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Emergenza ceneri...

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(17 Aprile 2010) Enzo Apicella
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Il disegno strategico degli Usa in Medio Oriente

(6 Settembre 2006)

Temere il fallimento della Unifil-2 non vuol dire augurarselo.
Motivare tale timore con l'analisi delle circostanze e degli antefatti politici, diplomatici e militari che hanno preceduto e accompagnato la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e l'invio di una forza internazionale sui confini del Libano non vuol dire auspicare la ripresa delle ostilità, una improbabile, definitiva vittoria di Hezbollah sul dispositivo militare israeliano, altre migliaia di morti, la devastazione ultimativa di una stato-nazione, la rinuncia a qualsiasi tentativo di avviare a soluzione la questione palestinese, la conflagrazione di una grande guerra mediorientale che oltre all'Iraq e all'Afghanistan coinvolga la Siria, l'Iran, la Nato, l'Europa e l'intero mondo occidentale.

Se così fosse, ha ragione Rossana Rossanda, qualsiasi opposizione, qualsiasi critica all'intervento dell'Onu e alla partecipazione italiana sarebbero inficiate non solo da faziosità, pregiudizi ideologici e «tesi complottistiche» ma da cecità e dissennatezza assolute.

Ecco perché ci sembra opportuno contribuire a un dibattito - a dire il vero pressocché inesistente in Italia dato l'unanimismo imperante - con qualche dato sulle prese di posizione dell'amministrazione statunitense, fattore e motore primario delle crisi e dei conflitti mediorientali, sulle presunte resipiscenze di un presidente alle prese con i clamorosi fallimenti delle sue direttive di politica militare, estera e interna (addirittura influenzato secondo il suo portavoce dalla più che improbabile lettura estiva di Camus) e sull'importanza, determinante per i prevedibili sviluppi internazionali dei prossimi due mesi, della scadenza elettorale di martedì 7 novembre nella repubblica stellata.

Le rivelazioni di Seymour Hersh sulla pianificazione statunitense della guerra in Libano che ha preceduto di molti mesi il «casus belli» della cattura di due soldati israeliani vanno integrate dai documenti e dalle tesi pubblicate nello stesso periodo dai centri dell'ideologia e della strategia «neocon» che dettano legge nell'amministrazione Rumsfeld-Cheney, l'American Enterprise Institute la Foundation for Defense of Democracies, il Center for Security Poicy e il recentemente scomparso Project for a New American Century.

Ideologia e strategia perseguite e attuate sul piano pratico a tutti i livelli da personaggi quali Max Boot, Charles Krauthammer, Michael Ledeen e Eliot Abrams. Essenziale, esiziale, l'influenza di quest'ultimo nell'assegnare ad Israele il ruolo di punta di diamante in una grande strategia destinata a disegnare una nuova mappa geopolitica del medioriente colpendo prima Hezbollah e poi la Siria e l'Iran, e portando alle ultime conseguenze le guerre in Iraq e in Afghanistan.

Nella sua veste di primo consigliere per gli affari mediorientali della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, Eliot Abrams ha accompagnato le missioni del segretario di stato Condoleeza Rice che è riuscita con indubbia abilità diplomatica a bloccare la per 34 giorni la diplomazia internazionale e i suoi tentativi di ottenere il cessate il fuoco nel Libano. Eliot Abrams ha trascorso altre settimane a Tel Aviv prima durante e dopo il conflitto ed ha condizionato, anche se non rientrava nelle sue competenze, lo stanziamento il 20 giugno di 262 milioni di dollari in carburanti speciali per gli F-15 e F-16 israeliani, di un altro mezzo miliardo in bombe a grappolo e «intelligenti» e di una somma più astronomica nel ponte aereo che dagli Stati uniti via le basi aeree nell'East Angla del Regno Unito sta rifornendo di nuovi e più letali armamenti le forze armate di Tel Aviv. Non vi è dubbio che l'inattesa resistenza Hezbollah organizzata sul territorio con una modulazione di tipo svizzero più che mediorientale, abbia imposto una battuta d'arresto ad un'offensiva originariamente programmata sulla durata di dieci, dodici giorni. Non v'è parimenti alcun dubbio che questa battuta d'arresto non abbia alterato il gran disegno strategico dei Cheney, Rumsfeld & Co...

Significativo e preoccupante il ruolo assegnato da Washington alle Nazioni Unite, fino al 14 agosto disconosciuto e negato da quel gran guastatore dell'organizzazione internazionale che è l'ambasciatore Usa Bolton, e poi improvvisamente rivalutato e riportato in primo piano con sollecitazioni martellanti dello stesso presidente Bush.

Mancano testimonianze documentali e quindi si entra nel campo di interpretazioni e illazioni alimentate in gran parte dalle difficoltà e dagli ostacoli incontrati da Kofi Annan nella sua missione in M.O.

Israele ritirerà le truppe e il blocco navale solo quando la risoluzione 1701 troverà una applicazione completa ed estensiva nella fascia a sud del fiume Litani, e sarà solo Israele a decidere quando tale risultato verrà conseguito anche con operazioni non previste dal mandato Onu come lo smantellamento delle forze Hezbollah e la presenza di una forza internazionale sulle frontiere della Siria. C'è chi pensa non solo nel governo Olmert o in quello statunitense che il compito primario della forza internazionale sia quello di raggiungere i traguardi venuti temporaneamente meno con l'offensiva israeliana e che come è avvenuto in Afghanistan sia auspicabile un passaggio di consegne dall'Onu alla Nato.

Sempre sul piano delle illazioni, si prospetta l'eventualità di un missile a medio raggio di fabbricazione iraniana lanciato dal territorio libanese su un giardino pubblico di Tel Aviv. Non è peraltro materia opinabile che l'amministrazione Rumsfeld-Cheney sia pronta a misure «estreme» entro ottobre per evitare la debacle elettorale del 7 novembre.

Quei pochi che in Italia hanno sollevato le argomentazioni di cui sopra sono stati tacciati di pacifismo suicida e unilateralista, una campagna preventiva indubbiamente efficace ma del tutto sproporzionata soprattutto nei confronti di quei vagiti di un'opposizione parlamentare di sinistra che sembra abbia sostituito il no alla guerra senza se e senza ma con un «nì alla guerra senza me e poi chissà, Tiritiritù? Tiritirità...».

Lucio Manisco

Fonte

  • Il Manifesto del 02/09/2006

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