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No nightmare

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(18 Settembre 2013) Enzo Apicella

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    Nato - Afghanistan e Darfur. L'Alleanza pensa globale

    Cosa dicono i laboratori della guerra umanitaria

    (23 Giugno 2006)

    Su pressione di Washington, la Nato punta a darsi un profilo globale, intervenendo in zone di crisi quali il Darfur. Altro obiettivo è la creazione di partnership con i Paesi del Pacifico

    La "piccola guerra di Crimea", in corso da alcuni giorni sulla penisola ucraina, dove nella cittadina di Teodosia, la popolazione locale di origine russa è insorta contro le esercitazioni congiunte tra marina ucraina e americana, prova generale dei contrasti che potrebbero nascere tra le due anime del Paese nel caso in cui Kiev dovesse proseguire la marcia verso la Nato , ha messo in evidenza le difficoltà a cui la Nato potrebbe andare incontro se dovesse realmente iniziare a svolgere un ruolo più attivo su tutti gli scacchieri globali. Per adeguarsi ai nuovi scenari, l'Alleanza sta iniziando a trasformarsi, cercando di scrollarsi di dosso, alla stregua di altre organizzazioni militari del novecento l'approccio tipico degli anni della Guerra fredda.

    Le nuove competenze iniziate con l'impiego dell'alleanza in Afghanistan proseguiranno non solo in questo Paese dell'Asia centrale, dove i compiti della Forza internazionale di stabilizzazione (Isaf) verranno estesi nel corso dell'estate alle province più irrequiete del sud del Paese. L'alleanza transatlantica ha infatti dato la propria disponibilità a impegnarsi anche nel Darfur, la zona di crisi nel Sudan meridionale. Come ha detto un diplomatico dell'organizzazione militare, «dovremo abituarci ad essere presenti nei quattro continenti». L'attore più importante all'interno dell'alleanza transatlantica, gli Usa, vorrebbe integrare l'attuale tendenza della Nato a ricoprire un ruolo di fronte alle nuove minacce con trattati di "global partnership", estese a Paesi come Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud. Per questa ragione, nel 2008 è in programma un vertice che tratterà proprio dell'ingresso di nuovi membri nell'organizzazione.

    Il vertice di Sofia

    Un primo passo nella decisione alla "global partnership", verrà fatto nel vertice informale di Riga, che si terrà nel novembre di quest'anno. Anche le due giornate degli incontri di Sofia, del 27 e 28 aprile scorso, non sono state altro che un passo verso Riga. Il dibattito di Sofia ha fatto costante riferimento alle possibili future nuove partecipazioni di Stati balcanici e dell'est europeo e alle differenti future missioni militari. Anche se questi incontri, ideali per un franco scambio di opinioni, di regola non lasciano trapelare le decisioni finali, è chiaro che gli Stati membri hanno preso in forte considerazione l'idea di un allargamento della Nato e di una globalizzazione del proprio impegno.

    Il vertice nella capitale bulgara si è svolto facendo molta attenzione a quanto stava avvenendo a Teheran. L'intervento del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, arrivato a Sofia venerdì nel quadro delle consultazioni di routine con i suoi colleghi Nato, è coinciso con la scadenza di uno dei tanti ultimatum per porre fine al programma di arricchimento dell'uranio, posti dall'Onu al regime degli ayatollah. È ovvio che pur essendosi discusso al vertice di questioni di attualità, il tema dell'Iran non era all'ordine del giorno, per la ragione che le competenze su questa spinosa questione appartengono al Consiglio di sicurezza dell'Onu, all'UE-3 (Gran Bretagna, Germania, Francia) e al G8.

    A Sofia, come si diceva, si è invece discusso per la prima volta, a livello di ministri degli Esteri, delle prospettive della "global partnership". Il Segretario generale dell'organizzazione transatlantica, l'olandese de Hoop Scheffer, ha chiarito che non si è parlato dell'ingresso di partner dell'Asia meridionale e orientale, né di mettere in discussione il criterio della difesa comune, secondo quanto disposto dall'articolo 5 del Trattato, l'articolo "fondamentale" del patto. Ciò non è servito a dissipare scetticismi e preoccupazioni di molti Stati membri europei, sulle capacità di tenuta dell'organizzazione, nel caso in cui la Nato dovesse allargarsi ulteriormente.

    L'Alleanza "pacifica"

    La strategia america, come pure quella del segretario generale della Nato, punta da una parte a coinvolgere nelle operazioni militari dell'alleanza - l'esempio più concreto è l'Afghanistan - le truppe di altri Paesi come la Nuova Zelanda , mentre dall'altra vorrebbe impostare un rapporto sempre più stretto con Paesi quali Giappone o Corea del Sud. Oltre a ciò, la nuova strategia cercherà di rafforzare i rapporti con Stati europei che non fanno parte dell'alleanza, come la Svezia , la Finlandia o la Svizzera , che collaborano al programma Nato "Partnership for peace", ma che non si sentono veramente a loro agio nel partnenariato euro-atlantico (Eapr), dopo che molti membri dell'alleanza sono entrati a farne parte.

    La questione di come si debba organizzare questo partenariato, se attraverso nuove strutture organizzative, incontri regolari, rapporti bilaterali rafforzati oppure con conferenze tra gli Stati che mettono a disposizione le loro truppe, non è stata ancora risolta. Secondo quanto detto da un diplomatico Nato, molti dei Paesi in gioco vogliono, anche a causa di motivi di politica interna, incidere direttamente riguardo le forme che la propria collaborazione con l'Alleanza dovrà assumere. Il portavoce del segretario generale ha riassunto lo stato del dibattito con lo slogan secondo cui la Nato non diventerebbe "un'alleanza globale" ma "un'alleanza con partner globali".

    I Paesi che più spingono per entrare nell'alleanza nord atlantica, non sono solo Ucraina e Georgia, ma anche Croazia, Macedonia e Albania. I tre Stati dei Balcani, attraverso i piani d'azione della Nato, si stanno preparando da anni all'ingresso. Sia per l'Ucraina, che dai giorni della rivoluzione arancione conduce un "dialogo intensivo" nella cornice della Commissione Nato-Ucraina, sia per la Georgia , manca però l'offerta di un Piano d'azione per il partnenariato (Map). Kiev vorrebbe invece fare già entro l'anno il primo passo verso la futura partecipazione. De Hoop Scheffer ha detto molto chiaramente che a Riga non si prenderà alcuna decisione sui prossimi allargamenti. Però i candidati dovrebbero ricevere un "segnale", che deve ancora essere discusso nei dettagli.

    Impieghi in zone di guerra

    La volontà per un impegno nel Darfur, in linea di principio, non manca. Però, anche in questo caso, finora vi sono solo progetti che ambienti politici dell'alleanza militare hanno qualificato, facendo trasparire una certa presa di distanza, come "esercizi mentali". Da quando il presidente americano George Bush ha preso posizione a favore di un ruolo più forte della Nato nella provincia del Sudan, per l'Unione africana (Ua) e per le Nazioni Unite risulta ancora più difficile convincere il governo di Karthoum che i circa 7 mila soldati dell'attuale missione di osservazione dell'Ua, dovranno essere sostituiti con un contingente, più grande, di caschi blu dell'Onu.

    Comunque, per il momento, la Nato ha offerto all'Unione africana solo il proseguimento del sostegno attuale. L'attività dell'alleanza transatlantica, insieme all'Ue, si limita ai trasporti aerei e a fornire quadri specializzati al quartier generale della missione dell'Unione africana, ad Adis Abeba. Anche se è vero che si sta iniziando a discutere un progetto di esperti militari, che prevede una maggiore formazione degli ufficiali. Oltre a ciò, secondo i piani americani vi dovrebbero essere aiuti nei trasporti, nei collegamenti radio e telefonici e nel sistema dei mass media. Secondo le parole del segretario generale della Nato, le priorità devono andare innanzi tutto alla situazione in Afghanistan che per de Hoop Scheffer sta diventando sempre più "difficile e pericolosa". Ma l'eventualità di un fallimento in Afghanistan non viene presa in considerazione.

    15/06/2006

    QuadrantEuropa

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