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Il flop della Perugia-Assisi e le ambizioni di Palazzo Chigi

Perche diciamo no alla missione militare in Libano. Un contributo alla discussione e alla mobilitazione

(29 Agosto 2006)

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libero definitivo all’invio di un altro contingente militare italiano all’estero. Questa volta si tratta del Libano. La cornice dell’ONU e la convergenza dell’Unione Europea su questa operazione militare, vorrebbero segnalare una discontinuità e una differenza con altri teatri di guerra che vedono impegnate truppe italiane come l’Iraq, l’Afganistan, il Kosovo dove l’Italia è complice dell’occupazione militare di quei paesi al fianco degli USA e della NATO. Ma è veramente così?
A questa differenza sembrano credere con convinzione le associazioni pacifiste collaterali al governo e ai partiti del centro-sinistra (Tavola della Pace, ARCI, CGIL, CISL etc.) che hanno provato a costruire – piuttosto paradossalmente – una manifestazione di piazza a sostegno dell’intervento militare in Libano con la marcia Perugia-Assisi del 26 agosto.
Il clamoroso “flop” di partecipazione alla Perugia-Assisi (visibile anche dalle pure bendisposte telecamere del TG 3) ha rivelato come questa operazione di consenso ad un intervento militare “multilaterale”, non abbia affatto persuaso il movimento contro la guerra ma solo una ristretta cerchia di professionisti del pacifismo collaterali al governo.
Il problema della natura concreta e delle ambizioni strategiche dell’intervento militare in Libano, non sfuggono infatti agli osservatori e agli attivisti più attenti e meno subalterni né a quei pacifisti che stanno vivendo gli avvenimenti travolti da una vera e propria crisi morale.
In una recente intervista, Piero Fassino ha voluto chiarire alcuni aspetti della missione militare ONU in Libano che sembrano sfuggire a molti pacifinti che hanno sfilato tra Perugia e Assisi ma che dovrebbero far scattare l’allarme tra chi si batte con maggiore coerenza contro la guerra:
“I nostri soldati in Libano non vanno soltanto a garantire che il governo di Beirut sia pienamente sovrano e possa predisporre lo smantellamento di Hezbollah, ma anche per tutelare Israele da chi lo voglia distruggere. Non c'è dubbio. Le posizioni equivoche sono sono minoritarie a sinistra, minoritarissime nei Ds. Nessuno può farci cambiare opinione: queste frange sbagliano e condurremo contro di loro battaglia politica determinata” (Intervista di Fassino al Corriere della Sera del 27 agosto).
Se qualcuno ritenesse che le parole di Fassino siano solo una interpretazione parziale della missione militare in Libano tese a riequilibrare alcune esternazioni del ministro degli esteri D’Alema, sarà utile sottolineare quanto ha detto pubblicamente il ministro degli esteri israeliano Livni sugli obiettivi della missione militare ONU in Libano “Realizzare la risoluzione 1701. E' una congiunzione straordinaria che può aprire la strada di un nuovo futuro per il Medio Oriente. Alla fine di questo processo gli Hezbollah, una forza integralista islamica e terrorista pilotata dall'Iran, non dovranno più esistere. Il problema dunque, non è come mi sento, ma quanto si riesce a realizzare il progetto contenuto nella 1701” (Intervista a La Stampa del 25 agosto).

Alla luce di questa valutazioni, emerge una idea della missione militare in Libano tesa sostanzialmente a “legare le mani” alla attività degli Hezbollah consentendo così ad Israele di fare in Libano quella che fa quotidianamente in Palestina, di violare quando vuole la tregua, di colpire in Libano e impedire la risposta delle forze della resistenza libanese. Ciò significa che per qualcuno occorrerà attendere il primo colpo di fucile di un casco blu dell’ONU contro gli Hezbollah (mentre è impossibile prevedere una reazione analoga verso le truppe israeliane) per comprendere la natura concreta di questa missione e le sue drammatiche conseguenze sul campo e sul piano diplomatico.

In secondo luogo, dalla concezione e gestione “europea” della missione militare in Libano, emerge con evidenza come il multilateralismo e il protagonismo dell’Europa - sottolineato sistematicamente da Prodi e D’Alema e vissuto acriticamente dal pacifismo di governo e dai partiti della sinistra come discontinuità dall’unilateralismo degli USA – riveli in realtà l’accresciuta competizione tra gli interessi coloniali europei rappresentati dal Mercato Unico Euro-Mediterraneo del 2010 con quelli statunitensi rappresentati dal progetto del “Grande Medio Oriente” dei neoconservatori dell’amministrazione Bush. Le ambizioni di potenza dell’Italia evocata da Palazzo Chigi sono un segnale funesto.
Accettare e convivere con l’idea di un ruolo progressista ed equo dell’Unione Europea a prescindere dalle sue scelte concrete in campo economico, militare, politico, razziale, è una visione ormai superata dai fatti ed una illusione dolorosa sia per le forze progressiste in Italia che per i popoli del Mediterraneo Sud e del Medio Oriente, a cominciare dal popolo palestinese.
Con la missione militare in Libano si apre una partita molto grossa e molto pericolosa. Non aspetteremo il ritorno delle bare avvolte nel tricolore per denunciare le responsabilità di chi ha voluto e appoggiato questa ennesima operazione militare all’estero delle forze armate italiane.

Già dalle prossime settimane rilanceremo l’iniziativa per riaffermare senza alcuna ambiguità:
No alla guerra, senza se e senza ma
Rientro immediato delle truppe italiane da tutti i teatri di guerra (Iraq, Afganistan, Libano)
Revoca dell’accordo militare Italia-Israele
Taglio delle spese militari
Smantellamento delle basi militari e delle armi nucleari installate nei nostri territori

Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani
www.disarmiamoli.org; viadalliraqora@libero.it

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