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Governo e irriducibilità delle contraddizioni

(14 Settembre 2006)

Il Presidente della Camera dei Deputati, Fausto Bertinotti, è intervenuto con un lungo articolo nel dibattito aperto da molti giorni sulle colonne di “Repubblica” sul tema della “morte del socialismo”.

Un intervento importante, al quale la redazione ha assegnato il titolo “Il ruolo del socialismo in una società ingiusta”: un titolo di per sé fortemente significativo, al riguardo dell'orientamento che l'autore indica con chiarezza nell'estensione del suo testo.

Si può ben dire che, attraverso questo articolo, il Presidente della Camera traccia il solco tra il ruolo del suo partito (del partito di cui è stato segretario per molti anni) e che ancora si fregia della denominazione di “Rifondazione Comunista” ed una possibile sinistra d'alternativa orientata alla trasformazione radicale, sia pure attraverso passaggi graduali, del sistema capitalistico.

Nei mesi scorsi si era discusso a lungo del concetto di “fase di transizione”, per concludere – alla fine – che ci si trovava del tutto al di fuori da un itinerario del genere (considerandolo nella sua accezione classica, di fase del passaggio dal sistema capitalistico verso un sistema diverso) e che risultava necessario cercare di riaprire, appunto, un varco in quella direzione.

Oggi, nel testo del Presidente della Camera, apprendiamo che non esiste alcuna intenzione di muoversi verso quell'obiettivo e che, se transizione deve essere, tutt'altro sarà l'orientamento.

Segnalo, però, un primo elemento che davvero stride nel testo preso in esame: vi si parla di politica rinchiusa nella sfera della governabilità, senza l'ambizione dell'impatto forte della realtà del momento.

In questa frase sono racchiusi due punti sui quali aprire subito il dibattito:

a) come è possibile parlare di politica “racchiusa nella governabilità” quando il partito che l'autore ha diretto e rappresenta sul piano mediatico, è impegnato all'interno di un debole governo liberale di grande coalizione che sta attuando una politica di dismissione della propria sovranità, verso diverse agenzie, sovranazionali e nazionali che in effetti “governano” i settori decisivi della vita pubblica, economica e sociale: dalla politica estera, all'economia; in un fronteggiamento della globalizzazione che è puro adattamento alle condizioni date ed imposte dal mercato.

Il primo tema da porre, allora, è quello del rapporto: governo/sovranità, un rapporto del tutto irrisolto, ripeto, dalla debole coalizione liberale che sta pretendendo di governare l'Italia;

b) L'ambizione deve essere quella dell'impatto “forte” sulla realtà del momento (verrebbe da citare l'Occhetto del “riformismo forte”, ma erano altre condizioni, ancora quelle della logica dei blocchi. Difatti, al momento della caduta del muro, l'insegna si ridusse allo “sblocco del sistema politico” e l'attuale Presidente della Camera vi aderì, alla fine). Impatto “forte” per quale scopo? Limare le unghie all'aggressività capitalistica, oppure costruire con il capitalismo un ordine, fondato sulle coordinate del sistema vincente, che consenta di “limitare i danni” prodotti dalla società ingiusta?

Intendiamoci bene: limitare i danni prodotti dalla società ingiusta è di per sé compito necessario e nobile (suscita preoccupazione, comunque, se questo tentativo viene svolto senza proporre un chiaro contrasto politico, anzi stando dentro ad un governo liberale dalle caratteristiche del tipo di quelle appena indicate: ma non è questo il punto).

La questione vera rimane quella delle finalità complessive dell'azione che si persegue per “limitare i danni”.

E' già capitato di scrivere che, in Italia, manca un soggetto politico fondato su quei canoni della socialdemocrazia classica che, appunto, i teorici anglofoni che hanno avviato il dibattito su “Repubblica” (Lloyd, Giddens) considerano un “cane morto”: programmazione e regolazione pubblica dell'economia, proprietà e gestione delle grandi utilities di servizio pubblico (compresa quella telefonica e televisiva), stato sociale universalistico, politica intesa come rappresentanza attraverso la centralità delle assemblee elettive (dal Parlamento ai Consigli Comunali).

Una giaculatoria da recitare, ormai,come i grani di un rosario della democrazia effettiva, non certo della rivoluzione permanente.

Orbene, quando nell'articolo citato del Presidente della Camera si scrive che il nodo delle diseguaglianze lo si affronta nel loro rapporto con la modernizzazione e con l'innovazione, allora si comprende qual'è la frontiera che separa una prospettiva di trasformazione della società a quella di un acritico adattamento nelle pieghe e nei meandri della governabilità “debole” che, nella sostanza, è proposta dal Presidente della Camera.

In questa dizione di “diseguaglianze” da porre in rapporto con la modernizzazione e l'innovazione ci sta infatti la rinuncia, sostanziale, a voler affrontare fino in fondo la complessità delle contraddizioni irriducibili che si muovono nella società odierna e ne determinano l'assetto sociale, economico, politico, a livello sovranazionale.

Intrecciate alla contraddizioni principale dello sfruttamento, infatti, ne sono emerse altre (quella ambientale, quella di genere, quella della contraddizione nord/sud, quella del ritorno della guerra come strumento di espansione del sistema) che debbono essere affrontate: ovviamente non tralasciando la possibilità di perseguire la gradualità di una erosione del sistema nei suoi punti più alti di difficoltà ad esprimere il proprio dominio (non certo stando, però, al governo nella parte “alta” del sistema: in Occidente la socialdemocrazia non può che collocarsi all'opposizione ed al contrasto del liberalismo. Figuriamoci chi intende auto – appellarsi ancora come “comunista”).

Questa gradualità, che passa attraverso il recupero ed il rafforzamento delle strutture classiche della politica “ad integrazione di massa”, in ispecie dei partiti, può svilupparsi attraverso l'espressione di programmi intermedi, di lotte parlamentari, di presenze istituzionali negli Enti Locali, di battaglie di movimento (analizzando, comunque, con grande attenzione cosa possono rappresentare i movimenti all'interno di una società come quella attuale, all'interno della quale sono altissimi i rischi di corporativizzazione anche per le espressioni delle cause apparentemente più sacrosante).

Il fatto è che questa gradualità deve essere finalizzata alla riapertura di una fase di transizione : operazione impossibile se non si riapre la discussione su di un progetto di società che fuoriesca dal capitalismo, pur nella presa d'atto del fallimento dell'inveramento statuale tentato dai fraintendimenti marxisti del '900.

Ecco: questo punto manca totalmente nell'analisi del Presidente della Camera.

Un ragionamento interno ad una logica liberista e politicista, naturalmente “temperata”: ci mancherebbe altro, ma di questo trattasi e questo deve essere chiaro.

Savona, li 13 Settembre 2006

Franco Astengo

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