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Non è più tempo di Guerra dei sei giorni

(7 Agosto 2006)

Milano, 6 agosto - Se l'attuale conflitto in Libano dovesse concludersi in questo momento, registrerebbe il più grande smacco militare della storia dello Stato ebraico. In oltre tre settimane di guerra, la potente macchina militare israeliana, considerata in grado di tener testa da sola a tutti gli eserciti arabi della regione messi assieme, ha raso al suolo le infrastrutture del Libano, ha ucciso diverse centinaia, forse un migliaio di persone, ha costretto ad abbandonare le proprie case un quarto della popolazione libanese, ha provocato stragi da Qana a Qaa che hanno lasciato inorriditi, ha bombardato una moschea in costruzione presentandola come il bunker della dirigenza di Hezbollah, ha compiuto raid con truppe speciali a Baalbek e a Tiro, con l'obiettivo di catturare dirigenti di Hezbollah, per finire col rapire pastori e malcapitati di passaggio da una località e portar via i propri morti e feriti dall'altra, ha subito impotente la pioggia di razzi Hezbollah sulle città e i villaggi di Israele in una lenta e inesorabile marcia di avvicinamento verso Tel Aviv.

Quando per 48 ore i razzi hanno quasi del tutto smesso di colpire, è stato perché Hezbollah ha deciso di rispettare la tregua umanitaria. Migliaia di missioni aeree di ricognizione e di bombardamento, migliaia di riservisti mobilitati e gettati nella mischia, non hanno consentito allo Stato ebraico di schiacciare, rimuovere, eliminare quella parte della popolazione libanese in armi che corrisponde a Hezbollah. Ciò che è ancora più grave per Israele è che non è stato dimostrato ai Paesi della regione e alle loro popolazioni che devono continuare a tremare davanti alla macchina militare israeliana, come hanno tremato nei decenni passati. Un autorevole analista israeliano ha affermato che questo potrebbe persino mettere a rischio in futuro le intese di pace fimate con alcuni Paesi arabi. Come per dire: non lo hanno siglato per convinzione, ma per paura, se svanisce la paura in cui vivono, è la fine della delicata ragnatela di rapporti medio orientali costruita a protezione dello Stato ebraico.

La mancata vittoria militare è anche la ragione per continuare il conflitto, magari in una veste diversa, sotto la campana di vetro di una risoluzione Onu che assegna al più forte il diritto di difendersi, per cercare se non il trionfo, almeno quel colpo ad effetto che possa essere spacciato per successo, come, per esempio, l'eliminazione di un qualche autorevole esponente della resistenza libanese. La palla, ora, è nel campo del Consiglio di sicurezza che cerca di assicurare con strumenti politico-diplomatici quel successo israeliano che è mancato sul piano militare. Quello che la diplomazia americana ha chiamato "cessate il fuoco sostenibile", sostenibile in quanto senza la presenza della resistenza, che, però, non è stato realizzato, perché le "scatole di sabbia", in cui secondo un ministro israeliano andavano ridotti i villaggi libanesi, si sono dimostrati bocconi difficili da inghiottire.

Non è più tempo di "Guerra dei sei giorni" o di cavalcate trionfali sino al Litani (1978) o fino a Beirut (1982). Ecco allora che è la politica che deve soccorrere Israele per la prima volta, invece di essere usata come semplice ruota di scorta dell'invincibile armata. Il Muro di separazione che Israele ha deciso di costruire per proteggersi dai palestinesi, in Libano assumerà i connotati di una zona cuscinetto occupata da Israele o custodita da militari stranieri, alimenterà nuovi risentimenti e aggiungerà odio all'odio, rilancerà la resistenza in presenza di occupazione, minerà completamente l'autorità del governo libanese e spingerà il Libano indietro di vent'anni. Integrare Israele nel contesto regionale in cui si colloca diventa un'impresa sempre più ardua man mano che passano i decenni.

E pensare che la mancata vittoria militare poteva essere un'opportunità, perché lo Stato ebraico, finalmente, decidesse di trattare, di dialogare da pari a pari con i suoi vicini per risolvere le controversie, imparando a restituire terre occupate e la libertà a prigionieri detenuti da decenni, e rispettando la sovranità dei suoi vicini, invece di voler continuare a imporre con la forza la propria volontà, illudendosi che annientare gli avversari sia la soluzione, anche perché, per essere sinceri, mai come nell'estate libanese del 2006 i successi trionfali di Entebbe e Osiraq sono sembrati far parte dei libri di storia.

articolo originale : http://www.arabmonitor.info/news/dettaglio.php?idnews=15244&lang=it

La redazione di Arabmonitor

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