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Perchè l'accordo dei chimici va bocciato

(10 Giugno 2006)

E' bene prestare molta attenzione al contenuto del recente accordo sul rinnovo del contratto per i lavoratori del settore chimico-farmaceutico.

A prima vista lo si potrebbe liquidare come l'ennesimo contratto mediocre, figlio di una pratica concertativa ormai alla frutta e di una linea sindacale senza testa e strategia che da anni (incapace di una seria verifica critica) si arrangia ormai nell'attesa della prossima nuova discussione sulla revisione del modello contrattuale. Cosa questa che ormai tutti (sopratutto Cisl e Confindustria, ma non solo) caricano di una aspettativa messianica e salvifica, propedeutica a rilanciare la contrattazione ed a liberare la logica concertativa, ed i soggetti che la difendono, dal pantano attuale.

Che il contratto dei chimici sia un elemento di questo mediocre scenario è fuor di dubbio, ma è bene sottolineare alcuni aspetti importanti che sono utili a capire cosa ci si debba aspettare fra breve.



1.

intanto questo accordo liquida definitivamente tutte le allegorie messe in campo in occasione del congresso da una parte della maggioranza della Cgil e dalla sua corrente Pattiana che presentavano una Cgil ormai in fase di emancipazione dalla precedente subordinazione concertativa e forte propugnatrice di un rinnovato impegno per dare ruolo e sostanza alla politica contrattuale.

In particolare, sul risultato salariale l'accordo dei chimici si ripropone invece tutto interno ed organico alla logica concertativa, e si è dimostrata per quella che è (una autentica bufala) la posizione vantata dalla Filcem (ed ampiamente utilizzata da Lavoro e Società Filcem per giustificare il suo passaggio alla maggioranza) di un rigetto dei vincoli concertativi in forza di quella proposta liberatrice che doveva essere il riferimento all' "inflazione concordata" in luogo dell' "inflazione programmata".

Che nulla sia in realtà cambiato è sotto gli occhi di tutti. Il contratto porta a casa un misero 87 euro medio sull'area C, per giunta raggiunto a regime a soli 2 mesi dalla prossima scadenza negoziale il che produce un risultato che ha come montante un valore reale ancora più basso.

Al di la di tutte le fanfare sindacali (Lavoro e Società Filcem in testa) che annunciavano quindi chissà quale svolta od innovazione contrattuale, alla fine tutto si è ripiegato su se stesso a celebrazione di quella responsabilità sindacale che Federchimica e Confindustria non hanno mancato di apprezzare pubblicamente.



2.

in secondo luogo, ed è questa la questione più importante, questo accordo segna un significativo ed ulteriore sfondamento dell'idelogia di impresa, sopratutto in materia di deroghe contrattuali, orario e mercato del lavoro, raffreddamento del conflitto sindacale.

Quello che va subito notato è come, ancor più che in passato, il sindacato si fa esplicitamente carico del punto di vista aziendale subordinando a questo, con maggiore esplicita adesione, il suo ruolo negoziale.

Su mercato del lavoro ed occupazione di fatto si allarga la possibilità di accesso delle imprese al lavoro somministrato (dal 12 al 18%) e di quello a termine (da ora rinnovabile fino a 48 mesi). Sull'orario si assorbe una parte della riduzione d'orario nella formazione e si ritorna a monetizzare lo straordinario affossando di fatto l'esperienza del "conto ore" che metteva a recupero le ore eventualmente fatte in eccesso.

Ancora più pesante e carica di conseguenze, sia pratiche che concettuali, è infine la disponibilità prevista nell'accordo a negoziare l'introduzione di deroghe contrattuali a livello aziendale.

Certo il sindacato chimico si premura di dimostrare che ciò può essere fatto solo a fronte di soluzioni condivise da tutti i soggetti interessati, ma il principio è stato introdotto, e si sà, tanto basta per prevederne di fatto l'applicazione e la sua massima estensione nel tempo. Un principio che d'altronde non potrà non influenzare la stessa contrattazione aziendale che rischia ora di essere trasformata unicamente a sede di valutazione su come adeguare (ovviamente al ribasso) le norme contrattuali alle specificità aziendali. Senza contare che la possibilità di ricorrere a delle deroghe, concessa dal sindacato chimico a Federchimica, sarà un grimandello ideologico in mano a Confindustria per spostare gran parte della pressione negoziale a favore della contrattazione aziendale, riducendo il contratto nazionale a pura e semplice normativa di riferimento.

Infine c'è poi la questione del raffreddamento del conflitto sindacale. Una questione sollevata dalle imprese che di fatto sancisce una riduzione del diritto di sciopero imponendo l'idea che obiettivo delle parti deve essere in via prioritaria quello di evitare la fermata degli impianti e non la soluzione dei problemi posti in via negoziale. Una norma, che allunga e rallenta la possibilità per le Rsu di ricorrere allo strumento dello sciopero che di fatto punta a rompere il legame tra la nascita del problema ed il diritto di lottare da parte dei lavoratori e mira ad introdurre quella concezione del negoziato più simile al quadro della conciliazione ed arbitrato che non a quello della pratica vertenziale e contrattuale.



3.

infine una valutazione va fatta sulle modalità con cui il sindacato chimico ha gestito la trattativa. Si è andati a chiedere ai lavoratori un mandato a concludere sulla base di un documento abbondantemente stravolto poi dall'accordo finale. La stessa consultazione di mandato è stata una finta consultazione, per lo meno è stata sicuramente parziale. Ha coinvolto pochissimi luoghi di lavoro, non esiste alcuna certificazione certa dei risultati delle assemblee fatte e la discussione negli attivi regionali ha toccato in alcuni casi la farsa (come è successo in Lombardia).

Il sindacato chimico si è dimostrato (e non è una novità nella sua storia) più attento a non mettere in fibrillazione i delicati equilibri tra le sue componenti interne ed a costruire l'accordo con le controparti che non a rappresentare la sua base.

Ora, a seguire la discussione nelle burocrazie sindacali, sull'accordo appena firmato si parla a denti stretti di una consultazione di ritorno, ma forte è la voglia di non farla e comunque di non farla in modo che il risultato sia certificabile.



Cosa dimostra quindi questo accordo dei chimici?

Intanto che la concertazione non è finita, anzi si ripropone a piene mani ed in versioni più peggiori che in passato.

Inoltre che ormai il sindacato chimico è il massimo rappresentate di quella nuova linea sindacale che punta a risollevare la concertazione dal pantano degli ultimi anni dandole una prospettiva più esplicitamente neocorporativa, nella quale l'asse attorno a cui far ruotare la contrattazione sono i problemi dell'impresa in generale ed in particolare (vedi deroghe) e nella quale il punto di vista dei lavoratori si riduce a fattore da compatibilizzare a questo scenario.

Rimane da aggiungere infine la rottura ormai chiara ed esplicita tra l'interesse delle burocrazie sindacali e dei lavoratori tanto che a questi, in maniera ancora più esplicita che in passato, viene di fatto negata la possibilità di contare nelle scelte del loro sindacato.



L'accordo dei chimici presenta quindi un quadro critico e problematico ben più vasto delle singole determinazioni contrattuali su cui è costruito. E' il modello contrattuale in generale, lo stesso modello sindacale e la sua prospettiva neocorporativa che entrano in gioco .

Ma c'è solo un modo per contrastare questa deriva.Chiedere che sull'accordo venga ora fatta una vera e certificata consultazione tra tutti i lavoratori (rivendicando l'utilizzo del referendum) e proporre ai lavoratori di bocciare l'accordo.

Coordinamento Rsu 12 maggio 2006

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