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Poste, lavoratori ancora in piazza per il lavoro e la sicurezza

L’azienda vuole licenziare 6680 portalettere. E la privatizzazione è vicina

(3 Giugno 2006)

Centinaia di lavoratori di Poste Italiane hanno manifestato ieri davanti alla sede centrale di viale Europa a Roma per chiedere il rispetto delle regole contrattuali, degli accordi sottoscritti e una politica di gestione aziendale che salvaguardi il patrimonio professionale ed occupazionale dell’azienda.

In una situazione di scarsa chiarezza, soprattutto per la mancanza del piano industriale e in vista della privatizzazione dell’azienda che dovrebbe avvenire entro il 2009, le uniche cose certe sono che Poste intende tagliare 6680 zone di recapito in tutta Italia, ovvero licenziare un pari numero di portalettere, di cui il 33% a Roma, e che l’azienda sistematicamente disattende gli accordi sottoscritti.

Accade con troppo frequenza, ormai diventata prassi, che i portalettere sforino l’orario di lavoro senza, però, il riconoscimento degli straordinari in busta paga. Una situazione che si ripete anche per gli sportellisti che fino a pochi minuti prima della scadenza del turno sono costretti a stare al loro posto e per questo lavorano gratuitamente ad orario scaduto per fare la quadratura dei conti.

L’inosservanza delle regole va dalla mancata applicazione della legge sulla sicurezza (626), al mobbing, dalle esternalizzazioni dei servizi al precariato diffuso: «Questa è un’azienda che non rispetta né il contratto né le leggi dello Stato – ha dichiarato Alberto Manzini, segretario regionale Slc-Cgil Poste -. Gli accordi sulla sportelleria di quattro anni fa e quelli su Fiumicino di due anni fa non sono mai stati rispettati».

La necessità di recuperare il rispetto delle relazioni industriali è un passaggio fondamentale per un confronto produttivo con la dirigenza locale che di fatto, spiega Manzini, «è esautorata, perché tutte le decisioni vengono prese dai vertici nazionali».

Se da un lato vi sono migliaia di postini e di sportellisti che non percepiscono un euro per gli straordinari, dall’altro vi sono paradossalmente,centinaia di lavoratori che in un anno raggiungono un monte di mille ore di lavoro straordinario retribuito ed altriche non riescono a godere delle ferie per mancanza del turn over.

I sindacati denunciano l’inosservanza degli accordi e la mancanza di un piano industriale. Nel frattempo agli sportelli si lavora oltre l’orario e senza gli straordinari pagati

L’85% di adesione allo sciopero - questa la percentuale di ieri - sancisce un malcontento profondo e diffuso presente anche sul piano nazionale: Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Puglia, Calabria e Sicilia hanno avviato le procedure di raffreddamento, preludio di uno scontro frontale tra lavoratori ed azienda. Solo un mese fa i sindacati hanno denunciato Poste per attività antisindacale.

E mentre si acuisce lo scontro, i lavoratori devono fare i conti con l’assenza di garanzie e protezione.

Anna, sportellista, ha subito due rapine negli ultimi due anni. La media nazionale è ormai di una rapina al giorno da quando Poste ha deciso di impiantare gli uffici layout, dove gli sportellisti non sono più protetti dai vetri blindati e assicurano gli incassi nella roller cash, una piccola cassaforte messa sotto la loro postazione di lavoro.

«Nonostante i dati allarmanti l’azienda continua a sostenere che non c’è alcun problema di sicurezza visto che almeno i soldi sono “al sicuro”» racconta Anna che con un sorriso amaro evoca la paura di quegli istanti in cui per ben due volte si vedeva costretta a consegnare l’incasso con la pistola puntata sul viso.

«La tutela dei lavoratori diventa un fatto imprescindibile – afferma il segretario della Camera del Lavoro Slc Cgil, Massimo Preziosi – sia sul fronte dei diritti che su quello della sicurezza.

Un fronte dal quale ripartire per una corretta e doverosa risoluzione delle vertenze aperte in poste italiane».

Per il circolo poste di Rifondazione Comunista «la fase liberista che ha visto il fallimento delle privatizzazioni deve essere superata attraverso il rilancio di quella grande area pubblica di intervento che per altro l’Unione ha fatto propria, e all’interno della quale Poste ha un ruolo determinante in quanto maggiore azienda pubblica italiana, con 150mila lavoratori».

«E se questa azienda deve morire – urla dal megafono un lavoratore davanti alla sede centrale di viale Europa – lo dovrà fare nel rispetto delle regole».

Valeria Rey Liberazione 2 giugno 2006

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