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Rifondazione, un partito come gli altri

(24 Luglio 2006)

Per sintetizzare la posizione di Rifondazione, riportiamo una citazione di Elettra Deiana:

“Quella in Afghanistan è la madre di tutte le guerre, un atto di vendetta militare rivelatasi inefficace nel colpire l'obiettivo dichiarato: il terrorismo”.

“Nonostante tutto sosterremo comunque il governo perché consideriamo l'accordo raggiunto nell'Unione un passo avanti nella direzione giusta. Il ritiro delle truppe dall'Iraq segna una svolta nella nuova politica estera e la mozione che accompagna il disegno di legge affronta, sia pure con qualche ambiguità, nodi importanti della questione afgana come l'assunzione di impegno per il governo di un superamento della missione Isaf; una missione, che vede la Nato svolgere ancora un ruolo di comando che svuota l'Onu del suo ruolo e delle sue funzioni geopolitiche”
(Manifesto, 19 luglio).

In queste parole è evidente il cosciente divorzio tra l’intelligenza e la volontà. Ad una comprensione chiarissima delle reali condizioni in cui si svolge la spedizione in Afghanistan si sovrappone la volontà di eliminare ogni difficoltà per questo governo, per cui si finge di prendere per buona una generica promessa di superamento della missioni Isaf. In realtà, senza il ritiro delle truppe, ogni contingente italiano inevitabilmente resterà sotto il comando Nato, e non potrà rifiutarsi di compiere azioni di guerra.

Ma se Elettra Deiana conserva ancora nel linguaggio qualcosa della vecchia denuncia del militarismo, salvo poi dire: “Obbedisco”, c’è chi si è già adattato in pieno al nuovo ruolo. L’ex subcomandante Fausto, smessi gli abiti sovversivi, e tutto preso dai compiti dell’alta carica, ha dichiarato: “C’è un problema di lealtà così forte che chi non vi tiene fede esce dalla sfera della politica come esercizio della medesima nelle istituzioni.” (Corriere 16 luglio).

Lealtà verso chi? Verso il governo, o verso ai lavoratori? Il Bertinotti di ieri diceva. “Con la guerra del Golfo e in particolare con quella dei Balcani la guerra ha assunto il ruolo di costituente di un nuovo ordine mondiale, che ora, nella prima guerra della globalizzazione, cominciata con l’attacco anglo-americano all’Afghanistan, sembra dotarsi di nuovi strumenti a geometria variabile...”. (tesi di maggioranza del Congresso di Rifondazione del 2002, di cui Bertinotti era il primo firmatario).

Il Bertinotti d’oggi, quello che ha chiesto di votare i crediti di guerra per l’Afghanistan, ha un problema di lealtà verso Prodi – quello con i lavoratori è acqua passata - ma questo “patto faustiano” (da Fausto e non da Faust, anche perché Prodi somiglia più al suo conterraneo dottor Balanzone che a Mefistofele) obbliga solo lui e chi segue la sua linea di collaborazione di classe, non i lavoratori e gli antimilitaristi, dai quali ha preso le distanze. Come Faust, Bertinotti può cedere la sua anima, non quella di chi vuole continuare la lotta.

Per rendersi conto delle compagnie alle quali, secondo Bertinotti, si dovrebbe fedeltà, leggiamo un brano della lettera aperta del sen. Cossiga all'on. Rutelli (Corriere della Sera del 1° luglio 2006):

“Credevo di avere io il monopolio del soprannome 'amerikano' e di 'servo dell'America', ma vedo che tu ormai mi insidi, dato che tra poco meriterai l'appellativo di 'amerikano', non con una ma con due k, ed anche forse non solo di 'servo', ma di 'schiavo dell'America' (...) vorrei che tu ti ricordassi che senza i voti dei pacifisti, degli anti-americani, degli anti-atlantisti, di coloro che sentono ancora il coraggio, e li rispetto, di dirsi comunisti (...) voi, l'Ulivo e l'Unione, non avreste vinto le elezioni.”

I deputati del PRC non fanno che parlare di discontinuità nei confronti del governo di centrodestra.

C’è davvero discontinuità? Sì, ma soltanto nella politica di Rifondazione. In realtà il nuovo governo sta seguendo i ritmi del ritiro dall’Iraq stabiliti dal governo Berlusconi, in un periodo estremamente pericoloso, nel quale l’attacco israeliano a Gaza e al Libano può incendiare tutta l’area mediorientale. I giapponesi hanno ritirato il loro contingente in dieci giorni. Ecco cosa vuol dire non avere un D’Alema tra i piedi!

E’ nota a tutti la capacità di Bertinotti di coprire nuovi ruoli, ma, al posto della spilla iridata, dovrebbe esibire il distintivo dell’ordine dei maghi e dei prestigiatori. Mida trasformava in oro quello che toccava, Bertinotti rende democratico e sociale tutto ciò a cui partecipa. I comunisti odiano le parate militari, ma il neo presidente partecipa e tira fuori dal cilindro la colomba della pace.

Al giornalista del Corriere che gli chiede: “Serve un'alleanza con i “borghesi buoni?”, risponde: “Esatto. E quando parlo di borghesi, penso a una borghesia che abbia il senso di sé e del suo ruolo”. E’ un’esplicita, compiaciuta dichiarazione di collaborazione tra le classi. L’evoluzione di Bertinotti è completa, sappiamo da quale parte della barricata sta. La borghesia era l’avversario di classe, ma Bertinotti ne fa un alleato, a patto che abbia il senso del suo ruolo. Poveri borghesi, in realtà così buoni! Imperialismo, fascismo, sfruttamento, guerre, repressioni, sono frutto di un equivoco, perché la borghesia non è consapevole del suo ruolo!

A Genova ha detto: “I militari italiani in Afghanistan hanno una funzione che, secondo la Costituzione, non può che essere una missione di pace”. Con eleganza, il nostro grande politico si è liberato della tortura, degli “stivaletti spagnoli” della logica, sostituendole un sofisma antico, la “petizione di principio”, che consiste nel porre come base della dimostrazione proprio ciò che si vuole dimostrare. Scomponiamo il ragionamento per capirlo meglio, come si faceva nella scuole, prima che il fascismo vi abolisse lo studio della logica: le missioni fatte a norma della costituzione sono necessariamente pacifiche; quella in Afghanistan ha una funzione prevista dalla Costituzione; quindi è una missione di pace. Ma il fatto da dimostrare, che questa missione abbia una funzione prevista dalla Costituzione, è invece dato per scontato.

Se Bertinotti è abile, e quasi sempre riesce con disinvoltura a districarsi tra le evidenti contraddizioni, Giordano ci s’imbroglia sempre più. Al V° Congresso delle comunità ebraiche italiane afferma: “Per noi è importante costruire un canale di comunicazione con le comunità. Ed è particolarmente significativo nel momento in cui vi sono nuovamente in Italia e in Europa rigurgiti antisionisti” (Corriere della Sera, 1. Luglio).

Indymedia (12 luglio 2006) ci riporta un incontro di Giordano con i pacifisti: “Il nostro obiettivo rimane quello di ritirare le truppe anche dall’Afghanistan” ripete Franco Giordano, segretario di Rifondazione comunista…”. Tutti, poi, abbiamo sentito alla televisione le dichiarazioni di Giordano riguardanti il “distacco” dal partito dei parlamentari che non votassero il provvedimento sull’Afghanistan. Giordano, è sionista quando parla a sionisti, pacifista se parla ai pacifisti, burocrate quando pontifica “ex cathedra” come segretario di Rifondazione. Se lo inviteranno a un collegio ecclesiastico, certamente parlerà delle Beatitudini. Chi è in realtà questo personaggio così camaleontico? Lo Zelig di Woody Allen?

Per tutti costoro, è banale parlare del diritto che hanno gli elettori, e ancor di più i militanti che hanno condotto con pazienza e impegno la campagna elettorale, a indignarsi perché i parlamentari non hanno rispettato gli impegni antimilitaristi presi. Non occorre essere marxisti e comunisti per odiare la guerra e per considerare un raggiro la posizione di chi dice: in Iraq è guerra e ce ne andiamo, in Afghanistan restiamo per non far cadere il governo.

Nonostante l’aura di sacralità con la quale la borghesia circonda il parlamento, questo non ha più un ruolo centrale nella società, come al tempo delle grandi rivoluzioni democratiche. Non siamo più ai tempi della Convenzione. Oggi le grandi scelte si fanno nelle sedi delle multinazionali, della Banca mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, e presso i governi dei maggior paesi imperialisti, a cominciare dagli Stati Uniti. Sulla “torta” avvelenata dell’Afghanistan, i deputati della Sinistra “radicale”, sono chiamati semplicemente a mettere le decorazioni, perché risulti esteriormente appetibile. In apparenza, Rifondazione non è mai stata così forte, con una presidenza della Camera, ministri e sottosegretari. In realtà sono soltanto ostaggi, che accettano di ripetere con parole socialisteggianti le stesse cose dei ministri dichiaratamente borghesi.

Non ci vengano a raccontare che possono monitorare la guerra. E’ proprio dell’attività bellica mantenere segreti molti aspetti delle operazioni, diffondere ad arte false notizie, compiere manovre diversive, circondare di un’aspra censura la corrispondenza. Non solo s’ingannano gli avversari, ma si nascondono le sconfitte, per tenere alto il morale dei propri soldati e dei cittadini: quando la Germania occupò la Norvegia, la BBC disse che i tedeschi erano stati ricacciati in mare. I giornalisti indipendenti sono tenuti lontano dal fronte, quelli “embedded” devono seguire le indicazioni degli stati maggiori. Si sa di stragi gravissime, di torture, di bombardamenti, di distruzioni di villaggi o città con settimane o mesi di ritardo. Un efficientissimo sistema di disinformazione giornalistica è sempre pronto a confondere le acque. Eppure Russo Spena e Giordano, emuli di Calandrino, vogliono monitorare l’incontrollabile, la guerra, attraverso un osservatorio permanente sulla situazione afgana, dalle sale di Montecitorio e Palazzo Madama. Auguri!

Il compito dei deputati di sinistra è un altro, la denuncia della bestialità del conflitto, utilizzando le conoscenze parziali e frammentarie che giungono, e suscitando l’indignazione e la protesta delle masse, oggi confuse da una televisione le cui immagini presentano la realtà in forma capovolta, e che dipinge i briganti imperialisti, il governo di Bush o quello israeliano, come teneri agnellini aggrediti.

Invece di attirare l’attenzione su queste tragedie, i “nostri” parlamentari inventano medicine da stregoni di villaggio, contribuiscono a tranquillizzare quelli che sentono il problema. Non abbiamo bisogno di sedativi politici, ma di parole d’ordine di lotta!

Ogni guerra, per quanto locale, ci riguarda. L’Europa avanzata guardava con sufficienza e boria alle guerre balcaniche, condotte tra popolazioni che ritenevano semibarbare. Non capiva che erano le avvisaglie della Prima guerra mondiale. Le guerre locali, allora come oggi, sono la preparazione a qualcosa di più vasto. Si esperimentano nuove armi, tattiche militari, si mettono alla prova alleanze internazionali, come nella guerra di Spagna.

Non c’è guerra, per quanto locale, che i grandi stati non cerchino di utilizzare per la loro penetrazione economica o politica. In Afghanistan, Russia e Iran hanno favorito alcuni signori della guerra. Se USA ed Europa interverranno in Darfur, non sarà, come sembra credere Giordano, per difendere popolazioni locali, ma per bloccare l’influenza cinese in Africa, che ha in Sudan uno dei suoi punti di forza. E i caschi blu dell’ONU, a Gaza o nel sud del Libano, fungeranno da guardie funerarie, dopo che Israele avrà distrutto ponti, case, ospedali, scuole, depositi di carburante, industrie, aeroporti, porti, oltre che a un buon numero di esseri umani, e serviranno a tenere lontani dal confine gli oppositori di Israele. Ancora una volta Kofi Annan, sia quando perorava la presenza italiana in Afghanistan, sia con la proposta della forza d’interposizione nel vicino Oriente, si è dimostrato il commesso viaggiatore di Bush.

Che c’entra l’Italia con l’Afghanistan? La spiegazione la dà un avversario, in un momento di sincerità. In una dichiarazione sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali, il Senatore Manca di Forza Italia disse: “Per anni abbiamo messo a disposizione degli Stati Uniti una disponibilità non operativa... ma ora le cose sono cambiate, se non sapremo o non vorremo competere sul piano operativo con gli altri Paesi dell'Alleanza finiremo per essere esclusi da chi, di fatto, guida la politica nel vecchio Continente...”. (1)

Ecco perché Prodi si preoccupa di non irritare gli Stati Uniti. L’imperialismo italiano ha suoi interessi distinti, ma non può permettersi di contrapporsi a quello dominante dell’America. Non è compito dei comunisti cercare accomodamenti per rendere compatibili gli interessi di due imperialismi di così diverso peso, ma di combatterli entrambi, cominciando dall’imperialismo del “Nostro Stivale”, dell’Italietta, e cercando contatti con coloro che li combattono in altri paesi, a cominciare dagli antimilitaristi statunitensi.

Quasi tutti parlamentari di Rifondazione sono passati sopra al fatto che i voti ricevuti sono tutti contro la guerra. L’augurio è che ci siamo dieci, cento, mille contestazioni alla segreteria, alla direzione, al gruppo parlamentare che hanno ceduto su questi problemi essenziali. Questi parlamentari sono stati eletti dai lavoratori per difendere i loro interessi, e dovevano rispettare il mandato, votando contro l’infausto decreto che finanzia la spedizione, oppure dimettersi, e comunque non farsi coinvolgere in questa sinistra commedia, in cui la guerra è mascherata da pacifico aiuto e chi si ribella è indicato come un estremista, se non un mestatore.

Il voto contro il decreto è stata l’ultima occasione per dimostrare il loro antimilitarismo. Salvo pochi, hanno votato a favore, accanto a Fini, a Berlusconi, a Calderoli.

Rifondazione, pur con l’enorme confusione dottrinale, le mille venature di opportunismo e con l’irrisolto problema dell’eterogeneità delle componenti, tuttavia, aveva sempre preso posizione contro la guerra. In ciò consisteva la sua diversità. Ora non più, e diventato un partito come gli altri, almeno per quanto riguarda buona parte della dirigenza. E’ innegabile che, soprattutto nella base, ci sono ancora dei militanti tenaci, il cui compito è difficilissimo, e non saremo certo noi a scoraggiarli. Ma, se vorranno ottenere risultati, dovranno sempre più cercare la collaborazione con compagni che lavorano all’esterno, in movimenti e organizzazioni di base, anche per compensare la continua emorragia di forze, dovuta alla politica del partito. Se buona parte della dirigenza ha ceduto, sulla questione dell’antimilitarismo, persino i sondaggi ufficiali devono riconoscere l’impopolarità di queste avventure militari, e ciò rende possibile trovare forze nuove pronte a continuare la nostra battaglia.

(1) La dichiarazione è riportata nell’articolo “ Cosa sono veramente andati a fare i nostri reparti in Afghanistan? Qualche domanda a Falco Accame”, di Maria Lina Veca, scritto il 16/01/2002 e ripubblicato in Tiberiade il 5/2006.

21 luglio 2006

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