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(31 Agosto 2013) Enzo Apicella

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Israele / NATO: Il tandem della guerra infinita

Ovvero come il peacekeeping si trasforma sul campo di battaglia. Passando per Roma

(27 Luglio 2006)

Mercoledì 26 luglio ’06 la conferenza di Roma sul Libano sancirà il ritorno “alla grande” dell’Italia nel gotha della diplomazia internazionale.
Riuniti da D’Alema e Prodi alcuni tra i protagonisti del massacro in Libano e Palestina: i paesi che aggrediscono ed i loro vassalli mediorientali.
Non la Siria, tanto meno l’Iran. Di Hezbollah nemmeno a parlarne, ’che il problema sono loro.
Peccato che il “Partito di Dio” alle ultime elezioni si sia attestato ad un 27,5% e sia presente nel governo libanese con 2 ministri. La democrazia in quei luoghi evidentemente ancora non è funzionale agli obiettivi del Grande Medio Oriente.
Sarà invece presente Condoleeza Rice, segretaria di Stato USA, la quale, mentre passa armi micidiali agli alleati israeliani via camp Darby (grazie anche all’accordo militare Italia Israele), dà tempo alla macchina bellica sionista di compiere il lavoro sporco, cioè l’allontanamento della resistenza libanese dalla sua terra, il Sud del Libano.

Di cosa si discuterà allora a Roma?

Evidentemente del che fare dopo il massacro in atto nel martoriato paese dei cedri.
Si parla di una “forza d’interposizione” tra Israele e Libano in grado di mantenere lontani di almeno 20 km i resistenti libanesi dal confine con Israele.
20 km era la fascia di sicurezza che dopo l’invasione del 1982, per oltre 20 anni, gli israeliani hanno sottratto al Libano.
Solo la forza della resistenza libanese e palestinese riuscì a liberare l’area, attraverso un impressionante stillicidio di operazioni militari troppo costose anche per il potente esercito con la stella di David.
Ora la nuova “coalizione per la pace in Medio Oriente” in costruzione ci riprova, avanzando l’ipotesi di una forza ben più consistente ed armata della vecchia UNIFIL, impotente schieramento di caschi blu ONU, bersagliato spesso dai cannoni e dagli aerei sionisti. Non a caso, anche in questi giorni di aggressione contro il Libano le basi ONU sono un bersaglio privilegiato di Israele.
L’entourage del premier Olmert lancia segnali di disponibilità sul progetto della forza di interposizione, “magari - si legge dalle agenzie - composta dai soldati della Nato piuttosto che dai caschi blu, per tenere lontano i miliziani di Hezbollah dalla frontiera”.
Il quadro inizia ad essere nitido, mettendo in luce il significato delle recenti esercitazioni NATO con la presenza di truppe israeliane in Sardegna prima ed in Grecia dopo. In questa situazione l’accordo militare Italia Israele, sottoscritto dal governo Berlusconi e ancora in pieno vigore sotto l’attuale governo Prodi, acquista un preciso senso ed una chiara funzione.
Dopo l’esperienza del Kosovo, banco di prova dei “bombardamenti umanitari” gestiti dai governi progressisti di Clinton, Blair e D’Alema, il peacekeeping si è adeguato alle esigenze di coloro che ancora oggi detta tempi e modi delle guerre, gli angloamericani.
Cambiato nell’aprile 1999 l’art. 5 dello statuto, la NATO si trasforma in alleanza offensiva e di supporto diretto ad Enduring Freedom in Afghanistan, con quella operazione ISAF al voto in questi giorni del parlamento italiano.
L’ipotesi di un “cuscinetto di guerra” in terra libanese sarebbe un altro passo in avanti nell’impegno diretto a ridosso del vulcano mediorientale.
Come sarebbero accolte le truppe NATO in Sud Libano, di fronte al vergognoso “gioco di squadra” in atto, per cui gli accordi si fanno sulla pelle e contro libanesi e palestinesi? Che ruolo si troverà a svolgere questo consistente contingente militare nell’eventualità di un probabile conflitto israelo/americano con Siria e Iran?
Comprendiamo la soddisfazione di D’Alema e Prodi per il successo diplomatico di questi giorni. I personaggi in fatto di guerra sono coerenti con le loro ipotesi politiche “multilateraliste”.
Sempre più duro sarà invece per la sinistra cosiddetta “ radicale” cogestire queste politiche e giustificarle di fronte ai propri elettori.
Il nuovo movimento contro la guerra deve guardare in faccia la nuova idra multicefala del militarismo, affrontarla con determinazione, scrollandosi di dosso chi, in nome della "governance", tenta di chiudergli gli occhi, sviarlo, metterlo a tacere.

Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani

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