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(29 Ottobre 2006)
“Imbrattata ancora una volta la Foiba di Basovizza dove è ancora aperto il cantiere per il rinnovamento del sito”, leggiamo sul “Piccolo” del 18/10/06, e più avanti: “l’atto vandalico ha subito provocato la reazione del presidente provinciale di AN Gilberto Paris Lippi” (Lippi, lo ricordiamo, è anche vicesindaco del Comune di Trieste). Leggiamo poi che Lippi si è dichiarato “sconcertato e allibito di fronte alla notizia che alcuni vandali hanno nuovamente imbrattato il cippo dei Volontari (…) con la scritta in vernice nera, Ozna, con la stella rossa, falce e martello, hanno rimarcato la loro mancanza di coraggio”; seguono altre affermazioni del vicesindaco che accusa i “vandali” di “viltà e vigliaccheria” e di essere “capaci di comunicare le loro idee” solo con “l’atto vandalico”, ed in tal modo “oltraggiano il ricordo dei nostri cittadini e danneggiano contemporaneamente il patrimonio comune”; inoltre Lippi stigmatizza la “mancanza di cultura” dei “vandali”, di quella “cultura che oggi ci induce ad intraprendere un percorso che porti il nostro Paese verso una memoria condivisa e non ad una costante dimostrazione di intolleranza, risentimento e violenza”.
Stanti queste affermazioni di Lippi contrarie ad “intolleranza, risentimento e violenza”, auspichiamo che quest’anno il nostro rappresentante istituzionale si astenga dal festeggiare la ricorrenza della marcia su Roma, come era invece uso fare in un passato neanche tanto remoto. Del resto è proprio da alcune sue dichiarazioni a proposito della serata di festeggiamenti (pubblicate sul “Piccolo” del 31/10/00) che possiamo forse comprendere meglio il concetto di memoria condivisa propugnato dall’oggi vicesindaco ed allora consigliere regionale:
“Abbiamo passato una bella serata. Un modo come un altro per stare assieme. Il 26 ottobre si celebra la seconda redenzione di Trieste, quella del 1954, e visto che il 28 ottobre era vicino, lo abbiamo ricordato collettivamente (…) La marcia su Roma del resto fa parte del nostro passato, perché fingere di essercene dimenticati?”.
Già, perché Lippi e Menia non dovrebbero festeggiare il proprio passato, soltanto perché vorrebbero che altri rinnegassero il proprio?
Ma torniamo alla questione dell’imbrattamento della foiba, così come denunciato da Lippi. Innanzitutto non ci risulta che presso il monumento esista alcun “cippo dei volontari” (volontari in quale Corpo, ci chiediamo innanzitutto): c’è un cippo posto dagli alpini, uno dalla Guardia di Finanza ed uno dalla Federazione grigioverde a ricordo di tutti i militari.
Inoltre non ci sembra molto chiara la descrizione della scritta in vernice nera che comprende anche una stella rossa: o gli ignoti “vandali” si sono dedicati alla policromia nell’imbrattamento, o forse per Lippi tutte le stelle sono rosse per definizione se si trovano presso una falce e martello.
Alla protesta di Lippi è seguita una nota del capogruppo dei DS in Consiglio comunale, Tarcisio Barbo, che sostiene essere il fatto “più che un atto vandalico una vera e propria provocazione (…) ne è evidente dimostrazione il richiamo all’Ozna” (nota pubblicata sul “Piccolo” del 19 ottobre).
Anche qui c’è qualcosa che non ci convince. L’Ozna era un organo istituzionale di polizia jugoslavo esattamente come all’epoca dei presunti “infoibamenti” erano organi istituzionali di polizia di l’OSS statunitense e la FSS britannica, tutti di paesi che erano alleati nella guerra contro il nazifascismo. Dove stia la provocazione nel richiamo all’Ozna Barbo ce lo dovrebbe spiegare meglio; ma rileviamo che anche lui conclude il comunicato con un richiamo alla “pacificazione in atto”, proprio come Lippi.
Fin qui le notizie sulla stampa: però a questo punto noi andiamo oltre perché abbiamo avuto delle informazioni interessanti da parte del professor Samo Pahor, che, non risultandogli l’esistenza di alcun “cippo dei volontari” presso la foiba di Basovizza, si è recato con un altro testimone sul luogo per verificare lo stato dei luoghi. Ricordiamo che l’intera area è ancora recintata per i lavori di “riqualificazione” a cura del Comune di Trieste, ma lo stato dei luoghi è visibile anche dall’esterno. Sentiamo ora cosa ci ha raccontato Pahor.
“Siamo andati fino al cantiere per verificare cosa fosse stato effettivamente imbrattato, però non abbiamo visto alcuna scritta o imbrattamento. Così, pensando che si fosse già provveduto, nel corso dei tre giorni intercorsi, alla pulizia del sito, ci siamo recati presso la stazione dei Carabinieri di Basovizza, per chiedere chiarimenti. Alle nostre domande il maresciallo ci ha risposto che loro non hanno constatato alcun imbrattamento, e la ditta che sta effettuando i lavori ha negato che vi sia stato alcun atto vandalico”.
A questo punto ci siamo chiesti, noi come il professor Pahor, come abbia potuto il vicesindaco Lippi denunciare, oltretutto con tale dovizia di particolari, un imbrattamento che non è avvenuto. Così, mentre noi ci limitiamo a segnalare all’opinione pubblica questa palese contraddizione, Pahor ha invece presentato una denuncia alla Procura della Repubblica, avente come oggetto: “denuncia penale per il reato previsto e punito dall’art. 656 del c.p. con l’aggravante ai sensi dell’art. 3 della legge 13/10/75 n. 654 e della legge 25/6/93 n. 205 come pure querela se questa è prevista per tutti gli altri reati che possono essere ravvisati nel comportamento degli autori del sopraindicato reato con l’aggravante del concorso in reato a i sensi art. 110 c.p.”.
Pahor si richiama all’art. 656 (“pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”) poiché “l’atto che non è stato commesso è però tale che avrebbe turbato l’opinione pubblica ed avrebbe causato il disturbo dell’ordine pubblico”, e quindi chiede vengano acquisite dalla magistratura le note inviate sia da Lippi sia da Barbo, anche per verificare se i due abbiano agito indipendentemente l’uno dall’altro oppure in accordo tra loro. Inoltre Pahor stigmatizzando il fatto che il “Piccolo”, dopo avere pubblicato la nota di Lippi, aveva evidenziato anche che i lavori avevano “già subito slittamenti a causa di una serie di ricorsi e proteste sull’iter adottato”, ricorda alla Procura che “il sindaco di Trieste Roberto Di Piazza almeno due volte ascriveva in dichiarazioni alla stampa la responsabilità dei ritardi dei lavori allo Soht alle osservazioni presentate in conformità alla legge dall’associazione socio-politica Edinost e specificamente attribuiva la responsabilità di questo fatto a Samo Pahor”, e chiede si chiarisca se non vi sia stata intenzione, da parte di persone da identificare, di accomunare il suo nome ai presunti (e non avvenuti) atti vandalici.
La Nuova Alabarda - Trieste
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