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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Afghanistan: il 4 agosto di Rifondazione Comunista

(2 Luglio 2006)

Il governo Prodi ha deciso il rifinanziamento della spedizione in Afghanistan, col pieno accordo di Rifondazione Comunista. Per questo partito, non si tratta di una delle tante manifestazioni di opportunismo, che costellano il movimento operaio, e alle quali purtroppo non sempre reagiamo con la necessaria energia, ma di qualcosa di ben più grave, che incide irreversibilmente sulla natura del partito.

Si tratta del finanziamento di un’operazione bellica. E’ una decisione fatale che, in piccolo, riproduce la scelta, fatta il 4 agosto dalla Socialdemocrazia tedesca, seguita da buona parte della IIª Internazionale, di votare i crediti di guerra. Il giudizio di Lenin fu che questi partiti erano passati, attraverso l’opportunismo, dalla difesa del proletariato a posizioni nazional –liberali.

Si vede ora che la teoria della non violenza, sparsa a piene mani da Bertinotti, era soltanto inchiostro di seppia per nascondere e contrabbandare un’adesione di fondo a posizioni incompatibili con ogni tradizione antimilitarista di classe.

Giordano parla di “exit strategy”, ma sa realmente cos’è la guerra? Quante volte generali, che di cose militari s’intendevano realmente, hanno previsto guerre lampo, e si sono trovati di fronte alla tragedia delle trincee, della guerriglia, della resistenza imprevista? Le guerre sono ingovernabili, non si sa mai quando finiscono, neppure le vittorie costituiscono una garanzia, Francia e Inghilterra vittoriose hanno perduto i loro imperi. Giordano pensa di fissare in un ben ordinato quadretto le scadenze del futuro ritiro, con i criteri con cui si programmano le proiezioni del circolo del cinema.

Russo Spena e Migliore ci raccontano che “il risultato raggiunto rappresenta una sintesi più avanzata, un primo passo che deve portare al disimpegno delle operazioni militari anche in Afghanistan”. (1) Ma la permanenza delle truppe italiane in Afghanistan non può rimanere pacifica in una situazione di guerra aperta. Non ci si può sedere sulle mura di una città assediata gridando “pace, pace”, non si può lasciare una mano in un ingranaggio senza che tutto il braccio ne venga stritolato.

“Il rifinanziamento della missione – continuano i due – sarà accompagnato, per la prima volta, da una mozione di indirizzo che dovrà dare per intero e senza ambiguità il senso di una svolta nella politica estera del nostro paese”. La Rice non ci dorme la notte, dopo l’annuncio di questo documento e tutti i peggiori militaristi americani e inglesi sono in allarme! Una dichiarazione d’intenti, un pezzo di carta dotato, non si sa come, di poteri magici, dovrebbe costituire una garanzia? Per far fronte a una violenza armata, niente è più assurdo di un atto notarile. In guerra, o si combatte o ci si ritira, non per paura, ma perché si odiano le vere motivazioni di questa guerra.

Eppure, sempre nello stesso articolo si sostiene che “un osservatorio permanente sulla situazione afgana costituisce il prologo necessario all’avvio di una “exit strategy”, da costruirsi con pazienza e senza forzature inevitabilmente controproducenti. E dovrà essere compito dei nostri gruppi parlamentari rendere quanto più efficace e incisivo possibile il ruolo di questo osservatorio”.

E’ indubbio che questi esponenti di Rifondazione credono di poter applicare le loro esperienze nel campo dell’ambientalismo (osservatori ) o della lotta alla droga (riduzione del danno) al terribile campo della guerra. Non si può affrontare con i soliti criteri gradualisti, come se si trattasse di normale amministrazione. La guerra ti esplode tra le mani! E’ l’esperimento dell’apprendista stregone che si ripete.

Queste posizioni non sono smentite soltanto dai marxisti, ma anche da pacifisti che fino a ieri i Russo Spena, i Bertinotti e i Giordano consideravano loro compagni di lotta. Sentiamo Gino Strada: “Tra le anime belle della politica nostrana, c’è chi s’infastidisce se gli si fa notare che stanno per decidere di continuare “la guerra” in Afghanistan. Preferiscono, per il pubblico, chiamarla in altri modi, mascherarla. Mimetizzarla con gli “impegni internazionali” e “le alleanze”, perché i cittadini non capiscano che di guerra e non altro si tratta. Qui qualcuno non dice la verità. Che siano proprio i nostri politici? “

E più in là “Enduring Freedom, missione di guerra. La risposta è nel sito del Ministero della Difesa (http://www.difesa.it/). Nel capitolo sulle “operazioni militari in atto” (al 25 giugno 2006) si spiega che l’Italia partecipa alla Operazione Enduring Freedom. Il Comando dell'operazione è affidato al Comando Centrale americano (USCENTCOM) situato a Tampa (Florida, USA)... L'operazione militare è parte della guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il terrorismo, denominata Global War Against Terrorism (GWAT)”.(2) Sempre su Peace reporter vi è un’intervista al generale Mini, che dice: “Le zone prescelte per l’ampliamento di Isaf, ovvero il sud dell’Afghanistan, non sono quelle pacificate da ‘Enduring Freedom’, ma anzi proprio quelle in cui la guerra contro i talebani continua con vere e proprie offensive militari, seppur di carattere asimmetrico. Chi assume la responsabilità della sicurezza in queste aree si deve predisporre per fare due cose: la guerra contro i talebani, al posto o al fianco degli Usa, o la repressione di una rivolta armata interna, al fianco o al posto del governo afgano – un governo che molti degli stessi signori della guerra che ne fanno parte considerano ininfluente, che molti ribelli considerano illegittimo e che i talebani considerano d’usurpazione”.

“Il fatto che i contingenti Isaf dovranno farsi carico della guerra ai talebani, per conto di Washington o di Kabul, impone senza dubbio la necessità di un esame serio della situazione e lo scioglimento dei nodi giuridici. .... Se si decide per l’opzione militare, il vero impegno istituzionale diventa quello di calibrare lo strumento militare da costituire e le regole d’ingaggio in relazione alla reale situazione e a un nuovo mandato. La cosa peggiore che possa succedere è che si assumano nuovi impegni e nuovi rischi mantenendo i vecchi criteri d’impiego e le ipocrisie di sempre: fingendo che la situazione sia “normale”, ignorando o negando l’evidenza della sovrapposizione di Isaf a ‘Enduring Freedom’ ”.(3)

Il fatto è che restare in Afghanistan vuol dire opzione militare, al punto in cui si è giunti. Chi può garantire che la guarnigione italiana non verrà attaccata, e che, nei combattimenti non ci saranno morti e feriti da entrambe le parti? Oppure Russo Spena spiegherà ai talebani, o ad altre forze che vogliono cacciare gli americani e le truppe al seguito, che esiste una “exit strategy”, un osservatorio permanente, e una mozione di indirizzo che risolveranno brillantemente la questione?

Su queste questioni si sono impuntati 8 senatori, poi ridotti a sette (speriamo che non si ripeta la storia dei 10 piccoli indiani). Non sono dei terribili bolscevichi, che vogliono trasformare la guerra imperialista in rivoluzione proletaria. Si sono candidati nelle liste del centrosinistra, il che non è il massimo del leninismo o del trotskismo. Hanno, però, promesso agli elettori di operare contro la guerra, e portano avanti quella che era una volta la politica di Rifondazione. Il PCR non è mai stato un vero partito classista, ma aveva compiuto un’opera di condanna e di demistificazione riguardo alle avventure di Jugoslavia, Afghanistan e Iraq. Contro questi senatori ribelli si è attivata una squadra di pompieri, col motto “Troncare... sopire...”. Citiamo solo il duo Mastella – Sansonetti : pur con sfumature diverse, chiedono “E allora? Facciamo cadere il governo?” ripetendo la frase del grande Bertinotti, prima che fosse assurto ai presidenziali fastigi.

Figuriamoci! Con 102 ministri, viceministri, sottosegretari, tutti attaccati a poltrone o poltroncine e alle loro cariche (le cariche dei 102), dopo avere fatto un chiasso infernale per i voti dell’UDC, tutti rimarrebbero tranquillamente ai loro posti.

Non sappiamo se i sette senatori riusciranno a sopportare senza cedere la pressione degli apparati, se basterà loro la certezza di essere stati i soli a rispettare il mandato antimilitarista ricevuto dagli elettori. Dovranno, se saranno coerenti, rendersi conto che un governo che continua la guerra non può essere che un avversario dei lavoratori, e va combattuto con lo stesso impegno profuso contro Berlusconi.

Lo smascheramento della sedicente spedizione di pace continua anche su altri fronti. Marina Forti, a nome delle Ong italiane scrive: “Cosa diremo al governo? Che non vogliamo essere usate come copertura.... Alcune Ong italiane lavorano in Afghanistan. Fanno un lavoro umanitario e civile, con partners locali di cui si fidano e che sono in grado di gestire i progetti. Non hanno bisogno della “protezione fisica” dei militari. Al contrario: la copertura dei militari ci mette in pericolo”.(4)

I cittadini statunitensi del gruppo romano chiedono che il governo italiano

“ripensi alcuni “aiuti” che dà al nostro paese. Riteniamo questi “aiuti” contro gli interessi sia del popolo italiano sia di quello statunitense”.

Dopo aver parlato delle bombe nucleari presenti nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi Torre (Brescia), in flagrante violazione di ogni trattato, delle 20 basi americane in Italia, del rapimento e relativa tortura di Abu Omar, continuano: “Il più noto “aiuto” è stato quello di mandare truppe in Afghanistan o in Iraq. In entrambi i paesi, innumerevoli civili innocenti sono morti, e ancora di più sono stati i feriti, i due paesi sono stati distrutti, e centinaia di miliardi di dollari sono stati spesi senza migliorare la vita della gente... In Italia, si parla di missioni di pace in entrambi i paesi, che con la pace non hanno niente a che fare. E’ ora di ritirare le truppe. Chiediamo la governo italiano di portare i suoi soldati a casa”.(5)

Il popolo statunitense non è composto di mostri imperialisti assetati di sangue. L’enorme menzogna, costruita intorno all’11 settembre, con cui furono giustificate le guerre, comincia a scricchiolare, e molti americani capiscono di essere stati ingannati. L’opera di disinformazione del governo, che finora è riuscito a fabbricare una falsa verità, comincia ad entrare in crisi. Giulietto Chiesa scrive: “Oggi l’FBI, per bocca di un suo portavoce ufficiale, Rex Tomb, afferma che “non ci sono prove sostanziali” che individuino la responsabilità di Osama bin Laden negli attentati dell’11 settembre. Per queste ragioni il “most wanted criminale mondiale non viene incolpato dell’attentato sul sito ufficiale del Federal Bureau of Investigation”.(6)

Una guerra, quella afgana, progettata dal governo americano assai prima dell’11 settembre, che ha avuto come scopo il controllo di una zona di enorme importanza strategica, una spina nel fianco di Cina, Russia e Iran, oltre che dell’India.

Ormai la parola d’ordine del ritiro dall’Afghanistan ha assunto una dimensione mondiale. Un gruppo del Quebec, per il ritiro delle truppe, assodato che la guerra ha solo sostituito un regime repressivo come quello dei talebani ad un altro altrettanto repressivo, afferma: “Il nuovo potere che si cerca di consolidare è una amalgama di afgano-statunitensi vicini al Dipartimento di Stato, dell’industria petrolifera e dei signori della guerra regionali, dello stesso stampo dei talebani quanto a rispetto dei diritti della libertà, dei diritti delle donne ecc. I bei discorsi che si basano, da una parte, sull’aiuto alla ricostruzione della società afgana o sul sostegno alla sua marcia verso la democrazia, e, dall’altra parte, sulla “guerra contro il terrorismo” e per assicurare la nostra sicurezza, non sono che delle trappole”.

Chiedono, perciò, il ritiro immediato delle truppe canadesi.

In questo periodo, in cui la richiesta del ritiro diventa una parola d’ordine mondiale, Rifondazione Comunista fa una conversione ad u, si trasforma in un satellite del governo Prodi, e inventa sofismi per giustificare la permanenza in Afghanistan.

Ci potrebbero fare un’obiezione: voi vi dichiarate seguaci di Marx e di Lenin, e ora fate l’apologia del pacifismo? Noi non siamo pacifisti perché sappiamo che, finché esisterà il capitalismo, le tensioni verso la guerra saranno inevitabili. Da Lenin abbiamo imparato che c’è un pacifismo retorico, pronto a trasformarsi in adesione alla guerra con vari pretesti (la patria, la difesa della democrazia, ecc.) e c’è una genuina ricerca della pace da parte delle masse lavoratrici, e che queste rappresentano le migliori alleate dei comunisti nella lotta contro il militarismo.

Qualcuno scusa le posizioni di Rifondazione col fatto che è un partito piccolo, e non è certo in grado di ottenere grossi risultati, anche se fa il possibile. Per confutare questa posizione, citeremo, dopo tanti pacifisti, Lenin, da uno scritto poco posteriore al tradimento della socialdemocrazia:

“Ammessa pure la completa “incapacità” e impotenza dei socialisti europei, la condotta dei loro capi è un tradimento e una bassezza: gli operai sono andati al macello, ma i capi? Votano a favore, entrano nel ministero!!! Anche in caso di completa impotenza essi avrebbero dovuto votare contro, non entrare nel ministero, non pronunciare ignominie scioviniste, non solidarizzare con la propria “nazione”, non difendere la “propria” borghesia, ma al contrario avrebbero dovuto denunciarne le nefandezze”.

Rifondazione, “mutato nomine, de te fabula narratur” (con un altro nome la favola parla di te).

Anche se la situazione di allora è diversa da quella di oggi, parole simili sono meritate da un partito che, più che della lotta alla guerra, si preoccupa di non far cadere un governo borghese.

note:

1) Russo Spena Migliore: “Il decreto, un primo passo per un cambiamento strategico”, Liberazione.
2) Afghanistan – Peace Reporter, 26.6.2006 “ Il gioco delle tre carte. Gino Strada spiega cosa ci stiamo a fare in Afghanistan e perché dobbiamo andarcene”.
3) Peace reporter, Afghanistan - 20.6.2006, “ Missione in Afghanistan: basta ipocrisie Il generale Mini: "Non si può ignorare la sovrapposizione tra Isaf e Enduring Freedom"
4) Martina Forti, “Non usateci come copertura. Le ong italiane e l’Afghanistan”. Il manifesto, 29 giugno 2006.
5) ”Grazie, no grazie” Lettera aperta al governo italiano, Statunitensi per la pace e la giustizia, Roma (U.S. Citizens for Peace& Justice –Rome).
6) Giulietto Chiesa , “Perché siamo in guerra in Afghanistan?” 29/06/2006.
7) Pour le retrait immédiat des troupes canadiennes d’Afghanistan, Collectif échec à la guerre, 10 Avril 2006. Pubblicato in « La gauche, journal pour l’indépendence, le féminisme et le socialisme ».
8) Lenin, « La guerra europea e il socialismo internazionale », scritto in agosto-settembre 1914, e pubblicato per la prima volta sulla “Pravda” il 1° agosto 1929.


1 luglio 2006

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