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Rachel Corrie vive

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(5 Giugno 2010) Enzo Apicella
E' arrivata al largo di Gaza la nave Rachel Corrie, intitolata alla pacifista americana assassinata dai soldati israeliani nella striscia di Gaza nel 2003

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Intervista ad Alì Fayyad

direttore del Centro consultivo per gli studi strategici e la documentazione di Hizbullah

(7 Ottobre 2006)

Intervista apparsa sui Quaderni speciali di Limes n°4/2006

L: Qual è il rapporto tra il vostro centro ed Hizbullah?
Fayyad: Il centro che dirigo è un istituto creato dal partito per approfondire la ricerca e gli studi in ambito strategico, politico, sociale e culturale. Siamo dotati di una ricca banca dati di un archivio mediatico aggiornato e ci avvaliamo dell’esperienza di esperti che conducono immagini, sondaggi d’opinione, analisi che poi vengono utilizzate dai vertici del partito per definire la sua politica.

L: Hizbullah si considera vincitore dell’ultima guerra. Perché?
Fayyad: Dal punto di vista militare è evidente: gran parte delle nostre infrastrutture è rimasta intatta e Israele non è riuscito ad annientarci come voleva. Dal punto di vista politico oggi si parla di negoziati per liberare i nostri prigionieri detenuti nelle carceri nemiche e anche la questione dei territori occupati da Israele, come le fattorie di Sheeba, è ormai inserita nell’agenda delle trattative. I nostri due obiettivi principali sono oggi più vicini. Inoltre abbiamo vinto dal punto di vista mediatico e della popolarità nel mondo arabo-islamico: le società dei vari paesi della regione sono oggi più coscienti della possibilità di costringere il nemico alla resa e questi popoli sono ora più pronti a esercitare pressioni sui loro stessi governanti. E’ un buon risultato per noi.

L: Più volte il segretario generale di Hizbullah ha detto che se anche Israele si ritirasse dalle fattorie di Sheeba, il Partito non rinuncerà al suo arsenale perché “la minaccia strategica nemica non diminuirà”. A cosa servono le vostre armi?
Fayyad: Per ora non c’è stato alcun ritiro dalle Fattorie. Per il momento la resistenza continua a mantenere le armi per la liberazione delle terre libanesi occupate e per la restituzione dei nostri prigionieri. Ma anche quando questi due obiettivi saranno raggiunti, non rinunceremo a difendere il paese. Lo stato ebraico minaccia la sovranità del Libano e da sempre intende assicurarsi il controllo delle risorse idriche del Sud, quelle che scendono verso la Palestina occupata. Noi vogliamo evitare che il nemico possa aggredirci ogni volta che vuole. Su questo punto siamo d’accordo con tutte le forze politiche libanesi. Prima della guerra stavamo definendo con loro una strategia di difesa comune proprio per faer fronte all’atteggiamento ostile di Israele. Secondo noi lo stato ebraico è per sua natura aggressivo e tenterà sempre di minacciare il nostro paese, di dividerlo, di destabilizzarlo. Anche nell’ultimo conflitto ha cercato in ogni modo di riportarlo sull’orlo della guerra civile.

L: La risoluzione 1701 dell’ONU rinnova l’invito al disarmo delle milizie non appartenenti all’esercito regolare libanese. Cosa intendete fare?
Fayyad: Rispetteremo la 1701 e gli impegni presi dal governo libanese di cui siamo parte. Va detto però che il compito delle forze internazionali che vigileranno sulla 1701 è quello di assicurare che Israele si ritiri dai nostri territori, che la Linea blu( confine tracciato nel 2000 tra Israele e Libano) venga rispettata non solo a terra ma anche nei cieli e sui mari.Per il momento queste due condizioni non sono rispettate da Israele. Nella 1701 viene specificato che i militari dell’Unifil dovranno affiancare l’esercito libanese nell’operazione di consegna delle armi non appartenenti alle forze regolari di Beirut. La questione è quindi fra la Resistenza e l’esercito libanese. Con questo la Resistenza si coordina in piena armonia, così come i vertici politici del partito sono in contatto costante con le altre forze politiche del paese.

L: Ma c’è chi dice che invece ora chiedete di contare di più in Libano dal punto di vista politico . E’ vero?
Fayyad: Assolutamente no. Chi conosce la nostra storia sa che più cresciamo in termini militari e di popolarità e più siamo disposti a concessioni sul piano interno. Quando nascemmo negli anni Ottanta eravamo ancora deboli eppure parlavamo di Stato islamico. Da anni abbiamo abbandonato questo progetto eppure oggi siamo più forti. Oggi lavoriamo per la costruzione di uno stato fondato sulla giustizia sociale in cui ogni cittadino abbia gli stessi diritti e doveri, al di là della sua appartenenza professionale, in cui venga ripristinato il rapporto di fiducia e reciproca assistenza tra governato, in cui il valore supremo sia la cittadinanza libanese e non l’identità etnica o religiosa. Uno stato in cui il presidente della repubblica sia scelto direttamente dal popolo non in base al suo essere cristiano o musulmano ma in base ai suoi meriti riconosciuti.

L: Comunque la comunità sciita, che costituisce la vostra base popolare, ha la maggioranza relativa nel paese.
Fayyad: Il Libano è un paese di minoranze e il suo equilibrio è assicurato da un sistema elettorale che non consente a nessuna comunità di prendere il sopravvento sulle altre. Non intendiamo certo alterare questo equilibrio né monopolizzare il potere. Non intendiamo fare un colpo di stato, ma proponiamo di passare a un sistema elettorale su base proporzionale, in modo da dare la giusta rappresentanza anche alle piccole formazioni e alle minoranze più esigue, per evitare la concentrazione dell’autorità nelle mani di pochi.
F: E’ vero che Hizbullah segue l’agenda di Theran?
Fayyad: Nessuno nasconde che L’Iran è un nostro forte alleato: Questo nion significa che siamo sottomessi alla volontà di Theran. E’ un’alleanza strategica perché sia noi che loro ci opponiamo alla politica di Israele e degli Stati Uniti nella regione. Noi rimaniamo una forza libanese indipendente.

L:Credete che questa guerra abbia a che fare col confronto più ampio tra Stati Uniti e Iran?
Fayyad: Senza dubbio gli Usa tentano di indebolire gli alleati regionali dell’Iran e lo fanno anche attraverso Israele. E’ stata la nostra guerra, ma nell’ottica di Washington può essere un passo intermedio in vista della battaglia finale contro Theran. Anche in questo senso vanno lette le pressioni americane nei confronti della Siria, altro alleato importante dell’Iran.

L: In che modo il vostro alleato iraniano vi ha sostenuto in questa guerra? Vi ha fornito armi?
Fayyad: L’Iran ci ha aiutato a livello politico e a livello materiale, fornendo sostegno alle nostre organizzazioni sanitarie e sociali per far fronte all’emergenza durante l’aggressione. Quanto alle armi, è un diritto della Resistenza cercare sostegno presso i propri alleati. Israele viene rifornita dai suoi alleati, così noi. Ma di certo nessuno rivela l’origine dei rifornimenti.

L: E la Siria?
Fayyad: Damasco è il nostro altro importante alleato nella regione: Ma, lo ripeto, alleanza non vuol dire sottomissione: La Siria ha aiutato il Libano a livello diplomatico, politico e sociale. Ha ospitato centinaia di migliaia di sfollati nel suo territorio.

L: I vostri missili sono arrivati via Siria?
Fayyad: Ribadisco che è nel diritto della Resistenza ricorrere a ogni mezzo per resistere all’aggressione israeliana. Circa la fonte del nostro arsenale, non intendiamo rivelare alcun particolare. Non è stato fatto in passato, non intendiamo farlo oggi.

L: Si discute dell’opportunità di dispiegare unità dei caschi blu lungo il confine siro-libanese per evitare l’afflusso di nuove armi ad Hizbullah. Cosa ne pensa?
Fayyad: Si tratterebbe di una chiara violazione della sovranità libanese e di un modo per cercare di mettere ulteriormente in crisi le relazioni tra i due paesi. Il Partito di Dio rifiuta questa proposta e non la considera praticabile. Le autorità libanesi sono in grado con quelle siriane di risolvere la questione senza l’intervento di forze straniere che finirebbero per servire solo gli interessi americani e israeliani.

L: Qual è il Medio Oriente immaginato da Hizbullah, da contrapporre a quello proposto dall’attuale amministrazione americana?
Fayyad: Gli Stati Uniti, assieme a Israele, vogliono soltanto eliminare i loro nemici nella regione col pretesto di diffondere la democrazia e di lottare contro il terrorismo.. Noi lavoriamo per una regione in cui i popoli possano vivere in pace, nella stabilità, senza il dominio straniero, senza che l’Occidente impedisca il loro sviluppo o che tenti di dirigerli verso un finto benessere solo per soddisfare i propri interessi. Non immaginiamo un Medio Oriente islamico, come alcuni sostengono, ma una regione in cui sia rispettato il principio di autodeterminazione dei popoli.

L: In concreto cosa significa? Né la Giordania, né la Siria né l’Iraq di ieri e di oggi rappresentano un modello di questo Medio Oriente. Come pensate che la realtà possa mutare?
Fayyad: E’ vero il mondo arabo dalla caduta dell’impero ottomano si trova prigioniero di una forte contraddizione: da una parte c’è l’appartenenza alla nazione araba, dall’altra la divisione in Stati. Lo Stato moderno è stato imposto alla regione e da allora ci troviamo a ragionare in termini “arabi” ma anche di “giordani”, “libanesi”, “siriani”, “iracheni”. Dobbiamo accettare la realtà e sperare che nel futuro si possa arrivare a un processo politico simile a quello che è avvenuto in Europa con l’Unione Europea, ma con le dovute differenze. Perché non si possono innestare delle esperienze storiche in terreni che hanno vissuto un altro percorso di civiltà. Svilupperemo la nostra forma di democrazia che è senza dubbio diversa da quella che intendete voi in Europa: per noi, democrazia è attuare quel che desidera il popolo. Romperemo così le catene delle dittature e ristabiliremo il rapporto di fiducia tra autorità e governati. Riusciremo a opporci alle influenze neocoloniali e potremo uscire dall’attuale crisi dello sviluppo.

L: Qual è la vostra soluzione alla questione palestinese?
Fayyad: Fino ad oggi soltanto la Resistenza armata ha pagato nella lotta per restituire ai palestinesi i loro diritti legittimi. Né le risoluzioni dell’ONU né le garanzie offerte dalla comunità internazionale sono servite a ridare la terra ai palestinesi. Noi crediamo, forti della nostra esperienza, che l’unico modo per costringere Israele al ritiro sia quello di arrivare ad un equilibrio strategico con il nemico. Questo è certo difficile oggi in Palestina, ma per il momento non vi sono altre scelte.

L: Quale Palestina immagina Hizbullah?
Fayyad: Un unico stato nei confini della Palestina storica, venutasi a creare con le ultime divisioni amministrative ottomane: dalla Galilea al Negev, dal Giordano al Mediterraneo. Uno stato multiconfessionale in cui vivano assieme i palestinesi di ogni confessione e appartenenza: musulmani, cristiani ed ebrei: Uno stato democratico in cui tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.

L: E che ne sarebbe dell’attuale Stato d’Israele?
Fayyad: Accetteremo soltanto uno Stato chiamato Palestina. E poi non è detto che la situazione sul terreno sia immutabile. Chi lo avrebbe detto, ad esempio, che il regime di apartheid in Sudafrica potesse essere smantellato?

Quaderni speciali di Limes n°4/2006

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