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    Porto Marghera: il futuro possibile

    (30 Giugno 2006)

    Sabato 17 giugno 2006, si è tenuto a Mestre un convegno organizzato dalla federazione veneziana del Pdci su “Porto Marghera: il futuro possibile”. Un convegno a cui la nostra area “Essere Comunisti” ha aderito portando un contributo, politico, con relazioni ed interventi. In realtà la nostra Area ha partecipato fin dalla ideazione stessa del convegno, se non chè, una inspiegabile polemica (sulla lesa maestà? Sulla linea politica?) all’interno del nostro partito , scatenata dalla maggioranza della federazione, ha consigliato una più modesta , ma non meno impegnata adesione.

    Il successo del convegno e i contenuti emersi, hanno dato ragione a chi a quella iniziativa ha pensato. La partecipazione è stata ampia e, soprattutto, molto qualificata. Le istituzioni locali sono state presenti al massimo livello, a partire dal sindaco Cacciari e, soprattutto, sono stati presenti i rappresentanti dei lavoratori, sia delle categorie, dai metalmeccanici, ai chimici, agli edili, sia le varie organizzazioni sindacali , la CGIL, la UIL e perfino le ACLI.

    La chiave del successo probabilmente sta proprio nell’aver concepito il convegno come un luogo aperto al confronto all’interno di quel mondo, soprattutto sociale, che , nella sinistra d’alternativa diciamo di voler rappresentare: ve n’è grande bisogno!

    Il punto di partenza è la chimica, la chimica di base deve restare a Porto Marghera, l’ENI deve restare, con investimenti e rinnovando fortemente il proprio impegno. Ci sono problemi? Si, ci sono, tanti, come in ogni luogo dove l’industria si è insediata e poi, piegata alla “dittatura del mercato” , ritirandosi, ha lasciato ferite e devastazioni. Troppo facile pensare a “nuovi inizi” “rigeneratori” privi di industrie e tutto turismo, troppo facile e soprattutto inconsistente.

    Porto Marghera è ua grande realtà industriale e come, più o meno, tutte le altre realtà industriali soffre di una crisi che è un misto di difficoltà oggettive, dato lo sviluppo proprio di tutti i paesi sviluppati e di scelte di politica industriale sbagliate che hanno caratterizzato particolarmente le classi dirigenti del nostro paese ( tra le altre utile per l’agilità e completezza l’analisi di Luciano Gallino, “La scomparsa dell’Italia industriale” Einaudi 2003). Ma il punto è che, a fronte a questa crisi di Porto Marghera come nel resto del paese, si può rispondere solo con un’altra ed alternativa politica industriale, non senza una politica industriale.

    Tutti gli interventi al convegno hanno sottolineato la felice combinazione, dopo le ultime elezioni, di una quasi totale omogeneità politica negli orientamenti dei governi ai vari livelli, ciò che dovrebbe consentire un confronto serio e serrato, senza “scarica barile”, assumendosi tutte le responsabilità doverose. Un primo nodo da sciogliere riguarda il governo nazionale sulle strategie generali di politica industriale e, in queste, il ruolo dei vari settori e delle varie aree geografiche. Non tutti i settori e tutte le aree resteranno come erano, nulla è statico, ma le scelte vanno fatte e, a giudizio unanime degli intervenuti, Porto Marghera è e resterà una importante area industriale e la chimica di base uno dei settori portanti, per la quale servono rigide procedure di valutazione d’impatto ambientale ed investimenti tali da garantire la massima sicurezza e l’innovazione del prodotto e di processo che sole le grandi imprese come l’ENI possono intraprendere con ricadute virtuose sui tessuti produttivi e sociali nazionale e locali. Questo livello di decisioni competono al governo nazionale! Non solo, le prospettive del porto, insieme alla profondità dei canali ( a livello di progetto, si è detto) sono indissolubilmente legati alle decisioni sul “MOSE”, ancora una volta decisioni che competono al governo.

    Per il resto dei livelli di governo territoriali si è ripetutamente richiamato i non pochi accordi di area tra Enti locali, Regione, ENI e sindacati per disegnare una situazione già definita a cui mancava il pezzo, decisivo, del governo nazionale che poi si è finalmente aggiunto.

    Non altrettanto rassicuranti sono stati, però, su questo punto, i numerosi interventi dei vari esponenti sindacali, che hanno posto con insistenza la necessità di definire, a monte in modo preciso e vincolante ( come già del resto le relazioni avevano fatto), la destinazione delle estese aree ex industriali negli strumenti di programmazione urbanistica, per evitare che le forze, potenti, che pensano ad altri destini per queste aree, prendano il sopravvento e impongono in modo più o meno compromissorio i loro interessi. Quello che si è intravisto all’opera nel convegno e nella sua preparazione è un vero e proprio possibile “processo partecipativo”. Non si può pensare a mestre di contrapporre cittadini a lavoratori dell’area industriale con improbabili referendum; è un suicidio per la sinistra di alternativa! Quello che serve è fare tesoro dell’immensa esperienza dei lavoratori e, in rapporto conflittuale, contrattare le bonifiche delle aree( giustamente Cacciari nel suo intervento ha ricordato che oggi le tecnologie più avanzate consentono bonifiche in loco a costi enormemente più bassi e risultati più efficaci) , la loro destinazione vincolata a processi produttivi articolati, la permanenza della chimica di base con importanti investimenti innovativi che rendano possibile l’intera operazione.

    Per fare questo sono determinanti scelte nazionali di nuove politiche industriali,le quali però non escono come dal cilindro di un prestigiatore ; si può delineare, contrattare e concretizzare se un “movimento”, a partire dai territori maggiormente interessati , mette in moto un “processo” di “partecipazione” (appunto) in grado di imporre un punto di vista che garantisce un armonico e “possibile futuro”.

    Questa iniziativa ha certamente dato un contributo.

    Mauro Lenzi

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