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Cantiere Italia

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(17 Novembre 2010) Enzo Apicella
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(6 Novembre 2006)

La manifestazione promossa da Stoprecarietàora è andata bene. Tutto sommato non era scontato riuscire a portare a Roma alcune decine di migliaia (reali) di persone, tanti lavoratori, precari e “garantiti”. Perché tutti – o quasi, lodevole eccezione la Fiom - l’avevano presa molto bassa, attanagliati dal timore di danneggiare il “proprio” Governo e nello stesso tempo chiamati a dare rappresentanza a una questione sociale che sta diventando sempre più pressante. Per fortuna ci ha pensato la stampa italiana a promuovere la partecipazione: gli attacchi dei giorni scorsi contro i partiti di lotta e di governo hanno sicuramente contribuito a enfatizzare una manifestazione che buona parte degli stessi promotori cercava invece – nei fatti – di far passare in sordina. E’ l’emblema di una sinistra che vive spesso più delle scelte e dei demeriti altrui che dei meriti propri. Ma per fortuna talvolta le energie che circolano nella società fanno premio sui limiti della politica.

Il corteo del 4 novembre (e più in generale tutto il percorso che parte dall’assemblea del Teatro Brancaccio) mettono in luce un elemento di novità e cioè che – a differenza di qualche anno fa, quando la precarietà era percepita prevalentemente da chi ne era investito direttamente – oggi sta diventando nella percezione comune un marchio che accomuna i vari aspetti (lavoro, casa, reddito, diritti, famiglia) della vita delle classi subalterne e al contempo il segno di una fase dello sviluppo capitalistico della nostra società. Non una caratteristica esclusiva della “modernità” – come vorrebbe qualcuno – semmai anzi una peculiarità di tutti i periodi di mutazione e di accelerazione di quello sviluppo (esattamente come la Rivoluzione industriale fu un fattore di accelerazione dei mutamenti economici e produttivi, conseguentemente di precarizzazione nei rapporti sociali). L’aspetto che più mi ha colpito nelle iniziative di questi mesi è stato proprio il manifestarsi di un’attenzione spiccata, forse non di massa ma certamente diffusa, rispetto al tema della precarietà e un allargamento, non epocale ma significativo, della partecipazione di lavoratori all’iniziativa sociale su quel tema. Ad esempio l’assemblea genovese di chiusura della campagna per promuovere la manifestazione ha avuto una platea in cui il rapporto numerico tra lavoratori e “addetti ai lavori” era insolitamente alto. Aldilà di ogni enfasi mi sembra che ciò confermi una tendenza che va aldilà dei nostri confini e che si è espressa qualche mese fa nella vittoriosa lotta francese contro il Cpe. E del resto non va dimenticato che la grande manifestazione dei 3 milioni sull’Articolo 18 fu di fatto una manifestazione contro la precarietà.

In questo conesto la discussione sul fatto che il corteo organizzato da Stoprecarietàora sia stato decisamente/tiepidamente pro/contro il Governo amico/nemico/né amico né nemico/più o meno “permeabile”, se Fassino e Rutelli avrebbero dovuto esserci o no, mi sembra veramente una discussione da “comunisti su Marte”. Mettiamola così. Ciò che distingue il corteo a cui abbiamo dato vita da una danza della pioggia è che - mentre la pioggia è un fenomeno naturale su cui non è nostra prerogativa prendere delle decisioni – nel caso della precarietà essa è un fenomeno sociale determinato da precise scelte degli operatori economici e dei soggetti politici che li rappresentano. Proprio a questi si rivolgeva la manifestazione e segnatamente al Governo in carica in Italia al momento della manifestazione, cioè quello dell’ Unione. Se ci si è dovuti rivolgere al Governo è evidentemente perché di suo esso non sembra voler affrontare il problema della precarietà per estirparlo alla radice. E quindi perché si è “critici” nei confronti della sua politica. Solo la pervicace propensione di Prodi a ficcare la testa sotto la sabbia gli può far dire che la manifestazione promossa da un cartello di organizzazioni che definisce le risposte date dalla Finanziaria in tema di precarietà “insufficienti, sbagliate, inesistenti” non sia “contro” il Governo. Che poi altrettanto dicano addirittura alcuni di quelli che quelle parole le hanno messe nero su bianco rasenta il farsesco. A meno che non abbia ragione Concita De Gregorio quando scrive su Repubblica del giorno dopo (con un moto di sincerità che rasenta il masochismo) che la manifestazione “Ci fosse stato al Governo Berlusconi sarebbe stata perfetta, una foto del paese reale.”

Ma bastava far scorrere il corteo, respirare il clima della manifestazione, ascoltare gli interventi conclusivi e leggere gli striscioni riportati anche dai giornali per capire che i sondaggisti che ci parlano di un calo vertiginoso dei consensi nei confronti di Prodi non sono spie inviate dai tedeschi. Che poi coloro che sono scesi in piazza non ci siano andati perlopiù con l’intento di rovesciare il Governo o di pronunciare un verdetto politico definitivo di condanna nei confronti di Prodi è evidente. In questo senso le forzature dei Cobas e di Casarin hanno risuonato a vuoto. E tuttavia anche Nicola II avrebbe potuto dire che la famosa manifestazione del Pope Gapon “non era contro di lui”, senza trarne – mi sembra - particolare giovamento.

A questo punto tutti noi che abbiamo costruito la campagna Stoprecarietàora dobbiamo decidere cosa vogliamo fare da grandi. Le opzioni possibili sono due. O lasciare che “una volta fatto con cristiana rassegnazione il proprio dovere” lo schieramento che ha promosso la manifestazione venga lasciato galleggiare dolcemente verso l’eutanasia. Oppure cercare di rilanciare lo spirito del Brancaccio e di sfidare chi ha approfittato di ogni occasione possibile per “sfilarsi” a riallacciare i nodi di un percorso unitario su quei temi e su quelle parole d’ordine. Non rimuovendo i problemi politici né rifugiandosi negli equilibrismi. Quelli ad esempio per cui si utilizzano piattaforme scritte mesi prima perché una volta raggiunta una mediazione la si maneggia come un cristallo di Boemia temendo che toccandola vada in frantumi. O per cui si va sul palco a leggere un comunicato perché nessuno si fida se dici le cose “con parole tue”. Quei problemi vanno affrontati con spirito unitario ma tenendo presente che l’unità è uno strumento e non un fine. In questo il fatto di tenere in vita non solo la struttura nazionale di Stoprecarietàora ma anche le reti e i comitati locali, non come un fatto formale, bensì come realtà vive che sviluppino iniziativa, sarebbe un buon primo passo. Magari ricominciando a tessere anche una tela di contatti internazionali che da diversi anni abbiamo ormai abbandonato e proprio a partire da realtà come la Francia dove le lotte hanno strappato dei risultati, anche se – così come da noi sull’articolo 18 - la vittoria non si è tradotta in un fatto politico corrispondente, dal momento che la crisi della destra ha prodotto un dualismo in cui i due poli sono da una parte Sarkozy e dall’ altra Segoléne Royal. Il che da una parte ci dice che non siamo gli unici baciati dalla mala sorte, dall’altra è sintomo di un problema che prima o poi bisognerà decidersi prendere di petto. E questo è un altro tema con cui misurarsi se si vuole che le lotte sociali abbiano delle ricadute sul quadro politico.

Marco Veruggio

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