituzione. Questo fondamentale principio viene sviluppato nella seconda parte, dove si parla del Parlamento, della rappresentanza, dell’organizzazione dei poteri. Se viene modificato dove si crea un sistema, un ordinamento fondato sulla centralità del Parlamento, luogo deputato ad esprimere la rappresentanza, attraverso cui si dovrebbe costruire la partecipazione dei cittadini alla vita politica, così funziona il principio democratico, anche se, dal punto di vista formale, apparentemente non è stata modificata alcuna norma della prima parte, questa risulta completamente assorbita e devastata.

Se viene cancellata la centralità del Parlamento, viene fortemente inciso il principio democratico, tanto da ridurlo a moncherino.

Il cuore di questa “riforma” non è la “devolution”, ma è la modifica della “forma di governo”, e la forma di governo è il cuore di ogni ordinamento democratico. La modifica è stata così radicale e così profonda che noi usciamo fuori da un ordinamento di tipo parlamentare, di tipo occidentale, così come è conosciuto nell’esperienza del costituzionalismo moderno, e comunque nell’esperienza delle democrazie occidentali. E noi entriamo in un altro ordinamento, che non esiste in alcuna democrazia dell’Occidente, però non sconosciuto nel nostro Paese, perché noi abbiamo già sperimentato un ordinamento fondato sul governo e sul predominio del Primo Ministro.

Infatti, il passato Regime Fascista dai costituzionalisti dell’epoca veniva considerato non come dittatura, stato totalitario od altro, ma come ordinamento politico fondato sul governo del Primo Ministro. Non a caso, quando è stata instaurata quella forma di governo incentrata sul Primo Ministro, è cambiata anche la denominazione dell’organo, perché nello Statuto Albertino il capo del governo si chiamava Presidente del Consiglio dei Ministri. Nel 1922, quando la carica fu affidata a Benito Mussolini, veniva mantenuta questa denominazione, ma nel 1925 venne mutata con la Legge 24 dicembre 1925 n.22/63. Con questa legge fu modificata la forma di governo, e fu modificata la figura del capo dello Stato, che per legge, e non a caso, cambiò nome, da Presidente del Consiglio dei Ministri a Primo Ministro. Con questa legge vennero attribuiti al Primo Ministro dell’epoca, Cav. Benito Mussolini, poteri di supremazia sul Parlamento.

Ecco alcuni significativi esempi di comparazione fra la Legge del 24 dicembre 1925 con i poteri di Benito Mussolini e le disposizioni di questa nuova Costituzione del 2006 con i poteri del “nuovo” Primo Ministro.

Dal confronto di questi due testi, si scopre che il “nuovo” primo Ministro ha poteri maggiori, almeno da un punto di vista legale, del Primo Ministro dell’epoca dell’ordinamento fascista, perché il Primo Ministro del 1925 incontrava dei limiti ai suoi poteri dal fatto che esisteva una diarchia di poteri, esisteva un altro organo, anche se spesso complice del primo Ministro, che comunque non poteva essere controllato dal Primo Ministro, e questo organo era il Sovrano.

Il Primo Ministro era costretto a dividere i suoi poteri con i poteri del Sovrano. Nella “riforma” il Primo Ministro non deve dividere i propri poteri con i poteri del Presidente della Repubblica, che vengono drasticamente ridimensionati, ma concentra tutti i poteri nelle sue mani.

Quindi, mentre il Primo Ministro definito con la Legge del 1925 non aveva il potere di nominare e revocare i Ministri, il “nuovo” Primo Ministro ha questo potere.

Mentre il Primo Ministro del 1925 veniva nominato dal Sovrano e poteva da questo venire revocato, il “nuovo” Primo Ministro viene nominato per obbligo di legge dal Presidente della Repubblica, ma non può essere da questo revocato, perché il Presidente della Repubblica non ne ha il potere.

Il primo Ministro Benito Mussolini dirigeva l’attività del Consiglio dei Ministri come una sorta di “primus inter pares”, anche se poi aveva dei poteri di supremazia di fatto, perché dal punto di vista legale non aveva poteri di supremazia sui suoi Ministri; invece, il “nuovo” Primo Ministro è gerarchicamente sovraordinato ai Ministri, che allora non costituiscono più un Consiglio, ma sono suoi dipendenti, che lui nomina e revoca a piacere.

D’altro canto, tutto questo è stato rivendicato esplicitamente nell’aprile 2005 dall’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il quale nel corso dell’unica crisi di governo avvenuta durante l’ultima legislatura, è intervenuto al Senato affermando che “nei Paesi Europei, dove il sistema istituzionale già lo consente, il Premier eletto dal popolo adegua la squadra di governo ogni volta che se ne presenti la necessità, sotto la sua diretta responsabilità, senza lunghe ed estenuanti crisi politiche e verifiche parlamentari. Così si fa nelle più avanzate democrazie occidentali!
Per consentire questo risultato, il sistema Costituzionale del nostro Paese richiede una serie di passaggi formali, a partire dalle formali dimissioni del Governo. Però, la Riforma Costituzionale di questa maggioranza adeguerà il nostro sistema di Governo alle moderne democrazie.”


In realtà adegua sì il sistema di Governo, ma non alle moderne democrazie, ma al precedente regime del Fascismo Italiano.

Non si tratta più di un sistema Parlamentare, perché il Primo Ministro predomina sul Parlamento, impone la sua volontà al Parlamento, e, se il Parlamento è riluttante ad accettare la sua volontà, lo scioglie e quindi convoca nuove elezioni in una situazione in cui tutti i poteri sono concentrati nelle sue mani. E per questo ha una forte potenzialità di orientare il risultato delle elezioni.

Quindi, esiste una soggezione formale, costituzionale, non solo di fatto, del Parlamento alla volontà del Primo Ministro, come è assicurata una soggezione del Governo alla volontà del Primo Ministro.

Quando nel programma dell’Unione di Romano Prodi si parla che questa “riforma” introduce il rischio della dittatura della maggioranza, si sbaglia: non si tratta della dittatura della maggioranza, questa è la dittatura del Capo del Governo! Infatti, non è una maggioranza, ma è il Capo del Governo che predomina sul Consiglio dei Ministri, predomina sul Parlamento, predomina sugli organi di garanzia, come sul Presidente della Repubblica che non garantisce più nulla. Allora, non si può parlare di dittatura della maggioranza, ma di potere concentrato nelle mani di una sola persona, il Primo Ministro.

Avremo una forma di democrazia dell’investitura, avremo una forma di governo del Primo Ministro, così come il popolo Italiano ha già sperimentato durante il passato Regime Fascista.

Non è una prospettiva esaltante!
Ci viene detto che questa “riforma”prevede il federalismo e il Senato Federale.

Nella legge del 1925 veniva affermato il potere di supremazia del Capo del Governo dell’epoca sul Parlamento e si stabiliva che, se una legge proposta dal Primo Ministro veniva bocciata da una delle Camere, il Primo Ministro poteva presentarla all’altra Camera dove ne riceveva l’approvazione.

In questa “riforma” si prevede che il primo Ministro non può condizionare il Senato, dato che non lo può sciogliere: il Senato non può scadere, non sono nemmeno previste elezioni periodiche, i Senatori vengono eletti ogni qualvolta avvengono elezioni Regionali. In apparenza questo costituisce un limite all’onnipotenza del Primo Ministro, ma, date le assonanze culturali fra la maggioranza che ha strutturato la “riforma” e coloro che hanno scritto la legge del 1925, è stato individuato un sistema per superare questo limite e garantire la supremazia del Primo Ministro. Se a questo sta particolarmente a cuore l’approvazione di una legge, esiste una procedura particolare autorizzata dal Presidente della Repubblica, che in questo caso interviene non come organo di garanzia ma come organo gregario del Primo Ministro, attraverso la quale il Primo Ministro si presenta al Senato e afferma di esigere l’approvazione della legge conformata in un certo modo; se il Senato rifiuta o approva la legge in una diversa versione, il Senato perde il potere di decisione e la legge passa automaticamente alla Camera, esattamente come nel passato ordinamento fascista. E la Camera, condizionata dai poteri di supremazia del Primo Ministro, concede sicuramente l’approvazione.

In questo contesto, c’è un imbarbarimento delle fonti della legge che renderà assolutamente ingestibile il sistema.

Basti pensare che nella nostra Costituzione del 1948, ora terribilmente resa provvisoriamente in vigore fino alla risoluzione del dilemma attraverso il referendum popolare, il procedimento legislativo è regolato da una norma formata da 9 parole, mentre nella “nuova” Costituzione il procedimento legislativo è regolata da una norma composta da 579 parole.

Già da questo si può comprendere quanto diventa complicato od impossibile il procedimento legislativo, per cui la legislazione diventerà una sorta di odissea nella giungla. Ad esempio, mentre nella situazione attuale un deputato, un senatore, o anche il governo, che abbia la volontà di presentare un disegno di legge, basta che si presenti presso gli uffici della Camera o del Senato, e lo deposita, nella nuova legislazione questo non sarà assolutamente possibile: verrà valutata l’ammissibilità del disegno di legge da parte di uffici preposti della Camera e del Senato, per cui, a discrezione, l’ufficio della Camera potrà dichiarare la Camera non competente per quel disegno di legge, e questo vale anche per l’ufficio del Senato, con un conseguente palleggiamento del disegno di legge fra i diversi uffici. Per risolvere il contenzioso, che non sempre si potrà risolvere, esiste tutta una procedura farraginosa. Sullo sfondo campeggia la Corte Costituzionale, alla quale ci si potrà sempre rivolgere per dichiarare la supposta esistenza di una violazione del procedimento legislativo.

In conclusione, possiamo riassumere che ci troviamo di fronte allo sfascio dell’Italia!

La posta in gioco è dunque la più alta, di peso ben maggiore di una pur importante vittoria politica alle elezioni. Chi ne è consapevole? La disattenzione estrema, prima in campagna elettorale, ora nel dibattito sul nuovo governo, preoccupa in modo notevole. Solo in concomitanza del 25 aprile si sono sentiti alcuni esponenti politici che hanno sottolineato l’urgenza della difesa della nostra Costituzione. Dobbiamo pur guardare in faccia la realtà, non possiamo nulla nasconderci: oggi siamo in presenza di un ceto politico che rivela una scarsa sensibilità per i temi politico-istituzionali che riguardano la vita civile dei cittadini. Ci auguriamo che le urgenze per la lotta politica imposta dalla campagna elettorale sentano una ripresa di interesse per questi temi, ma all’oggi le cose purtroppo stanno esattamente in questi termini.

Per questo motivo non possiamo non essere preoccupati quando pensiamo al futuro, a quello che potrà essere in una prospettiva prossima ventura, per ciò che verrà messo in azione attraverso la “devolution”, ma anche attraverso quei principi di rilevanza costituzionale che sono già stati approvati dal centro-sinistra nella legislatura precedente, nel 2001, a poche settimane dalle elezioni, con 3 voti di maggioranza! Perché, quando leggiamo che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Regioni, dalle aree metropolitane,…e dallo Stato, non si capisce più nulla. In questa prospettiva, evidentemente, non si può più parlare di “Stato Repubblicano”, perché Stato e Repubblica non coincidono più, non sono sinonimi!

Quindi, avvertendo tutta la gravità del pericolo che ci minaccia, non dimentichiamo che la situazione generale non è eccellente, e che forse, quando fu elaborata quella revisione del Titolo V della Costituzione dal Senatore Bassanini, costui non era dotato di grande lucidità. Noi stiamo vivendo in questo clima, e il problema della “riforma” costituzionale nasce negli anni Ottanta. Si tratta di un vecchio problema, prova ne sia un testo scritto da Giuliano Amato proprio in quegli anni dal titolo “Una Costituzione da riformare”. Da lì nasce tutto, e si riceve l’impressione che si sia sempre scelta la strada sbagliata, la strada meno pervia, meno limpida, meno “garantista per i cittadini”, se questo termine di cui si è fin troppo abusato ha ancora un significato attuale. Certamente andremo a votare il prossimo 25 giugno per fermare questo dissennato, sciagurato progetto, ma già dal 26 giugno vigileremo ancora, dobbiamo vigilare ancora perché non possiamo essere certi che qualche piccolo o grande scempio alla Costituzione del 1948, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti, non venga ancora apportato.

Se il 25 giugno, come è auspicabile, come tutti speriamo, come è probabile, speriamo anche sicuramente, gli Italiani voteranno contro questa ipotesi di “riforma” della Costituzione, non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia e calare la vigilanza, perché il clima che ci avvolge è quello di una disinvoltura legislativa ed istituzionale molto pericolosa.

Nelle piazze di Padova, il 25 aprile, durante le cerimonie e le assemblee pubbliche, non sono stati messi mai in rilievo questi pericoli che noi, membri di una società civile stretti attorno ad un patto sociale modernissimo, la nostra Costituzione del 1948 poco applicata e tanto disattesa, stiamo correndo.

E noi di Soccorso Popolare, piccola organizzazione di base per dare informazioni e aiuto materiale alla gente, siamo fieri di essere apparsi in mezzo alle manifestazioni con questo nostro volantino appello, che anche voi potete mettere in diffusione, sottoscrivendolo.

a cura di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Notizie sullo stesso argomento

Ultime notizie del dossier «No alla devolution - difendere la Costituzione»

Ultime notizie dell'autore «Soccorso Popolare - Padova»

12805