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(13 Settembre 2010) Enzo Apicella
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(Flessibili, precari, esternalizzati)

Il precariato in piazza

Un ragionamento a ridosso della manifestazione indetta dall Rdb/CUB

(3 Ottobre 2006)

un solo fulmine non significa, necessariamente, che l’inverno sia iniziato ma ci ricorda che sta iniziando a piovere.

Venerdì 6 Ottobre migliaia e migliaia di precari risponderanno alla chiamata allo Sciopero di settore, indetto dall’RdB/CUB, e, nella mattinata, una grande manifestazione nazionale è annunciata per le strade di Roma.

Non è la prima volta che le varie figure sociali, prodotto e conseguenza della gigantesca ristrutturazione che ha investito l’intero mercato del lavoro, in Italia come altrove, scenderanno in piazza per protestare contro l’insostenibilità della loro condizione di lavoro, per reclamare nuovi diritti ed un reddito/salario vero e dignitoso.

Nel recente passato le varie May Day, le iniziative della Rete per il Reddito ed i Diritti ed alcune significative vertenze territoriali (Atesia, la lunga ed articolata lotta per il lavoro nell’area napoletana, i precari di Palermo, alcune importanti vicende che hanno visto protagonisti i migranti ed il loro rapporto di subordinazione verso quella particolare forma di sfruttamento/differenziazione che abbiamo definito “razzismo d’inclusione”) hanno contribuito a rompere il pesante silenzio che avvolgeva questa dimensione sociale proiettandola, di fatto, al centro dell’attenzione politica del paese.

Non è un caso che l’ultima campagna elettorale ha registrato tra le tematiche più, demagogicamente e strumentalmente, agitate il tema della precarietà e della flessibilità del lavoro. Non è stato un caso che tutti i partiti dell’Unione, anche quelli che caratterizzano e sintonizzano, prioritariamente, il loro programma sui temi e le esigenze dei poteri forti del capitale, hanno agitato e propagandato la necessità di una revisione delle politiche di precarizzazione del lavoro e della vita.

Alcuni, poi - i partiti della cosiddetta “sinistra radicale” - hanno sbandierato l’intenzione di abrogare totalmente la Legge 30 ed il complesso dei provvedimenti legislativi che, negli ultimi anni, hanno, ulteriormente, contribuito alla deregolamentazione ed alla destrutturazione del lavoro, dei diritti.

A distanza di poco più di 100 giorni dall’insediamento del governo Prodi il messaggio e gli atti concreti che arrivano sono di tutto un altro segno. Le misure legislative finora approvate, quelle che si annunciano sono incardinate ad una linea di condotta economica e sociale attenta, esclusivamente, al risanamento dei conti dell’Azienda/Italia ed all’adeguamento strutturale del capitalismo tricolore alle nuove sfide della competizione globale imperialistica.

La recente Legge Finanziaria, l’avvio dello scippo del TFR, il completamento dell’assalto finanziario e speculativo al sistema pensionistico e previdenziale sono indirizzati a tranquillizzare i mercati finanziari, le loro istituzioni sovranazionali assicurando, nel contempo, l’osservanza alle compatibilità economiche sancite dalla vigenza dei trattati e dei patti internazionali.

Certo il governo Prodi sta manifestando una capacità d’azione e di gestione più articolata di quello precedente di Berlusconi. Fin dal suo esordio, per meglio accreditare la propria immagine, l’esecutivo dell’Unione ha prodotto un articolato mix di misure propagandistiche e simboliche, come quelle contro la categoria dei tassinari o la presunta nuova tassazione dei “ceti medi” con il dichiarato scopo di accreditarsi, tra le fasce dei lavoratori, come un “governo equo e/o amico”.

Tutto ciò, naturalmente, si è intrecciato con la continuazione della pluridecennale opera di smantellamento di ciò che residua dello “stato sociale” e della vecchia rigidità del lavoro con molti provvedimenti che faranno avvertire i loro rovinosi effetti nel medio periodo.

Questo intelligente metodo di governo di Prodi punta ad un duplice scopo: accattivarsi il gradimento dei mercati circa le proprie intenzioni antisociali e predisporre la difesa della competitività complessiva del sistema delle aziende prevenendo, per tempo, qualsiasi opposizione di carattere sindacale. Una capacità – questa di Prodi and company – già testata, nelle scelte di politica internazionale di questa estate, con il rinnovato interventismo bellico in Medio Oriente e l’invio delle truppe italiane in Libano sotto la mistificante bandiera dell’ONU e dell’imperialismo europeo.

Riprendere il dibattito, riprendere l’iniziativa:

Durante l’estate, sulle colonne del quotidiano “il Manifesto” si è svolto un dibattito (..aperto, naturalmente, solo alle solite firme note e non agli aggregati di lotta di lavoratori e precari) sul tema di quale lotta possibile per il Reddito/Salario. Tutta la discussione, pur essendo motivata da nobili interrogativi al fine di meglio qualificare una battaglia politica generale, si è arenata in una contrapposizione ideologica tra i sostenitori del Reddito e quelli del Salario (garantito e/o di cittadinanza).

L’intera articolazione degli interventi ha risentito, anche inconsapevolmente, delle diverse scuole teorico/politiche di provenienza e non ha saputo relazionarsi adeguatamente con le difficoltà, oggettive, che tutti assieme riscontriamo sul terreno concreto dell’autorganizzazione delle varie figure del precariato.

Ancora una volta, un’altra occasione che poteva servire ad elaborare un pensiero politico a sostegno della ripresa di un movimento di massa, è impattata con una sorta di richiamo della foresta verso i propri rassicuranti e comodi lidi ideologici.

Tristi approdi oramai incapaci di confrontarsi e relazionarsi con una dinamica sociale - come il tema della precarietà - complessa e contraddittoria in molte sue manifestazioni fenomeniche. Del resto, a pochi mesi dall’apice di una formidabile stagione di lotte giovanili, vissuta in Francia nei mesi scorsi, non siamo ancora stati in grado di realizzare un compiuto bilancio politico da capitalizzare in maniera feconda e non meramente sociologica nelle battaglie e nelle vertenze in cui, comunemente, agiamo.

In tale situazione – in questo scorcio d’inizio autunno - l’annunciata iniziativa dell’RdB/CUB segna, inequivocabilmente, un punto politico di merito da incoraggiare e da valorizzare. Al di là della condivisione integrale o meno della piattaforma programmatica che la sostiene, questa iniziativa di piazza rappresenta la prima manifestazione di massa contro il governo Prodi ela sua politica economica e prepara le condizioni più adatte allo Sciopero Generale Nazionale dell’intero Sindacalismo di Base contro la Finanziaria. Inoltre il corteo di Roma, del prossimo 6 Ottobre, non vuole essere un momento estemporaneo o di pura e rituale rappresentazione. Questa manifestazione è, anche, il prodotto ed una prima sintesi/verifica di un paziente e diffuso lavoro di agitazione, propaganda ed organizzazione di questo variegato settore sociale che è in svolgimento nei vari territori e che necessita di un coordinamento e di una socializzazione più stabile ed efficace

Lavoratori precari degli appalti pubblici, addetti alle Società Multiservizi e/o Miste, lavoratori delle Cooperative e del cosiddetto privato/sociale, giovani impegnati nelle Borse/Lavoro, nei Tirocini, nell’ ex Articolo 23, precari della Scuola, della Sanità, del Parastato, degli Enti Locali, dei servizi appaltati ed esternalizzati, precari dei Call Center, della Grande Distribuzione, varie figure di corsisti e lavoratori ancora LSU/LPU – tutti assieme - sciopereranno e manifesteranno per l’abolizione della Legge 30, contro il Pacchetto Treu, per la stabilizzazione di tutti i rapporti di lavoro, finora dispersi e frammentati, e per il diritto ad un salario adeguato al carovita crescente.

Di queste figure cosiddette atipiche, che corrispondono ad uomini e donne in carne ed ossa, sarà animata la piazza romana del 6 Ottobre che chiederà di esporre pubblicamente le proprie ragioni sociali ed i propri obiettivi al Ministro del Lavoro, Damiano e della Funzione Pubblica, Nicolais.

Non daremo alcuna tregua a Prodi ed al Governo dell’Unione. Lavoriamo, anche con il sostegno e la partecipazione attiva a questa giornata di lotta, per l’estensione e l’unità delle vertenze, per la loro generalizzazione all’intero universo dello sfruttamento capitalistico respingendo, nei fatti, ogni suggestione neo/riformistica. Consideriamo, alla luce della situazione politica e del corso della crisi, il dato politico dell’autonomia e dell’indipendenza dei movimenti sociali un fattore costitutivo del nostro agire politico, sociale e sindacale. Questa convinzione, non è uno sterile esercizio di fede, ma è una pratica quotidiana che difenderemo da qualsivoglia effetto depotenziante e normalizzatore che dovesse propagarsi da quella autentica intossicazione che abbiamo definita sindrome del governo amico.

NOTA A MARGINE SULLA DISCUSSIONE SVILUPPATA DA IL MANIFESTO

Come si è detto l’intera discussione è stata sostanzialmente monca per l’incapacità di interagire con le dinamiche sociali esplicite e su ciò che si potrebbe intravedere nel prossimo periodo. Comunque il dibattito espressosi ha riproposto – ossessivamente – da parte di molti intervenuti l’abusata categoria del “postfordismo” con la conseguente proposta della “flexsecurity” (ossia una serie di norme e di leggi alcune anche di dimensioni individuali, a difesa di questo universo cognitario il quale, sostanzialmente, può convivere tranquillamente con l’attuale sviluppo delle forze produttive ed i suoi ordinamenti statuali). Ancora una volta il “postfordismo” viene, strumentalmente, inteso come paradigma unico ed assorbente con cui leggere la moderna composizione di classe e le sue continue modificazioni. A questo proposito cito, condividendola appieno, la chiusa dell’articolo di Ferruccio Gambino e Fabio Raimondi (rintracciabile su htpp: it.groups.yahoo.com/group/marxiana) che mi sembra politicamente sensata e rispondente alla natura ed alla realtà delle contraddizioni in atto “…la categoria del post/fordismo ha reso più difficile di quanto già non fosse la messa a fuoco dell’aumento in atto dei posti di lavoro a ritmi vincolati. Ciò che vediamo estendersi è un controllo sui tempi e l’intensità di lavoro sempre più capillare e che sempre più investe le nuove tipologie lavorative. Per questa ragione è sul lavoro, con le sue modalità in parte “vecchie” ed in parte “nuove”, che devono essere incentrati inchieste e dibattiti, e non sulla categoria di “vita” che rischia di sfumare le differenze di classe, rendendole indistinte. Se infatti ogni attività diviene produttiva di valore, il capitale, produttore di precarietà (oltre che di profitti), pare configurarsi come una totalità, un orizzonte in trascendibile che può essere, tutt’al più, regolato in parte”.

Michele Franco (Collettivo RED LINK)

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