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Quotidiano comunista?

Lettera aperta alla redazione del "Manifesto"

(3 Maggio 2006)

Cari compagni,
spero potrà essere ancora possibile, per un antico compagno, esprimere una opinione controcorrente nel merito dell'inopinata riapertura del dibattito sulla dizione "quotidiano comunista" all'interno della testata del giornale.

Sono dell'opinione che davvero, forse, non è il caso di mantenere quella scritta. Non per il motivo, però, che essendo stato sconfitto il "comunismo reale" del '900 proprio non sia più il caso di richiamarci a quell'esperienza.

L'idea del comunismo (dico l'idea concreta, quella maturata attraverso le esperienze accumulate nello studio, nella riflessione, nella pratica politica dei soggetti che hanno tentato di incarnarla) rimane come "esigenza storica": di conseguenza fatto politico di assoluta attualità, che richiederebbe una forza politica adeguata ad interpretarla sul piano dell'identità e dell'azione.

Non esiste, però, alcun soggetto che tenti di collocarsi all'altezza di questa esigenza complessiva, anche perchè quelli che - sul piano organizzativo - si proclamano tali hanno fatto, da tempo, una scelta meramente politicista di adeguamento ai meccanismi dell'esistente: un giudizio che mi permetto di esprimere al di là della loro collocazione, o meno,al governo della realtà statale di un paese periferico qual'è l'Italia.

Una posizione al governo realizzata nella marginalità della loro identità politica e nella marginalità della situazione storica, che li renderà - per l'appunto - marginali ed, essenzialmente, promotori di un ceto politico, incapace di capire il "vuoto sospeso" in cui si trova la politica, oggi, non solo in Italia ma in tutto l'Occidente.

"Il Manifesto" può, allora, dismettere la dizione "quotidiano comunista" perchè , nel corso di questi anni,non ha saputo proporre una diversa visione al riguardo della deriva che ho appena cercato di descrivere: ci si è allontantati troppo dal progetto originario, quello del giornale ma anche,e soprattutto, del gruppo politico, dall'idea - cioè - di una rifondazione "vera" dell'idea e della pratica politica di una soggettività coerentemente misurata sulla prospettiva comunista in Occidente.

Oggi assistiamo al vuoto su questo terreno, un vuoto che stanno cercando di occupare gruppi storicamente "laterali" all'ipotesi di una criticità centrata sulla complessità delle contraddizioni effettivamente operanti nella realtà sociale e politica che stiamo vivendo.

Una situazione che è anche responsabilità nostra, mentre nel "caso italiano" sarebbe più giusto riflettere sull'esigenza di un soggetto di opposizione, formato da una complessità di istanze sociali e politiche, capace di collocarsi fuori e contro il liberismo imperante, che ha coinvolto ormai l'insieme delle forze politiche.

Non avere l'intenzione di muoversi su questo terreno, riducendosi ad una espressione di "criticità esigenziali" del tutto interne al quadro dato, rende - di conseguenza - abbastanza pleonistica mantenere la famosa dizione di cui si sta discutendo.

Insomma: servirebbe un nuovo progetto politico, ma al "Manifesto" questo non sembra, almeno in apparenza, interessare.

Oppure potrebbe essere possibile aprire una discussione su questo punto?

Grazie per l'attenzione

Franco Astengo

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