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Bipolarismo: la rottura necessaria

Intervento di Germano Monti (Forum Palestina) al seminario su globalizzazione e bipolarismo del 21 maggio 2006

(28 Maggio 2006)

Il bipolarismo non è una novità, tanto in Italia, quanto in tutta l’Europa occidentale. Di più: il bipolarismo è relativamente indipendente dal sistema elettorale vigente. Materialisticamente, possiamo dire che il bipolarismo politico non è altro che la trasposizione sul quel piano della dialettica fra proletariato e borghesia, che vanno a rappresentarsi nei partiti e/o nelle coalizioni che si confrontano sul terreno della democrazia elettiva; in questo senso, il bipolarismo si struttura in parziale indipendenza dal sistema elettorale vigente, tanto è vero che le maggiori democrazie europee sono caratterizzate dalla presenza di un grosso partito conservatore e di un grosso partito socialdemocratico tanto nella patria del maggioritario uninominale – l’Inghilterra – quanto nei Paesi a regime elettorale variamente proporzionale, quali Spagna, Germania, Grecia, ecc. Neanche la Francia – terra di ripetute mutazioni del proprio sistema elettorale – fa eccezione. In Italia, anche prima dell’introduzione del maggioritario ed in presenza di un sistema proporzionale “puro”, di fatto la rappresentanza si organizzava intorno ai due poli facenti capo, da un lato, alla Democrazia Cristiana, dall’altro al PCI.
Naturalmente, dire che il bipolarismo non è una novità non significa sottovalutare le conseguenze dell’introduzione di un sistema elettorale che tende esplicitamente ad eliminare la presenza di formazioni indisponibili a quella convergenza al centro che costituisce la vera caratteristica dei sistemi compiutamente bipolari, laddove il termine “centro” sta a significare la condivisione delle compatibilità fondamentali del sistema, tanto sul piano interno, quanto su quello internazionale. Da questo punto di vista, la vicenda italiana è assolutamente emblematica.
Mi auguro che nessuno abbia dimenticato come la trasformazione del sistema elettorale – da proporzionale a maggioritario uninominale – fosse il cavallo di battaglia non solo della variegata pattuglia guidata da Mariotto Segni, ma anche del PCI – PDS di Occhetto, D’Alema e Veltroni, i quali concordavano sin dalla fine degli anni 70 sulla necessità di superare l’anomalia italiana, ridefinendo il quadro istituzionale e della rappresentanza politica in base alle nuove esigenze della produzione e del comando d’impresa. Il fatto che un parziale ritorno al proporzionale sia stato recentemente messo in atto da un governo di destra non deve trarre in inganno: a parte il fatto che non di proporzionale si tratta (semmai, del superamento – comunque positivo – della frammentazione uninominale), va detto che le ragioni del cambiamento repentino della legge elettorale sono state meramente tattiche ed hanno prodotto un meccanismo che, per quanto di gran lunga preferibile al mattarellum, richiede la riapertura di una battaglia politica per un sistema compiutamente proporzionale. Il centrosinistra e Rifondazione Comunista hanno fatto esattamente il contrario: si sono arroccati nella difesa ad oltranza del maggioritario uninominale, il che è assolutamente comprensibile da parte dei coerenti sostenitori di quel sistema, ma è apparso francamente indecente da parte di chi – Rifondazione, appunto, PdCI e Verdi – si è sempre dichiarato proporzionalista, e questo a dimostrazione di quanto si sia radicata la mala pianta del bipolarismo e dell’alternanza convergenti al centro, nel senso già indicato e che ora cercherò di approfondire sul piano dei contenuti.

Dicevamo che la strutturazione dei sistemi rappresentativi lungo i binari del bipolarismo è relativamente indipendente dai sistemi elettorali, ma è evidente che, quanto più il sistema è concepito per annientare le forze eccentriche, tanto più si accentua la convergenza al centro degli schieramenti apparentemente opposti. In altre parole, le forze non integrabili nell’alternanza, perché portatrici e rappresentative di istanze non omologabili, in un sistema proporzionale e in una democrazia parlamentare – quali sono indicate nella Costituzione del 1948 – possono esprimersi e persino condizionare gli eventi politici, farsi espressione dei movimenti reali in termini non solo simbolici e testimoniali, ma di pressione sul complesso del quadro politico. Viceversa, in un sistema maggioritario, dove il bipolarismo convergente al centro non è solo il naturale prodotto della rappresentazione mediata di una dialettica sociale, ma una legge dello Stato, è chiaro che le forze che ho definito eccentriche (in primo luogo, ovviamente, i comunisti) sono destinate ad essere marginalizzate dalla rappresentanza istituzionale e “condannate” all’iniziativa extraparlamentare.
Dopo la svolta di Occhetto e l’introduzione del maggioritario, abbiamo assistito alla rapida omologazione della “sinistra” ai temi politici ed economici delle forze capitalistiche: è avvenuto con l’esaltazione del mercato e della modernizzazione d’impresa, ma anche con l’adesione alle dottrine internazionali delle centrali imperialistiche, come ha dimostrato la partecipazione italiana – premier Massimo D’Alema - alla vile aggressione contro la Jugoslavia e come dimostrerà il permanere dell’intervento militare italiano in Afghanistan e in Iraq. In estrema sintesi, possiamo confermare come il bipolarismo sia la forma politica più adeguata alla forma – Stato del capitalismo multinazionale, che ora va di moda definire globalizzato.
In questo contesto, il ruolo di una forza politica comunista non può che essere quello della rottura del bipolarismo e della costruzione dell’alternativa, che è l’opposto dell’alternanza. La parabola del Partito della Rifondazione Comunista è tristemente paradigmatica: nato per sottrarsi al ricatto maggioritario e alle compatibilità del bipolarismo, il PRC è approdato all’apologia dell’alternanza ed all’internità subalterna (e non potrebbe essere altrimenti) ad uno dei poli sostanzialmente coincidenti. Della liquidazione del proporzionale operata da Bertinotti si è già detto, ma non dimentichiamo come l’accelerazione della marcia di avvicinamento del PRC ai salotti buoni dell’alternanza sia avvenuta anche sulla collocazione della politica estera: dal 2002, il PRC ha sistematicamente tentato di sabotare l’iniziativa politica e di mobilitazione contro il genocidio del popolo palestinese, nonostante il movimento di solidarietà di cui il Forum Palestina è l’espressione più netta sia stato partecipato da moltissimi compagni e compagne di quel partito. Gli anatemi di Gennaro Migliore e dello stesso Bertinotti contro il Forum Palestina e le altre organizzazioni solidali con l’Intifada hanno contribuito a rendere affidabile il PRC per i poteri forti internazionali, non meno di quanto stia avvenendo con il mancato sostegno al più generale movimento contro la guerra: il recente attacco delle lobby sioniste al direttore del giornale del PRC, Piero Sansonetti, è in tutta evidenza il tentativo di liquidare definitivamente ogni sacca di dissenso, e trovo estremamente significativo il fatto che Bertinotti non solo non abbia difeso Sansonetti, ma si sia larvatamente unito al linciaggio orchestrato dall’ambasciata israeliana e dalle potenti lobby sioniste.
Analogamente alla desolidarizzazione verso il popolo palestinese, il PRC ha fatto mancare ogni sostegno alla lotta di liberazione del popolo iracheno, derubricandone la resistenza contro l’occupazione a terrorismo, unendosi al coro fariseo della solidarietà con le nostre vittime e non assumendo la minima iniziativa per imporre all’agenda politica il ritiro dei contingenti italiani dai teatri di guerra in cui sono coinvolti; al contrario, con l’esclusione di Marco Ferrando dalle candidature, Bertinotti ha voluto segnalare inequivocabilmente la propria scelta di campo, pienamente e definitivamente interna alla partecipazione della borghesia e delle imprese italiane al saccheggio delle risorse ed al massacro delle popolazioni che hanno la sfortuna di trovarsi nel mirino delle multinazionali americane, israeliane o europee. Da questo punto di vista, la presenza di Bertinotti alla prossima parata militare del 2 giugno è il degno coronamento di anni di lavoro per svuotare dall’interno il movimento contro la guerra.

Sul versante dei movimenti: la questione “i movimenti reali chiedono un'alternativa o si adeguano al sistema bipolare?” non ammette risposte semplificate. Se, per definizione, i movimenti esprimono rivendicazioni tanto radicali quanto parziali, è anche vero che ognuna di queste parzialità – dal rifiuto della guerra ai No Tav, dagli operai di Melfi agli studenti ed ai lavoratori della scuola pubblica, dalle battaglie ambientali a quelle per il diritto alla salute – allude ad un altro mondo possibile e necessario.
Per quanto riguarda il movimento contro la guerra e l’occupazione della Palestina, è evidente che i suoi obiettivi investano il terreno generale della politica estera del Paese, dell’assetto del Mediterraneo e del Medio Oriente (aree geopolitiche vitali per l’Italia e l’Europa), dei rapporti con gli U.S.A. e con le potenze emergenti (Cina, India) o riemergenti (Russia). Per quanto le parole d’ordine possano essere parziali – ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, cessazione del sostegno politico, economico ed ora anche militare allo Stato sionista – la prospettiva che indicano è quella di uno scenario e di una collocazione radicalmente diversi da quelli attuali, così come avviene per i movimenti dei lavoratori, degli studenti, ecc.
Dunque, possiamo affermare che i movimenti chiedono un’alternativa anche se e quando non lo esprimono compiutamente nelle loro parole d’ordine. Il nostro problema, allora, è quello di ricostruire una visione generale che ricomponga politicamente quanto espresso dalle istanze di movimento in una prospettiva generale di trasformazione dell’esistente; è il problema della costruzione del partito come elemento di progettazione e organizzazione sul livello adeguato sia alla complessità della situazione odierna, sia alla nuova composizione di classe. Al di fuori di un nuovo partito comunista non vi è altra soggettività che possa lavorare per aggregazioni politiche e sociali alternative e candidarsi credibilmente alla rottura della camicia di forza del bipolarismo: questa consapevolezza è la stella polare delle nostre scelte per l’immediato futuro.

Roma, 19.5.2006

Germano Monti

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