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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Perché il 4 novembre bisogna esserci

(23 Ottobre 2006)

“Una Finanziaria seria deve scontentare tutti. Questa lo fa. Ci criticano la Confindustria e i sindacati. Vuol dire che vogliamo aggiustare i conti dello Stato in modo sbilanciato. Va bene, va bene, va bene.” Le parole di Prodi riportate oggi su Repubblica ci ricordano quel tale che, buttatosi dall’aereo e accortosi che il paracadute non si apriva, commentò: “Così arrivo prima”. Certo, fare dei propri fallimenti una bandiera può essere un’ottima tattica dal punto di vista retorico, ma non cancella le conseguenze materiali di quei fallimenti.

Montezemolo ha fatto ieri un’analisi assolutamente condivisibile della Finanziaria 2007: “al di là degli specifici provvedimenti che hanno riguardato questo o quel settore ed anche al di là della valutazione puramente aritmetica di chi ci guadagna o ci perde manca di anima e di visione. Pretende di raggiungere contemporaneamente una quantità di obiettivi e rischia di mancarli tutti”. E’ un giudizio che può essere generalizzato alla natura di un governo costruito sull’asse con Confindustria e il grande capitale ma, tanto più in seguito al deludente risultato di aprile, costretto ad ammiccare non solo ai sindacati e alla base elettorale operaia della sinistra ma, al contempo, anche al cosiddetto ceto medio e quella piccola e piccolissima borghesia che costituiscono lo zoccolo duro del berlusconismo. Un’operazione interclassista che non ha alcuna possibilità di successo, in particolare in una fase economica segnata da una grave crisi produttiva e finanziaria mondiale, che si ripercuote pesantemente sulla capacità redistributiva del Governo. Risultato: si scontenta Montezemolo, in parte perché avrebbe voluto di più e in parte perché è anche lui pressato dalla sua componente lombardo-veneta e si scontenta quest’ultima, che già si vede sfavorita rispetto ai grandi player dell’economia globale e per di più si percepisce (talvolta con una qualche dose di ragione) come vittima sacrificale del patto tra Prodi e la grande industria. Si scontenta il capitale finanziario internazionale, ansioso di penetrare nei mercati italiani per scaricarvi le proprie contraddizioni e che invece di trovare la porta spalancata le trova socchiusa, col rischio di prendere qualche facciata (vedi Autostrade). Si scontentano infine i lavoratori e i ceti popolari, i quali, nonostante la buona volontà del sindacato nel gettare acqua sul fuoco, si rendono perfettamente conto (e i sondaggi ne rappresentano l’espressione statistica) che ancora una volta saranno loro a dover tirare la cinghia e alcuni settori (inferiori) della classe media che per la prima volta si trovano spinti dalla crisi sull’ orlo del baratro e percepiscono la scure dell’insicurezza sociale anche su di sé. Da un certo punto di vista si riscontrano due situazioni assolutamente simmetriche. Sindacati dei lavoratori e sindacati padronali cercano di sopire le lamentele provenienti dalla propria base e sono “costretti” a girarle a un governo che sente tremare entrambe le proprie gambe. La differenza sta nel fatto che i secondi tradizionalmente soffrono molto di meno la cosiddetta sindrome del governo amico.

La prospettiva – salvo imprevisti sempre possibili – presenta incognite non sul se ma sul come e sul quando Prodi verrà travolto dalle proprie contraddizioni. L’abbassamento del rating è il risultato di un vero e proprio “sondaggio” sul tasso di gradimento del governo nell’ambito dei mercati finanziari internazionali. Salvo l’improbabile irruzione in soccorso di Prodi di un nuovo ceto sociale, al di fuori di quelli nominati sopra, rimane appunto soltanto da domandarsi quanto durerà l’agonia. In questo senso l’intervento in termini contrattualistici nella discussione emendativa sulla Finanziaria è un aspetto che può avere qualche rilevanza sul piano economicistico ma in realtà riveste un interesse soprattutto dal punto di vista della definizione dei futuri assetti politici. Come sempre è attraverso la “lotta di classe” che si definiscono i rapporti di forza tra i vari soggetti in campo, non attraverso le alchimie parlamentari, che semmai ne rappresentano un sottoprodotto. In questosenso il modo in cui si sta muovendo Berlusconi, coniugando iniziativa di piazza, spot e mediazione politica, denuncia una impostazione ortodossamente marxista della politica. E proprio per questo la manifestazione organizzata dalla sinistra più o meno antagonista per il 4 novembre, Stoprecarietàora, che parte dalla richiesta di cancellazione delle tre leggi simbolo varate dal precedente governo (Legge 30, Bossi-Fini, Moratti), ma finirà inevitabilmente per mettere i piedi nel dibattito sulla Finanziaria, rappresenta per i lavoratori e i ceti popolari un’ occasione importante. Non tanto – come dicevo – per emendare un provvedimento che è inemendabile, perché non rappresenta – come qualcuno vorrebbe raccontarci – una sorta di casa a cui manca il tetto, quanto piuttosto un tetto a cui manca la casa (e dunque pericolante). Ma piuttosto per cercare di evitare che gli unici protagonisti della definizione dei nuovi assetti di potere in Italia siano i padroncini di Vicenza e gli ordini professionali, le banche d’affari e le agenzie di rating, neonominatisi “volenterosi” di ogni risma e – ancora una volta - Confindustria. Peggio ancora di consegnare la bandiera dell’ opposizione sociale a Berlusconi, regalandogli anche gente nostra (Qualcuno si è accorto che alla manifestazione romana dei professionisti c’erano anche gli infermieri professionali?). Come ho già detto in più sedi vedo e continuo a vedere come esito più probabile (anche se non privo di difficoltà) la realizzazione di un’ipotesi di larghe intese alla tedesca, perché mi sembra la più funzionale a garantire una corrispondenza reale tra la situazione sociale del paese e la sua rappresentazione politico-istituzionale e su ciò – piaccia o non piaccia – non vedo grosse possibilità di intervenire, né d’altro canto mi sembra tanto più catastrofica del bipolarismo. Il punto è che non è privo di implicazioni per il futuro il fatto che tale scenario venga semplicemente “subito” dal movimento operaio e dalle sue rappresentanze politiche e sociali o se queste forze invece siano in grado di intervenirvi giocandovi un ruolo attivo. Nel primo caso sarebbe l’ulteriore conferma della propria subalternità rispetto ad interessi altri, nel secondo significherebbe rivendicare comunque una propria autonomia politica e porre più solide premesse per affrontare la fase successiva, qualunque essa sia e in ogni caso più probabilmente una fase di opposizione. In altre parole se tutti coloro che oggi – più o meno esplicitamente – elevano improperi nei confronti di Prodi e gli augurano di andare al diavolo si limitassero ad affidare la realizzazione dei propri desideri più o meno inconsci a Berlusconi e ai già citati padroncini di Vicenza, sarebbe una vera e propria tragedia.

Da questo punto di vista la manifestazione del 4 novembre può essere o un semplice sfogatoio che alcune organizzazioni della sinistra politica e sociale mettono a disposizione dei propri iscritti e simpatizzanti perché – vista la situazione – “ci tocca” oppure una palestra per sperimentare e misurare relazioni, forze, parole d’ordine e anche per cominciare ad abbozzare qualche progetto per il futuro. Nonostante le contraddizioni, gli imbarazzi, le reticenze e i tentativi di svicolare che si stanno manifestando nel composito arco di forze che la ideò in quel “lontano” 8 luglio (che ci sono e non si può far finta di non vedere). Mandando in questo modo un segnale a tutti gli altri soggetti in campo e cioè che nonostante tutto – comprendendo in quel tutto purtroppo anche noi stessi - ci siamo, ci siamo ancora. E abbiamo intenzione di continuare a esserci anche nei prossimi anni. Oltre ai “volonterosi” con gli occhiali spessi e la frangetta impeccabile, sempre pronti ad alzare la mano per mettersi in bella mostra, ci sono anche e ancora i “cocciuti” a cui non interessa tanto gestire l’ esistente quanto rovesciarlo. In questo senso, purchè si esca dalla logica per cui Stoprecarietàora deve astenersi dal discutere al suo interno e rimanere fossilizzata sulla mediazione raggiunta con la piattaforma di luglio (pena la perdita di pezzi), forse vale la pena di far sì che la rete delle organizzazioni promotrici si consolidi per quanto possibile e si dia una struttura (nazionale e locale) in grado di andare anche oltre la manifestazione del 4 novembre.

21 ottobre 2006

Marco Veruggio

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