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Una sinistra desnuda al mercato delle uniformi

con Pisanu, Olmert e Bush in trincea a Nassiriya, con Coca Cola e Fiat al caminetto olimpico

(18 Febbraio 2006)

E c’è chi ancora si sorprende. Incamerata l’evidenza delle due destre in un’Italia finalmente omologata al dualismo per fessacchiotti anglosassone, ci si pone ora il problema di come definire una sinistra residuale che, autodefinitasi radicale, forse su suggerimento boniniano, in vista dell’orizzonte poltronaro che albeggia oltre le tornate elettorali, nazionali e locali, si va spogliando di ogni sembianza, alternativa ancor prima che antagonista. Di conseguenza, alle bancarelle delle eccedenze statunitensi e Nato va cercando quei panni trendy (di tendenza) che la possano far confondere e intrecciare con i frequentatori di caserme e commissariati che da un paio di lustri ci disciplinano. E i cui lustrini ci parlano di Belgrado, Kabul, Nassiriya, Napoli, Genova. Nonché della fucilazione per alto tradimento di Marco Ferrando, non il primo dei Patriot Act di un Bertinotti che, essendo intimissimo del D’Alema bombardiere di Jugoslavia, non poteva non soffrire l’estraneità di chi deplora invasioni e sostiene difese. Chi frequenta queste cartacce sa che Ferrando è il trotzkista di opposizione (ci sono anche quelli di complemento) a un Bertinocchio in bulimia di liquidazioni e di saldi di governo, che, già candidato alle politiche 2006 del PRC, è stato visto giustiziato sulla pubblica piazza dal segretario del suo partito, tra gli ebbri clamori dei futuri fratelli di loggia, caserma e sacrestia. Il suo crimine? Aver messo in discussione la legittimità di uno Stato che ignora vuoi decine di risoluzioni dell’ONU, vuoi i trattati di non proliferazione nucleare, vuoi le più elementari norme antibarbarie della convivenza umana come racchiuse nei sacri trattati. E aver declinato una verità sussunta da 25 milioni di iracheni, da qualche miliardo di abitanti della Terra non adusi a Fox ed Emilio Fede, nonchè addirittura dalla stessa ONU e, recentemente, anche dai guerrieri nazisionisti globali, definendo “Resistenza irachena” quella che, ottemperando allo stesso dettato della Carta dell’ONU, ha colpito coloro che i governanti di cui sopra avevano collocato nel tirassegno di Nassiria. Grazie a Bertinotti, il volgo e l’inclita hanno potuto vedere trattare Ferrando peggio dei nazisti Saya, Tilgher e Fiore, parimenti sgraditi all’altra parte, ma almeno difesi da una propria leadership meno appecoronata. Tagliate così le “ali estreme”, gli strateghi della canea reazionaria degli anni’70, accomunati a un comunista perbene, escono trionfanti dalle loro discariche. Bravo, compagno Bertinotti!

Cogliendo l’opportunità della vigilia di una manifestazione nazionale in difesa di un popolo che un bel concerto di assassini di Stato vorrebbe rimuovere dalla carta geografica (altro che Ahmadinejad!), istruendo il suo chierichetto dal cognome-burla, Gennaro Migliore, a dissociarsi dall’evento per assenza nella piattaforma di vituperi contro il “terrorismo”, il pompiere al merito Bertinotti ha intagliato altre due tacche nella sua carabina ammazza-comunisti. Contro Ferrando ha anatemizzato, da coerente compagno, sul giornalone del Petit Sharon: “Le idee di Ferrando non solo sono incompatibili con la linea politica del PRC, ma anche oggettivamente irresponsabili ed eticamente ripugnanti” . Quanto ad Hamas, democraticamente vincente contro una genga di razziatori e collaborazionisti e leccastivali, ecco la rispettosa esternazione nei confronti della maggioranza assoluta dei liberi elettori palestinesi:”Ha segnato l’irrompere sulla scena in modo vincente del fondamentalismo religioso con tutto il suo triste bagaglio di terrorismo e di intolleranza civile.” Dove sia “l’etica ripugnante”, “l’intolleranza civile” e il “triste bagaglio di terrorismo”, lo lasciamo decidere a chi, anche per queste valutazioni, si senta felicemente “incompatibile” con l’intemerato ex-sindacalista vocato a distruggere, a D’Alema e Berlusconi piacendo, “il secolo sanguinario” e le sue irriducibili propaggini. E del quale l’unico aspetto equo e solidale rimasto è il “caffè zapatista” (o piuttosto yabastista)

Ciò che a questo punto va incastonato nella consapevolezza dell’universo mondo è il ruolo assunto, ormai con proterva spudoratezza, da Fausto Bertinotti. Ha superato a pieni voti il periodo di prova confindustrial-atlantico quale puntello del ricupero, dopo la fase manicomiale di gaglioffi, mafiosi, nano e ballerine, di quei rincalzi d’emergenza del capitalismo imperialista che vantano come unica migliorìa un lifting coprizanne delle labbra. Ora si è guadagnato le stellette mettendo in ceppi, quanto meno etico-politici, chi mette in discussione la naturalezza di uno Stato razzista e militarista fondato sulla parola di Jahve e chi riconosce ai popoli il diritto di sparare a occupanti venuti a spazzarli via. Pensate al vecchio Pecchioli dei felici anni ’70 e ditemi se questa non vi pare delazione. Ditemi se non è un, quanto meno oggettivo, supporto alla Gestapo di Stato. Pisanu e Bush ringraziano e preparano mandati, magari per voli CIA. Il cerchio collaborazionista si chiude. Quello della pista del Circo delle Meraviglie bertinottian-radicale nel quale, signori e signore, più gente entra e più bestie si vedono (con sempre la doverosa scusa alle bestie).

Godetevi una succinta selezione dallo spettacolo. Nel trattamento dell’Iraq su “Liberazione”, ormai solo per brevi trafiletti per non disturbare il manovratore, si riequilibrano le immagini dei torturatori anglosassoni con quel “video-shock” (?) della Resistenza in cui un guerrigliero spara sui militari occupanti, e si commenta: “una sequenza cruenta che sembra paradossalmente ricalcare quel colpisci e terrorizza teorizzato da Bush”. Nientemeno. La fucilata a un torturatore come il fosforo su 300.000 fallujani. Tutti uguali, carnefici e vittime. E Bush tira un bel sospiro. Anche per come nei succinti articoletti sul processo a Saddam Hussein, processo di fantocci degli occupanti, si sorvola leggiadramente sulle aberrazioni fisiche (torture e soprusi) e giuridiche che caratterizzano la farsa. Del lontanissimo e analogamente diffamato Milosevic, in simile tritacarne pseudogiuridico, non mette ovviamente più conto parlare. Se ne adombrerebbe il sodale inciucista, Massimo D’Alema, che non per nulla ebbe a rilanciare la Nato oltre i confini dell’impossibile. Il foglio italiano più caro alla comunità di quel Pacifici che aveva sollecitato la schedatura, tipo Ovra, dei non partecipanti al tripudio sionista del confesso Cia Giuliano Ferrara e della “Sinistra per Israele”, non si pone limiti, soprattutto per quanto attiene agli obiettivi dello Stato-guida. Cercate la pagine 4 del 14 febbraio 2006 e vi ritroverete sotto una grandinata di buoni auspici ed eulogie, guidata dal noto fiduciario Guido Caldiron, a sostegno della destabilizzazione del Libano operata dalla trimurti USA-Israele-Francia. Sotto il predicozzo sul “nuovo Libano interetnico”, si lavora al progetto colonialista di rompere la storica fratellanza tra la Siria da disintegrare e il Libano da fascistizzare sotto la ferula di falangisti e collaborazionisti sunniti e di isolare e disarmare le forze libanesi e palestinesi, garanti della resistenza antisraeliana e della sovranità nazionale. Neanche mezza sillaba circa lo scandalo della commissione ONU sull’assassinio antisiriano di Hariri, guidata da un vecchio arnese tedesco della Cia, Detmer Mehlis, e che si è trovata sbugiardata dalla dimostrazione che i suoi due testimoni antisiriani erano mascalzoni pregiudicati, corrotti dai soliti trenta denari. Quale è la distanza tra tutto questo e i prestatori d’opera dell’islamofobia guerraglobalista Magdi Allam e Oriana Fallaci? Del resto, cosa aspettarsi da un foglio che pubblica senza commenti i rigurgiti razzisti di un Jean Marie Le Pen, i terrorismi verbali dei teorici neocon e respinge l’ultima intervista da me fatta a Slobodan Milosevic (“non possiamo appiattirci sul dittatore”), poi correttamente pubblicata nientemeno che dal Corriere della Sera?

Ampi e complici spazi sono poi offerti agli interventi a chi copre a sinistra la deriva bertinottiana. Erede del povero Livio Maitan, questa opposizione trotzkista di complemento chiamata “Erre”, è il residuo anello di congiunzione tra il monarca e l’ala mozzarellara del movimento, quella rientrata dallo tsunami rivoluzionario del Forum Sociale di Caracas inviperita per essere stata messa in un angolo da qualcuno – i vincenti rivoluzionari latinoamericani - che anziché blaterare di “altro mondo possibile”, lo sta mettendo in piedi, ricuperando, oltrettutto, una prospettiva dai guru del movimento detestata: il socialismo. Accarezzando il bertinottismo, con solo qualche leggera passata contropelo, questa corrente esprime tutte le ambiguità e gli entrismi di certi trozkismi. Il generale, Salvatore Cannavò, insiste a prendere fischi per fiaschi, o nemici per amici, come quando inneggiò a Otpor, “costola serba del Movimento” che, inventata, finanziata e pagata dalla Cia e dall’agenzia dell’export democratico USA, National Endowment for Democracy (NED), era impegnata come quinta colonna nell’aggressione e nella frantumazione della Jugoslavia. Errore(?) poi pervicacemente ripetuto in tutte le altre occasioni nelle quali la NED riversava manuali d’istruzione e fiumi di dollari nelle tasche dei rivoluzionari colorati per assicurare al campo dei colonizzati paesi-chiave come Ucraina, Georgia e Libano. Nel contesto sono ancora peccatucci veniali, per quanto non meno insidiosi, i patetici halleluja sollevati attorno a un Marcos declinante, il cui zapatismo è stato gettato alle ortiche perfino da un appassionato della prim’ora come Ignacio Ramonet (di Le Monde Diplomatique), dopo aver visto questo mascherone del marketing movimentista uscire dai recessi del suo strutturale equivoco per tagliare le gambe a Lopez Obrador, già ottimo sindaco di Città del Messico e unica speranza messicana per uscire almeno un poco a sinistra dalle prossime presidenziali. Oppure la riesumazione delle pie salme Tobin Tax e Bilancio Partecipativo che, dopo Chavez, è come voler rimettere in circolo le carrozze Landau e le crinoline. Ma Berti e le/i signore/i di San Vincenzo di certo associazionismo “nonviolento” non demordono. Hanno ancora qualcosa da fare insieme: calmierare la forza e la crescente radicalità di un movimento antiguerra che gli sta sfuggendo di mano. Le occasioni migliori? Le manifestazioni nazionali, queste sì dal basso, per Palestina e Iraq e contro guerra e imperialismo.

Spiccano nelle liturgie di fiancheggiamento imperialista le compulsive reiterazioni anticubane di un Antonio Moscato, membro della stessa congrega paratrotzkista. Di questo iroso personaggio mi ricordo in particolare un confronto con me a Lecce quando la sua promozione dei banditi separatisti del Kosovo, l’UCK narcotrafficante e lanzichenecco della Nato, a patrioti dell’autodeterminazione, svaporò di fronte ad alcuni corposi dati circa il patrocinio dato a costoro da Al Qaida (succursale CIA), da mafia, tedeschi e statunitensi per una pulizia etnica che, insieme a quelle croata in Krajina e musulmana in Bosnia, è risultata l’unica vera pulizia etnica effettuata nei Balcani. La parallela e coerente bile anticubana di Moscato ha raggiunto il diapason nella coazione a ripetere, a destra e a destra, contumelie contro i dirigenti cubani che nasconderebbero scritti di Ernesto Guevara stigmatizzanti le politiche economiche dell’URSS. Naturalmente non è vero, quegli scritti nell’isola sono a disposizione di chiunque li voglia leggere, ma intanto si presta una buona mano alle implacabili campagne di diffamazione della rivoluzione che, colpa inenarrabile, ne ha innescato altre tutt’intorno (e non a tutte si potrà tagliare la testa come alla disgraziata, piccola Haiti). L’omino collerico di Lecce completa la satira di se stesso, facendo una rivelazione epocale: negli ultimi tempi della sua vita, tra un’imboscata, un attacco di asma, uno scontro a fuoco e una corsa per la pelle nella foresta boliviana, il Che pare si sia messo a leggere Lev Trotzki! Ne consegue, per Moscato, il miracolo, ineluttabile quanto indimostrato come il mistero dell’immacolata concezione: un Che trotzkista. Occhio, ragazzi, chè se leggete Jabotinsky vi metamorfizzate in sionisti. Quanti rivolgimenti nella tomba infliggono al buon Leone questi suoi millantanti seguaci!

Procedendo lungo il solco tracciato da Maitan e difeso da Moscato e Cannavò, incenerito sul rogo politico l’ottimo Ferrando (forse l’unico di cui Trotzki non vorrebbe vergognarsi), si arriva a più nebulosi fiancheggiamenti dell’Ordine Costituito percorrendo quella fossa delle Arianne che è la “spirale guerra-terrorismo” (ultimamente, ahinoi, subita ma anche rilanciata, con argomentazioni da Bar Sport, dai compagni di “Contropiano”, abbagliati sulla Via di Damasco dalla vulgata bushiana di “Al Qaida, nemico globale degli USA”). E’ di questi giorni una serie di iniziative sull’Iraq, in fase di democratizzazione secondo la valutazione degli esportatori di democrazia, nelle quali primeggiano autentici collaborazionisti dei quisling che fiancheggiano il genocidio iracheno, come tale Hassan Jumaa Awad, di una fittizia Unione generale dei lavoratori del petrolio di Basra, gentilmente spedito in Europa, dotato di prontissimi visti, da quel potere costituito che agli oppositori manda in casa rastrellatori del ministero degli interni con il mandato di sparare alla nuca e buttare al lato della strada. L’ascaro petrolifero, già bollato come tale dalla Resistenza, se ne viene per fingere di poter parlare di privatizzazioni sotto il tacco degli stivali angloamericani, della Exxon e dell’Eni, ma soprattutto per promuovere collaborazionismi delinquenziali, fintamente controversi, e per rimpolpare l’ormai esangue demonizzazione di Saddam (sotto il quale a lavoratori, donne, bambini e anziani arridevano condizioni che gli avrebbero invidiato gli svedesi) e dei partigiani iracheni. Gli figura accanto tale Gilbert Achcar, autore di uno “Scontro tra barbarie”, Edizioni Alegre, di cui già dal titolo si capisce come sia l’ennesimo soffietto alla guerra dell’elite USA contro il “terrorismo”, con il ricorso alla contrapposizione paritetica dei barbari in divisa ai barbari terroristi in stracci. Un ennesimo avallo, in sintonia su Al Qaida “nemico globale degli USA” tra Fallaci, Bertinotti, Contropiano, Fassino, a un terrorismo islamico guidato da Osama e Zarkawi. Onde per cui guerra globale e perenne. Sennò che cosa? Le donne in nero? Dispiace che questo Achcar, libanese maronita, collabori a un giornale non tutto da buttare come Le Monde Diplomatique. Spiace, ma non sorprende quando si sia appena ascoltato Ignacio Ramonet mettere sullo stesso piano, per terrorismo subito, Cuba e la madre di tutti i terrorismi, Israele…Immagino la perplessità dell’ottimo Gianni Minà, sedutogli accanto al Teatro Vittoria, mentre si stava presentando il fondamentale libro-documento su un terrorismo anticubano praticato dagli stessi che si sono inventati Al Qaida per tramortire mezza umanità e mettere un chiavistello sulle bocche, se non sui corpi, di chi non ci sta.

Tout se tien, come dicono i francesi quando rivelano l’intima coerenza di tessere apparentemente sconnesse. E così possiamo melanconicamente affiancare ai tanti prodigi “etici” di cui sopra, i contorsionismi di Bertinotti e dei suoi epigrafi a giustificazione di un programma del Centrosinistra che sta a quell’altro, per lavoro, salari, scuola, ambiente, militare, alleanze criminali, immigrazione, diritti civili, laicità, come la cortigiana sta alla battona. Ne discende in cascata logica la dura reprimenda a coloro che insistevano a sfottere dei pupazzi in tuta al trotto con torcia olimpica quali vessilliferi di una organizzazione criminale che governa il circo del doping universale e specula per miliardi su un territorio devastato e da devastare, nel segno di sponsor che distribuiscono i mezzi per le carneficine planetarie e che inzaccherano di porcherie il sangue di giovani consumatori. I due mostruosi trampolini olimpici, emuli di Cap Canaveral, a cosa serviranno una volta spenta la torcia e considerato che di praticanti di quello sport in Piemonte non ce n’è neanche uno? A lanciare missili sugli anti-Tav? Non ne parlano i chissenefrega sportivisti con cui tale Darwin Pastorin, un narcisetto facile alla lacrima, inonda “Liberazione” prendendo a pretesto i Giochi, in una “Torino felicemente multirazziale, piena di energie positive”, per infliggere al pubblico lo sciacquone dei suoi ricordi personali a bagnomaria nel Po. Quel Po nel quale ogni tanto la “Torino felicemente multirazziale” tira pistolettate a ragazzini di colore bruno in fuga da pogrom razzisti, o da qualche CTP himmleriano.

Chiudo questa carovana di robe ignobili, con una nota triste assai. Tutti sappiamo con che disperata e spesso duramente provata speranza ci attacchiamo alle lunghe pagine del “Manifesto”. Perché, compagni del Manifesto, ci dovete dare sulle dita che a quelle pagine sono appese, ci tagliate la flebo che a quegli articoli e a quelle vignette ci lega? Transeat per quella “ragazza del secolo scorso” che si ostina a inciampare sugli stereotipi dell’Iraq aggressore per conto USA dell’Iran (quando è dimostrato il contrario), o del “fondamentalismo islamico con la sua corda terrorista”, o ancora sul vecchio nebbiogeno legittimista attorno ai provatissimi e fetidi inquinamenti delle BR. In compenso altre volte ci conforta. Ma quando a una Mariuccia Ciotta, direttrice, che svillaneggia i bravissimi deviatori di tedofori Coca Cola in nome dei bimbetti torinesi privati del gaudio olimpicistico, a una Giuliana Sgrena che piange sulle vittime irachene e al tempo stesso fomenta un’islamofobia da Riccardo Cuor di Leone, facendo suoi tutti gli stereotipi del caso, si aggiungono vere e propri reati di intossicazione mediatica, ci si chiede se il “quotidiano comunista” non stia per liberazionarsi. Penso alla riproposizione degli “stupri dei cetnici”, dei pianti su una Sarajevo martire dei serbi (dove gli unici martiri sono centomila serbi uccisi o scacciati), ad avallo della prima megamenzogna motore del nuovo ciclo di guerre. Penso ai paginoni di promozione a cerchiobottisti criptosionisti, quali Amos Gitai, senza che il giornale, a volte acuto sulla questione mediorientale (grazie Stefano Chiarini!), ne smascheri l’opera subdola che compatisce i palestinesi solo se vittime in sofferenza e mai, dioceneguardi, quando combattenti che praticano il sacrosanto diritto di respingere l’occupante. Un Gitai che mai mette in discussione Israele nella sua forma attuale, mentre Hamas è naturalmente l’espressione di un intollerante integralismo terrorista. E se prima non ci si poteva mettere d’accordo con i terroristi, quando mai lo potrebbe la democratica società israeliana con i fanatici del velo e del proibizionismo?

Infine, sperando che si tratti di una svista dell’insipienza, va segnalato un autentico buco nero nell’unico quotidiano che ci rimane. Intitolato “L’avvocato del diavolo”, un editoriale di tale Enrico Piovesana vomita falsità e infamie antirusse sulla Cecenia e a mo’ di bombardamento all’uranio ci fa piovere addosso fetenzie giornalistiche come “ lo zar dagli occhi di ghiaccio”, “il peggiore crimine contro l’umanità commesso dalla seconda guerra mondiale” (Vietnam, Guatemala, Salvador, Iraq, Palestina, Haiti, Somalia, Irlanda, dove siete?), “rastrellamenti notturni, saccheggi, stupri, violenza, riscatti in denaro chiesti dagli ufficiali russi ai famigliari delle vittime, pratiche naziste, squadracce collaborazioniste, bravo il solo Boris Eltsin, stragi del mercato (ricordate quelle sofriane, false, di Sarajevo?), tutti i maschi tra 14 e 65 anni imprigionati, torturati fino alla morte con metodi medievali per estorcere false confessioni… molti di loro con il ventre aperto, svuotato degli organi venduti al mercato…” Vai a vedere perché mai la maggioranza dei ceceni ha preferito elettoralmente restare in Russia, piuttosto che in mano a quelli di beslan e ai loro padrini NED. Una prosa, quella del Piovesana, alla Fallaci e dalle stesse fonti ispirata. Chi mai si ricorda più di Abu Ghraib? Nessuna sorpresa, se si legge la ditta per la quale questo splatterista intossica: “Peace Reporter”. Non è la prima volta che il “Manifesto” ricorre, pronubi gli antislavisti viscerali che vi si annidano, a questa fonte. Velina per velina, non è più schietto far scrivere direttamente a Dick Cheney?
Stiamo andando per stracci. Un sondaggio di Fox News, la catena di Murdoch, come dire degli emiliofedi un po’ meno bietoloni, rivela: il 33% dei loro ascoltatori pensa che si siano trovate armi di distruzione di massa in Iraq; il 67% è convinto che l’opinione pubblica mondiale ha appoggiato l’invasione, il 35% crede in Al Qaida “nemico globale” e socio di Saddam. Contro il 5% degli spettatori della TV pubblica. Non è carino trovarsi, compagni, tra quel 35% di spianati dalle cannonate della più grande sparaballe mediatica del mondo.

La notizia, comunque, l’ha data il “Manifesto”. Nell’angolino della Tv. Grazie Norma Rangieri.

Mondocane fuorilinea (in solidarietà con Marco Ferrando) 16/02/06
di Fulvio Grimaldi

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