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Pro mutuo mori

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(19 Settembre 2009) Enzo Apicella
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Il voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan

Cosa vuole l’Unione ?

(30 Luglio 2006)

L’Unione ha votato la propria mozione sulla politica estera ed il decreto di rifinanziamento economico della missione militare in Afghanistan .
Se non sorprende che sia Romano Prodi, sia Massimo D’Alema, si sentono pienamente rappresentati dalle parole della mozione, non altrettanto può essere detto per quanto riguarda la sinistra “radicale” (Prc, Pdci, Verdi).
Se soltanto pochi mesi fa quest’ultima affermava che sulla politica estera valeva soltanto lo slogan “nessuna guerra, senza se e senza ma”, dal 13 luglio 2006 è per tutti chiaro che la posizione è oggettivamente cambiata.
La sinistra radicale accetta di proseguire un occupazione militare con i se e con i ma.
Alcuni parlamentari tra i quali Franco Giordano e Pecoraio Scanio, hanno rivendicato la necessità della missione, il bisogno di maggior tempo per stabilizzare la situazione.
Altri settori, tra cui le minoranza di Rifondazione comunista l’Ernesto e Sinistra Critica, si sono dichiarati contrari al decreto ed hanno dato vita prima ad un “appello contro la guerra”, poi ad un’ assemblea nazionale a Roma con personaggi dello spettacolo e della cultura.
Il risultato? Pochi giorni dopo lo svolgersi dell’assemblea, i parlamentari “dissidenti” hanno votato si alla mozione dell’Unione sulla politica estera.
Sono molte le parti della mozione che potrebbero essere criticate.
Probabilmente, è il sesto capoverso quello che fornisce a tutta la mozione un proprio carattere filosofico:

“nell’attuale contesto internazionale e di fronte alle gravi sfide che abbiamo di fronte, la ricerca della pace non può prescindere dalla creazione di un ambiente di sicurezza globale, necessario a rafforzare le dinamiche democratiche dei singoli paesi, a migliorare le prospettive di sviluppo dei popoli e dare maggiore autorevolezza ad un’azione delle organizzazioni internazionali basata sul diritto”

Si potrebbe affermare che “la ricerca di sicurezza globale” , è una costante del moderno capitalismo e in special modo della politica estera U.S.A.
La “democratizzazione” e la “pacificazione”, sono le parole maggiormente utilizzate nei documenti politici che hanno dato il via libera alla guerra. Si potrebbe anche dire, che nel nome di queste parole le potenze occidentali sono costrette ad esportare la morte per poter sopravvivere.
I parlamentari dissidenti della sinistra radicale non colgono che tutte le misure messe in atto dal governo Prodi sono finalizzate a rafforzare un preciso modello di società.
Così le liberalizzazioni (che pur possono avere dei singoli punti condivisibili) finiscono per rinforzare lo strapotere delle grandi industrie e servono per coagulare consensi nella prospettiva delle varie riforme liberiste ad iniziare dal campo della previdenza e della sanità.
Così la mozione sull’Afghanistan finisce per rinforzare il ruolo imperialista del capitalismo italiano.
Come non vedere tutto ciò? Come non comprendere che è il quadro generale della politica dell’attuale Governo ad essere finalizzata a favorire le grandi imprese, a stimolare la competitività fra lavoratori e non la loro solidarietà?

Cosa si nasconde realmente in Afghanistan

La ricostruzione in Afghanistan rappresenta per numerosi esponenti politici, un forte processo di democratizzazione e di emancipazione umana, ma analizzando i dati ufficiali o le testimonianze di numerose o.n.g., si direbbe il contrario.
Uno dei tanti progetti di ricostruzione di scuole, cliniche e strade, è stato affidato per 665 milioni di dollari alla Louis Berger Group, azienda del New Jersey. Il termine dei lavori, riguardanti la costruzione di alcune cliniche, scuole e strade, era previsto per la fine del 2004, data delle elezioni presidenziali afgane.
L’appalto era per 533 scuole e cliniche. Ne sono state consegnate solo una minima parte.
Moltissime, erano state progettate in zone dove di fatto si è rivelato impossibile costruire: o perchè il terreno non consente la costruzione o perché situate in zone dove il controllo territoriale appartiene ai talebani.
In media queste strutture sono costate la spaventosa cifra di 250 mila dollari l’una. La maggior parte delle strutture ultimate sono state con materiale scadente (come hanno confermato un gran numero di dichiarazioni delle associazioni umanitarie).
Ed alcune sono state dichiarate già pericolanti in quanto costruite su terreni instabili.
Valga a titolo di esempio, il crollo del muro della scuola di Mogor, nelle montagne della provincia di Ganzi. Il tetto non ha sopportato il forte peso della neve. Non stupisce, poiché era lo stesso modello di tetto utilizzato nelle costruzioni in California dove il problema neve non si presenta con la stessa intensità che non sulle cime dell’Hundu Kush. Ad oggi sono altre 22 le scuole con lo stesso problema.
Anche per le cliniche, la situazione è molto simile. La clinica di Karhabi, nella provincia settentrionale del Badakshan è chiusa per pericolo crollo in quanto è stata costruita in una zona altamente sismica dove il terreno non riesce a garantire la tenuta della costruzione.

Anche la lotta alla coltivazione della droga, ha prodotto dei giganteschi profitti. La compagnia texana DynCorp ha ricevuto 290 milioni di dollari per distruggere 15 mila ettari di coltivazioni . La forte opposizione della popolazione ha portato al blocco dell’operazione. Così dopo aver distrutto circa 220 ettari di coltivazioni la DynCorp ha intrapreso la strada delle fumigazioni aeree clandestine, strategia abbandonata dopo aver prodotto gravi malattie tra il bestiame e i contadini e dopo aver prodotto la distruzione di altre coltivazioni legali ed importanti per la popolazione locale.
Un altro elemento caratterizzante la ricostruzione è il modello culturale che gli U.S.A e le altre potenze occidentali coinvolte nella ricostruzione, stanno promuovendo. Voice for Humanity, piccola azienda statunitense, ha ricevuto 8,3 milioni di dollari per distribuire nei villaggi afgani circa 65.800 lettori mp3 (circa 50 dollari l’uno) contenenti messaggi volti a promuovere la “democrazia”.
L’insieme di questi elementi sta spingendo molta parte della popolazione afgana ad un appoggio alla resistenza armata talebana.
E’ questo un altro dato allarmante: i talebani, inizialmente aiutati a raggiungere un consistente radicamento nel Paese dagli U.S.A. per la loro funzione anti Russia, protagonisti delle peggiori barbarie nei confronti dei settori sociali che in maggior misura hanno rivendicato una propria emancipazione, risultano oggi a buona parte delle grandi masse afgane un alternativa migliore all’arroganza e allo strapotere delle potenze occidentali impegnate nel conflitto, che in nome della cosiddetta democrazia esportano soltanto bagni di sangue.

Contro la guerra in Afghanistan per una nuova tattica dei comunisti

Quello che occorre, è un forte no alla missione di guerra. Le forze di sinistra che si erano pronunciate in questi anni contro la guerra devono rifiutare di appoggiare le missioni militari. Se la sinistra radicale continuerà a contrattare al ribasso sul programma dell’Unione, finirà (come già sta facendo) per distaccarsi dalle proprie ragioni sociali, per alleviare e favorire le politiche neoliberiste tanto volute dalla Confindustria.
E’ necessario fin da ora mobilitare tutte le energie possibili per opporsi a questa come ad altre guerre, per abbattere le spese militari e per investire nei salari, nelle pensioni, nella sanità e nella scuola pubblica.
Solo la lotta per un’alternativa anticapitalistica, dove le basi dell’attuale sistema vengono messe in discussione, ad iniziare dalla critica al plus-valore e all’imperialismo, può modificare realmente la società.
Sono molti in queste ore i militanti politici che dissentono con le loro direzioni. A questi compagni è rivolto il nostro appello: costruiamo insieme un nuovo soggetto politico. Non svendiamo le ragioni sociali degli oppressi dal capitalismo. Non pieghiamoci davanti al neoliberismo e alle burocrazie che lo servono.
Per l’alternativa dei lavoratori.

Marco Piracci
mPCL Roma

Fonte

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