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(3 Ottobre 2006)
Il ritiro della delibera che apriva le porte alla gara d’appalto per la cessione ai privati della gestione del servizio idrico integrato nelle province di Napoli e Caserta ha rappresentato una battuta d’arresto del processo di privatizzazione – risultato senz’altro importante strappato dai movimenti che per due anni si sono opposti a quest’ennesimo esproprio padronale.
Da allora, ovviamente, i privatizzatori non si sono arresi.
Ad oggi rimangono in piedi due strade: rispetto alla via maestra della cessione ai privati, a lungo perseguita da Bassolino e trasversalmente dalle forze tanto di centrodestra che di centrosinistra, si fa strada ora l’ipotesi della costituzione di una società per azioni inizialmente a capitale totalmente pubblico: una politica dei due tempi, che intende imporre sin d’ora al settore la logica aziendalistica, con la copertura del pubblico e di una nuova concertazione, per poi aprire ai privati successivamente, quando, tra l’altro, il settore, adeguatamente ristrutturato, si sarà confermato appetibile e remunerativo.
La prima conseguenza sarà l’ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro, con le ennesime esternalizzazioni, come ci insegnano i dieci anni di privatizzazione nel paese.
Ciò in un quadro nel quale il governo Prodi, col d.d.l. Lanzillotta impone la compiuta cessione ai privati dei servizi pubblici, secondo i principi della “libera concorrenza” e della “libertà d’impresa”, impedendo di fatto la stessa partecipazione degli enti pubblici nelle forme delle s.p.a.
E’ il punto di arrivo di un processo non a caso inaugurato dal centrosinistra alla metà degli anni Novanta, con le riforme Bassanini e il Testo Unico sugli Enti Locali, che decretavano la fine delle “municipalizzate” e inauguravano l’aziendalizzazione del settore, dando inizio alla stagione delle società miste e delle partecipate.
Oggi il cerchio si chiude, e se il d.d.l. Lanzillotta sostiene di salvaguardare la “gestione pubblica” dei servizi idrici, è solo perché prospetta un pubblico totalmente aziendalizzato, aperto, tra l’altro, alla cooptazione di quei dirigenti e “esperti” delle reti nazionali (a partire dal Contratto Mondiale per l’acqua) che hanno già dichiarato la piena subalternità al “governo amico”.
Tantoppiù è necessario oggi opporsi tanto alla logica privatistica delle società per azioni, “pubbliche” e private che siano, che alle ipotesi neocorporative che, sotto la bandiera di una supposta “partecipazione dal basso”, in realtà prospettano l’ingresso, nei vari consigli di amministrazione e quant’altro, dei rappresentanti della cosiddetta “società civile”.
Non a caso l’ideologia della società civile, nel suo preteso interclassismo, ignora la banale differenza di sfruttatori e sfruttati.
Questo significa, però porre con forza la questione di una municipalizzazione dei servizi fondata su una partecipazione vera e di massa: sul controllo da parte dei lavoratori e delle popolazioni dei territori.
Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori-Sezione provinciale di Napoli
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