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Addio, compagno

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    Allargare il dibattito: spazi e percorsi a sinistra

    (28 Giugno 2006)

    Avrei voluto evitare l'allocuzione classica “ Ringrazio la compagna Patrizia Turchi della cortese interlocuzione e provo a rispondere nel merito”, ma non trovo davvero niente di meglio come incipit, aggiungendo che mi trovo molto d'accordo su di un insieme di spunti di analisi delineati al centro del suo intervento, mentre emergono punti di dissenso allorché affronta l'analisi della prospettiva più direttamente politica, o ancor meglio, della strutturazione politica di una”sinistra d'alternativa”, coerente tra teoria e prassi, che mi pare davvero all'ordine del giorno nella situazione italiana.

    Esauriti i convenevoli che, insomma, sembrano d'obbligo anche tra vecchi “lupi di mare” della politica, provo ad entrare nel merito.

    Il primo spunto di riflessione che mi sento di proporre riguarda la valutazione circa il profondo mutamento che, negli ultimi venti anni, si è prodotto nella qualità dell'azione politica .

    Mi permetto un giudizio “tranchant”: l'assunzione dell'idea di una riduzione nel rapporto tra politica e società, per “tagliare via” in senso decisionista l'eccesso di domanda proveniente dalla “affluent society” (Luhmann) ha causato, tanto per usare una terminologia assolutamente “classica”, uno spostamento a destra nel complesso delle società occidentali, basato sul governo autoritario della modernizzazione capitalistica partita fin dagli anni'80 del secolo scorso (Reagan, Tachter, Craxi).

    In questo senso si è realizzato uno spostamento nei rapporti di forza, fino al punto da stabilire forme di dominio di natura pre – industriale, con una grande influenza sui processi in atto sul piano internazionale, in particolare nel momento del superamento del sistema di Jalta e con l'assunzione del metodo bellico, inteso quale strumento di “esportazione della democrazia”.

    I fenomeni emergenti sono presto elencati e stanno tutti dentro all'analisi già svolta da Patrizia Turchi: azzeramento delle soggettività, assenza di radice del pensiero politico, perdita di significato per ogni idea di cambiamento, che non si trova più supportata da imperativi di ordine morale e di principio.

    Nel concreto del “caso italiano” si va sviluppando da oltre vent'anni, nell'ambito di un vistoso adeguamento da parte delle forze di sinistra, un fenomeno di crisi della democrazia e delle forme di socialità e di aggregazione umana: una crisi che ha ormai spinto ai margini ogni ipotesi di conflitto e di alternativa e riducendo a due i protagonisti di questa fase storica: il potere ed il denaro.

    Allora, prima di addentrarci nei meandri delle molteplicità nelle esigenze identitarie, cerchiamo di definire al meglio quali possono essere, in comune tra quanti soffrono questo tipo di situazione, gli strumenti più adatti per contrastare lo stato di cose appena descritto.

    Prima di tutto abbiamo bisogno, insieme, la capacità di esprimere un rifiuto ed una demistificazione del complesso sistema di dominio che si è instaurato sulle macerie della politica e sulla frantumazione della società.

    Rifiutare e demistificare qualsiasi meccanismo di omologazione all'esistente deve significare il rilancio, al livello più alto, di una idea universalistica dei diritti d'eguaglianza, realizzabile soltanto attraverso il concorso di soggetti non omologabili tra loro.

    Ricostruire, ecco un verbo importante del nostro possibile lessico comune: ricostruire, allora, una nuova etica che definirei della “eguaglianza nella diversità”, da ricercare proprio attraverso una nuova dimensione politica del soggetto.

    La tematica dell'alienazione, nel senso marxiano del termine, rimane quella decisiva per fornire spessore teorico ad una possibile ripresa di soggettività antagonista, in una strategia di “eguaglianza nella diversità : quindi, nel corpo teorico classico della sinistra europea di tradizione marxiana, serve una robusta iniezione di teoria pluralista (Dahl).

    Ed è a questo punto che si pone anche l'esigenza di ridefinire il rapporto tra i soggetti, intrecciandone le contraddizioni che immediatamente esprimono, all'interno di un progetto politico: si tratta, tanto per capirci, di fare ciò che non è stato fatto, a sinistra, da oltre venti anni, allorché la risposta allo spostamento del quadro di contraddizioni sociali è avvenuta, semplicisticamente, in quella chiave meramente politicista di cui sono stati portatori, in Italia, tutti i partiti e movimenti eredi del PCI: una chiave meramente politicista ben descritta da Patrizia Turchi e la cui valutazione costituisce anche la base di questo mio modesto intervento.

    Allora la domanda che mi sorge spontanea è proprio questa: se l'analisi che fin qui abbiamo cercato di svolgere è esatta (o, almeno, plausibile) siamo certi che una immediata definizione identitaria non ci faccia correre il rischio di cadere proprio nella deriva politicista?

    Se lo schema di questa ricerca identitaria si limita ad una sottolineatura tradizionalista di un settore pur attivo nella storia del movimento operaio del secolo scorso, che finisce con l'interpretare la “legge dello sviluppo diseguale e combinato” quale esaustiva dell'emergere di contraddizioni sociali potenzialmente rivoluzionarie, cui va semplicemente offerto uno strumento organizzativo che interpreta la realtà nell'antica chiave del “socialismo o barbarie” ed, in questo senso, si organizza attraverso il consueto schema verticistico del partito socialdemocratico tedesco, a struttura piramidale, possibilmente annidato in una dimensione appena sufficiente nelle istituzioni (secondo la legge ferrea dell'oligarchia di Michels) , allora siamo -a mio modesto avviso – ancora lontani dal comprendere la complessità dell'intreccio esistente, oggi come oggi, tra l'agire sociale e l'agire politico.

    La mia proposta è quella di dedicare uno sforzo comune, pur partendo da differenti punti di vista, all'interno di una struttura non gerarchizzata (un Patto Federativo? Una Costituente?) che si metta al lavoro, essenzialmente sul piano teorico, attorno a quella che ritengo essere, oggi come come oggi, la grande questione:

    QUELLA DELLA RIELABORAZIONE DEL CONCETTO DI TRANSIZIONE. NON POSSIAMO RIDURCI ALLA OVVIETA' STORICISTA PER CUI LA RIVOLUZIONE E' UN PROCESSO, RINUNCIANDO COSI' A DETERMINARE SCIENTIFICAMENTE LE SCANSIONI A LIVELLO MONDIALE, SIA A PRECISARE, VIA, VIA, I MECCANISMI E LE STRUTTURE CHE DOVREBBERO GARANTIRNE IL DECORSO, SIA AD INDIVIDUARE LE OPPOSTE TENDENZE ALLA BARBARIE.

    Senza una rielaborazione comune del concetto di transizione, qualsiasi formazione politica fondata esclusivamente su di una concezione di tipo identitario e si di una strutturazione gerarchica finirà con il trascinarsi nella stessa spirale di compatibilità che sta travolgendo Rifondazione Comunista: con unico antidoto l'isolamento, non tanto dal quadro politico, ma dal cuore dell'esercizio delle contraddizioni.

    Rinunciare all'utilizzo di strumenti organizzativi di confronto plurale per riaprire il discorso sul concetto di transizione (compreso quello della partecipazione all'agone parlamentare) significherebbe fare il miglior regalo all'avversario.

    Negli ultimi decenni si sono venuti sviluppando ed accentuando meccanismi perversi che hanno portato sempre più il potere politico a rappresentare la sede di uno scambio, di una contrattazione, di un specifico mercato tra governanti e governati.

    Si sono così determinate le condizioni, come abbiamo già avuto modo di osservare, per una totale autonomizzazione del ceto politico, e per una segmentazione della società, i cui reciproci rapporti tendono sempre più a realizzarsi sulla base di un costante ricatto di tipo corporativo.

    Un struttura politica fondata sull'individualismo, sulla delega, sulla esaltazione della governabilità a discapito della rappresentanza, costringe chiunque intenda entrare a farne parte, anche se apparentemente strutturato ideologicamente in una dimensione ben diversa, al rischio di una rapida omologazione.

    Siamo, dunque, ad una crisi verticale della democrazia conosciuta, quella rappresentativa.

    Da queste riflessioni nascono interrogativi nuovi e difficili.

    Ad esempio il più scottante: quale forma politica, quale tipo di “forze” e di istituzioni possono gestire una nuova, più complessa e conflittuale fase di coesistenza ed intreccio tra i diversi principi ed ordinamenti sociali?

    Per rispondere è necessario affrontare con maggiore coraggio i problemi di organizzazione ed i principi che li regolano.

    Si tratta di cercare una nuova concezione della “sintesi politica”.

    Esiste un filone che percorre tutta la storia del marxismo italiano che ha storicamente rappresentato un tentativo di rispondere a questo tipo di problematica.

    Si tratta della peculiarità dell'analisi gramsciana (già analizzata con grande capacitò interpretativa da Laurana Lajolo nel suo “Gramsci un uomo sconfitto”) che individuava, fin dal 1922 ma in forma assai più compiuta nel 1926 dentro le “Tesi di Lione”, l'estrema articolazione esistente nella composizione di classe ed il ruolo determinante della sovrastruttura.

    Da quell'analisi si possono trarre indicazioni di grande importanza e di estrema attualità:

    La necessità di formare, attraverso una lento ed articolato lavoro di lotta sociale e politica, un blocco storico anticapitalistico;

    L'utilizzo della mediazione possibile e praticabile da parte di forze politiche profondamente ramificate all'interno del senso comune di massa, smantellando un apparato egemonico costruito dall'avversario;

    L'esigenza di fare tutto questo attraverso un lungo ed articolato processo di lotta all'interno della società capitalistica, con parole d'ordine intermedie e positive e con una forte attivizzazione e partecipazione di massa.

    Sono perfettamente conscio di toccare un nervo scoperto: la formazione, adesso, di un soggetto politico fortemente identitario ( formazione che avverrebbe, tra l'altro, per via di scissione) rischia di risultare utile soltanto ad un nucleo limitato di militanti, bloccando una potenzialità di confronto che pure esiste nella direzione che ho cercato faticosamente di indicare anche in questa occasione.

    Fare un partito oggi non ponendosi il tema del blocco storico di domani, ma soltanto per via di “rotture” successive (ondate?) sulla base di una espressione pura e semplice di “criticità”,

    allineata,alla fine, ai meccanismi del sistema vigente.

    Nasce da queste considerazioni la mia proposta di raccogliere l'insieme della “Sinistra a sinistra del centrosinistra”, indipendentemente dalle matrici ideologiche di provenienza, in una serie di confronti di merito autoconvocati e posti al riparo della “gerarchizzazione preventiva”.

    Ovviamente tutto non è riducibile a problemi di forma e di metodo, pur importanti.

    Il problema centrale che deve essere sollevato, all'interno di questi appuntamenti se mai riusciremo ad organizzarne qualcuno (ed in questo senso mi permetto di rivolgere un appello a quanti fossero interessati, di segnalare questa loro eventuale disponibilità) oltre a quello”costituente” , deve essere quello dell'elaborazione di una proposta alternativa che risulti posta con chiarezza oltre le coordinate del sistema in senso anti – economicista, anti – autoritario, egualitarista.

    Una proposta che possa essere vissuta, al di fuori delle ridotte dimensioni dei soggetti che riterranno utile impegnarsi in questa impresa, quale base politica all'altezza delle contraddizioni che stiamo vivendo.

    Savona, li 25 Giugno 2006

    Franco Astengo

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