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(5 Giugno 2010) Enzo Apicella
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“Essere comunisti” o ”essere centrosinistra”? Questo non è più un problema!

Lettera aperta a Bruno Steri

(19 Settembre 2006)

Bruno Steri, esponente di “essere comunisti”, ha chiesto alla sinistra antagonista, che scenderà in piazza il 30 settembre, di valutare le sue ragioni a favore della missione in Libano senza pregiudizi. Insomma, la posizione sua, e della sua corrente, al riguardo avrebbe poco a che vedere con “l’essere centro sinistra”. Andrebbe invece attentamente esaminato –secondo lui- il fatto obiettivo che la missione in Libano, per quanto “ambigua” e comunque portatrice di interessi europei imperialistici, è diversa dalle vere e proprie aggressioni in Afghanistan e in Iraq.

Discuteremo, naturalmente, su questa diversità, ma va prima fatto notare a Steri che anche sul rifinanziamento della missione in Afghanistan –sulla cui natura aggressiva egli non dubita minimamente- la sua corrente alla fine ha piegato la testa. E non è questo un esempio clamoroso che sul fatto obiettivo deve aver influito qualche altro fattore?

La risposta a tale domanda ha confermato quanto Steri sostiene che noi maliziosamente insinuiamo. “Essere comunisti” ha votato a favore della missione in Afghanistan, per non far cadere il governo. Ci appare quindi bizzarro che ci venga chiesto di non valutare la missione con pregiudizi. Se la richiesta di rifinanziamento della missione in Afghanistan fosse stata avanzata dal governo di centro destra, è certo che “essere comunisti” (e anche tutta RC) avrebbe votato contro.

Capisco che la posizione di un certo antimperialismo è molto imbarazzata, anche perché dà la stura a sospetti di vera e propria corruzione politica, ma non ci si può chiedere di non pensare in modo pregiudiziale soprattutto quando assistiamo a spettacoli così eclatanti di voltagabbanismo dalla sera alla mattina.

Né può esserci seriamente ribattuto che la difesa di un governo sarebbe di per sé un buon argomento, quando esso si configurasse come un argine ad una offensiva capitalistica contro i lavoratori. Il governo di cui stiamo parlando non è neppure un’ennesima mistificazione di sinistra, ma è un governo di centro sinistra, più di centro che di sinistra e con una sinistra che anche nella sua parte radicale si appresta ad abbandonare perfino la denominazione “comunista”. Il suo programma è improntato al liberismo temperato. Peggio ancora, e decisivo ai fini di questa discussione, il governo in questione raccoglie sulla missione in Libano anche il voto favorevole della destra. Questo anche è un fatto obiettivo. In sintesi e visto che i compagni come Steri ogni tanto si ricordano di essere fedeli di santo Vladimiro, siamo ben oltre “la tribuna parlamentare”, in una situazione che con un po’ di pietas mi risparmio di aggettivare.

Per aver partecipato a governi molto più dignitosi, gli antenati politici di Bruno Steri si beccarono meritatissimi epiteti che alle delicate sensibilità di oggi non sto a ricordare.

Ad ogni modo, io avanzo un altro argomento pregiudiziale. Qui in Occidente, è in voga da sempre un certo antimperialismo, che è molto radicale, quando il bersaglio è rappresentato dagli Stati Uniti o comunque da imperialismi diversi dal proprio. Quando è invece il proprio imperialismo ad essere protagonista di un’impresa, c’è sempre il modo di giustificarlo come “diverso”, “un po’ diverso”, ecc. ecc. Perfino quando il fascismo aggredì l’Etiopia, ci furono “comunisti” che improvvisamente si ricordarono che il Negus era schiavista o che l’impresa dell’imperialismo italiano povero andava ad equilibrare la plutocratica ed esuberante presenza inglese nell’area. Anche in Francia, il PCF –che poi si scatenò contro gli “americani” nel Vietnam- dovette fare molte capriole per non ostacolare la missione civilizzatrice della loro patria illuminista in Algeria.

Oserei dire che la posizione di Steri e dei suoi compagni neppure mi meraviglia. La potevamo scrivere perfino con largo anticipo. Come la nostra? Sicuramente.

Ma veniamo alla missione in Libano. La sostanza del ragionamento di Steri può essere così sintetizzata. E’ una missione improntata agli interessi imperialistici europei, ma proprio per questo si contrappone a quelli degli Usa e degli Israeliani. Peraltro, la strategia europea sarebbe di tipo finanziario mentre quella degli Usa è di tipo militare. Di tanto si sono resi conto anche i Cinesi e i Russi, nonché Hezbollah, la Siria, l’Iran e Hamas, fattisi in vario modo disponibili. Quindi, male che vada a finire la presenza europea in Libano non può essere considerata aggressiva verso gli arabi, in particolare di sostegno alle mire israeliane: tutt’al più è un pareggio.

Se ciò può essere vero, voglio supporre anche che Steri non si ritenga soddisfatto per il solo fatto che tutti gli imperialismi riescano a portare avanti i loro interessi senza danneggiarsi o senza far prevalere l’uno o l’altro. Evidentemente, egli vuole farci intendere che dal predetto equilibrio, per quanto precario e rischioso, derivi la possibilità di una maggiore libertà di azione per le resistenze popolari e per quegli stati messi sotto pressione da un imperialismo a briglie sciolte.

A tal punto, i ragionamenti da farsi sono due: il primo riguarda la possibilità che la competizione tra Usa ed Europa (con l’intrusione anche della Russia e della Cina) si risolva effettivamente in una reciproca neutralizzazione che impedisca ulteriori lesioni agli interessi delle masse arabe e anzi ne promuova, anche non volendolo, iniziative di lotta e di riscatto; il secondo deve riesaminare la scelta comunista a fronte delle contraddizioni statali e interimperialistiche.

Ora, a me pare che la presenza europea in Libano si profili finalizzata a mantenere il Medio Oriente in una posizione periferica subalterna. Se è vero che essa è il risultato di una lunga pattuizione e non di uno scontro militare (che avrebbe potuto ridimensionare gli Stati Uniti e provocare anche effetti non desiderati), è altamente improbabile che nelle trattative sia sfuggito a qualche sprovveduto il predetto fine. Sarebbe davvero impensabile che una cordata imperialista voglia limitare l’influenza dei suoi avversari in una regione, segando uno degli alberi più importanti su cui tutti alla fin fine sono seduti. Questo albero si chiama appunto subalternità del Medio Oriente. Supporre che ci potrà essere un cambiamento, perché gli europei privilegerebbero gli strumenti della presunta “nuova” penetrazione finanziaria e non quelli della “classica” aggressione militare significa affidarsi a mere congetture. A parte che proprio il wilsonismo ha introdotto la strategia della penetrazione finanziaria e che i suoi successori hanno spesso fatto ricorso all’aggressione militare quando essa non ha funzionato, gli europei –proprio perché sanno pure loro che quella strategia non sempre funziona- hanno ormai di nuovo una presenza militare diffusa in tutto il mondo. Peraltro, se residua ancora qualche dubbio sulla compenetrazione tra strategie finanziarie e militari, a fugarle ci ha pensato l’ultima esternazione di sua santità, che non ci pare possa essere considerato un crociato ad esclusivo servizio degli Stati Uniti. Volendo parafrasare il patriarca di Costantinopoli, viene da dire che c’è una coincidenza straordinaria tra le provocazioni del papa tedesco agli islamici e la missione europea in Libano.

Il fatto che la nostra presenza cerchi di favorire qualche governo alleato arabo, in garbata alternativa ad Israele, nulla toglie a questa finalità, che è intrinseca all’attuale divisione internazionale del lavoro. Solo un miracolo della natura potrebbe indurre chi usufruisce di siffatta divisione a cambiarla a suo sfavore. E’ emblematico delle intenzioni europee, il loro via libera all’aggressione israeliana ai palestinesi con l’obiettivo dichiarato di capovolgere il risultato delle elezioni che hanno portato Hamas al governo. Gli europei, prima boicottando economicamente Hamas e poi utilizzando la criminale pressione militare sionista, hanno costretto Hamas a formare un governo nazionale, che si accontenti di un bantustan palestinese. Ciò significa che Siria e Iran o il governo libanese possono sperare di ottenere una maggiore protezione contro le aggressioni degli Stati Uniti solo a condizione di sottomettersi a vincoli di responsabilità e di forte compatibilità alla divisione internazionale del lavoro. Essi possono al massimo aspirare di conquistare il ruolo dell’Egitto, con la differenza che invece di servire gli interessi statunitensi serviranno quelli europei.

In una dinamica, che vede come protagonisti gli Stati e mette la sordina alle resistenze è molto probabile che il Nuovo Medio Oriente vedrà sì un equilibrio (per un certo tempo) tra le superpotenze, ma tutto a danno delle masse sfruttate della regione. Sarebbe a dir poco strano anche il benché minimo aiuto alle popolazioni arabe nello stesso tempo in cui peggiorano le condizioni dei lavoratori europei. E ciò non è smentito dal fatto che alcuni attori statali arabi siano disponibili verso gli europei. Una disponibilità del genere potrebbe essere solo il preludio di una vecchia storia. Per dirlo in sintesi, il partito di Arafat è stato sempre disponibile, per non dire altro, verso gli europei, eppure i palestinesi hanno visto peggiorare via via la loro posizione.

Non si tratta, nel fare queste constatazioni di atteggiarsi “a più Hezbollah di Hezbollah”. A parte che noi, sostenendo la resistenza libanese, non abbiamo mai sposato il programma politico del “partito di dio”, il nostro giudizio viene confermato da organizzazioni come l’UDAP, che si oppongono alla missione in Libano e il 30 settembre scenderanno in piazza a Roma insieme con noi. E comunque, la popolazione libanese e gli stessi Hezbollah diventano ogni giorno più ostili ad una presenza militare europea che appare vistosamente sproporzionata ai compiti dichiarati. E lo diventano, sebbene debbano sopportare un ricatto molto più pesante di quello che incombe su di noi.

Quanto poi al ragionamento sull’autonomia comunista di fronte alle contraddizioni interstatali (soprattutto interimperialistiche), è il caso di ribadire qualche punto. Come dovrebbe ammettere qualsiasi persona che non sia in preda a deliri di onnipotenza, tali contraddizioni non dipendono da noi. Sono immanenti all’attuale sistema. Ai comunisti si è posto solo il dilemma di contrapporsi a tutti i contendenti, a cominciare dal proprio, oppure schierarsi con uno di loro sperando di condizionarlo, se non addirittura scavalcarlo.

La prima scelta fu fatta durante la I guerra mondiale e portò, con un po’ di pazienza, ad un ottimo risultato. E bisogna aggiungere che fu fatta a partire da un estremo isolamento degli internazionalisti, potendo contare solo sulla crescita dell’autonomia delle classi sfruttate. A qualche indeciso sembrò un azzardo di grande temerarietà, che incontrò agli inizi perfino i fischi operai.

La seconda scelta fu fatta nella II guerra mondiale. Venne giustificata, in quanto rappresentava una svolta rispetto al disfattismo rivoluzionario, con una presunta maggiore difficoltà in cui versavano i comunisti (cosa possa essere stato più difficile dell’isolamento spartachista o bolscevico nel 1914 non è ancora stato spiegato). Ebbe molti applausi, ma i risultati sono stati via via devastanti per il comunismo. Anche se molti compagni di Steri non ci credono e suppongono che Putin sia un cripto-comunista, perfino l’Urss –quella grande “maestra” di tattica nelle contraddizioni interimperialistiche- non c’è più: è crollata indecorosamente senza colpo ferire. I risultati della tattica staliniana possono sembrare positivi solo nei libri di favole “dialettiche”.

Tornando al Libano, sono d’accordo con Steri sul fatto che gli Europei vanno a fare i loro interessi e non quelli degli Usa e di Israele. Ma le masse arabe ne possono approfittare? Sì, a condizione però che non si lascino irretire nei giochi diplomatici dei loro governi o rappresentanti. A tal fine, non è necessario alzare sempre il livello dello scontro militare: in molti casi si può ricorrere transitoriamente anche alla propaganda e alla mobilitazione di massa per mantenere l’autonomia. Questo discorso vale a maggior ragione per noi che agiamo nel territorio del paese imperialista che –come dice anche Steri- va in Medio Oriente a fare i suoi interessi. Se va a fare i suoi interessi, non ci compete aiutarlo, ma contrastarlo. L’eventualità che gli scopi “ambigui” della nostra Italia non si realizzino per via di un equilibrio paralizzante del multilateralismo non sarà favorita dall’appoggio comunista al governo di centro sinistra. Anzi, un nostro appoggio alla missione incoraggerà il governo a perseguire maggiormente i suoi interessi e, peggio ancora, a farne pagare più pesantemente i costi ai nostri lavoratori in un clima di crescente sciovinismo “pacefondaio” e di ostilità verso chi rompe la solidarietà nazionale con scioperi e richieste “eccessive”.

Al contrario, il nostro contrasto qui aiuterà la resistenza in Medio Oriente ad essere più politicamente radicale e meno esposta ai ricatti o alle sirene degli europei tradizionali amici degli arabi. E aiuterà i lavoratori italiani quanto meno a non fidarsi di un governo che –almeno questo mi sarà concesso da Steri- non è il loro governo.

Non vedo come si possa ragionare diversamente, soprattutto se non si dimentica cosa ha significato lo storico aiuto europeo ai palestinesi, per non parlare di quello ai Serbi (sul quale anche Milosevic confidò in un primo momento). A meno che la concessione di Steri sulla natura e gli scopi della missione europea sia meramente formale. Solo arguendo infatti che gli europei siano imperialisti in maniera più blanda degli statunitensi, siano cioè disposti a contrattare un po’ più equamente lo scambio di materie prime con gli arabi o a tollerare regimi più permissivi e più sociali, si può azzardare che la loro missione attraversi la cruna dell’ago. In base a quanto abbiamo visto nell’ultimo secolo, questa ipotesi può essere fatta solo in un romanzo di Isaac Asimov. Personalmente, sono convinto che però molti compagni di Steri pensano esattamente che l’Europa sia più sociale degli Stati Uniti e lo sia quindi anche nel rapporto con le periferie del mondo. Non esplicitandolo nel suo articolo, Steri rende il suo discorso solo molto più faticoso o al più caratterizzato dal tatticismo esasperato tipico del politicismo in cerca di un ruolo di sinistra a tutti i costi nelle stanze del potere.

Ammetterà egli che in ogni caso è quanto mai temerario venirci a raccontare che la missione italiana è imperialistica (o non ho capito bene?), che quindi il governo italiano è imperialista (logica deduzione?!) e nel contempo volerci far credere che tuttavia tre o quattro comunisti possano collaborare all’interno di questo governo per favorire la causa delle masse arabe oppresse e ipersfruttate. Una volta l’impudenza logica cercava quanto meno di mistificare la premessa.

PS. Steri ha citato come buon segno di questa missione la nota intenzione di Prodi e di D’Alema di continuare la politica di Andreotti e Craxi. E’ probabile, ma non ricordo che ai comunisti sia mai venuto in mente di imbarcarsi con loro in un governo o peggio di sostenere le loro missioni “filoarabe”. Non vedo ragione perché lo si debba fare oggi con gente che molto ipoteticamente può essere considerata “filoaraba” e condannerebbe –come in effetti ha condannato con “mani pulite”- la decisione di Sigonella come un pericoloso sgarro contro la Casa Bianca.

Silvio Serino

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