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“Il dubbio muove le montagne” - riflessioni sull’informazione geneticamente modificata.

Intervista a Mariano Benni, direttore dell’agenzia internazionale Misna

(26 Novembre 2006)

Torniamo ad affrontare una riflessione sul modo in cui i mezzi dell’informazione ufficiale e di massa hanno raccontato la manifestazione di sabato 18 novembre a Roma per la Palestina, una manifestazione, ricordiamo ancora, indetta su una piattaforma netta e precisa che chiamava in causa il coinvolgimento o meglio la complicità, come denunciavano i manifestanti, del governo italiano rispetto al governo di Tel Aviv, attraverso l’accordo di cooperazione militare Italia - Israele. La manifestazione di sabato scorso chiedeva proprio il ritiro di quest’accordo, il blocco di tutti gli accordi varati dagli enti locali italiani con le istituzioni israeliane, ribadiva la vicinanza di tante organizzazioni, associazioni e singoli alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza e per una pace giusta.

Tutto questo è completamente scomparso nei notiziari televisivi e nella stampa, dove si è invece dato ampio risalto, in modo assolutamente trasversale, a un episodio marginale, quello dei fantocci bruciati, e fuorviante rispetto ai contenuti della manifestazione.

Ne parliamo con Mariano Benni, direttore di Misna, un’agenzia di stampa internazionale, tra l’altro una delle fonti d’informazione alla quali attingiamo per ricavare notizie dal mondo, o meglio dai “Sud del mondo”, come Misna tiene a sottolineare. A Misna ci siamo rivolti perchè in seguito alla manipolazione mediatica seguita al corteo di sabato scorso, abbiamo avviato parallelamente un ragionamento sui media di massa nel nostro paese.

Voi avete parlato di una strumentalizzazione di episodi marginali del corteo, che richiama alla necessità di un dibattito urgente.

Si. Abbiamo reagito a una serie di cose che abbiamo visto in quell’occasione perché è esattamente nel filone di quello che pensiamo e che cerchiamo di dire da almeno due anni e mezzo. Noi siamo convinti che ormai purtroppo dappertutto circolano soprattutto informazioni “geneticamente modificate”. E’ una questione molto seria: riteniamo come una prima originaria velina più o meno grande, a volte planetaria, a volte soltanto nazionale, a volte addirittura di villaggio, in cui parte un’informazione, un’ interpretazione dei fatti di una certa realtà, fa agio su tutto il resto e domina la scena cancellando tutti i distinguo, tutti i particolari, tutti i fatti essenziali che costituiscono una realtà che di solito è molto articolata e molto complessa. Succede che per una serie di circostanze, certo non è colpa dei singoli giornalisti o dei singoli cronisti, ma di un sistema, di un modo di porsi, finisce che una interpretazione, quella che di solito è più vicina agli interessi del potere, agli interessi di qualcuno che comunque conta, è potente, finisce col cancellare tutto quanto il resto. Crediamo sia accaduto anche nel caso del corteo di Roma per la Palestina; e non solo per quello, per una serie di altri eventi che in quei giorni si stavano verificando a Roma, a Milano e altrove in Italia in quel fine settimana, che erano tutte mobilitazioni serie della società civile intorno a questioni significative. Per di più è stata persino in parte oscurata l’informazione sulla finanziaria, che sarà noiosa, sgradevole, difficile, però è fondamentale e riguarda il futuro di questo paese e in questo momento è passata attraverso una fase particolarmente delicata. Si è parlato solo di pupazzi bruciati da nove persone su migliaia e migliaia di partecipanti al corteo, e altre almeno 6.000 persone partecipavano all’iniziativa contro la mafia di Don Luigi Ciotti, e altre 50.000 persone partecipavano al corteo a Milano indetto dalla Tavola della Pace. Tutto questo è stato dimenticato perché si è discusso strumentalmente intorno a nove ragazzi che dicevano delle sciocchezze e facevano gesti spettacolari e marginali con i distinguo di tutti gli altri che partecipavano alla stessa manifestazione.

Tutto ciò induce a una riflessione sulla questione della libertà d’informazione nel nostro paese, induce a pensare al fatto che se non si ha accesso ai grandi network, non si può avere la possibilità o la speranza di porre all’attenzione alcune questioni che possono risultare scomode o non in linea con i poteri forti.

Parlo della nostra esperienza: la Misna ha dietro una quarantina di organizzazioni missionarie e altre associazioni di volontariato. Nel nostro piccolo siamo uno degli editori più puri che esistono; non abbiamo altro tipo di interessi se non stare dalla parte dei più deboli e di quelli che vengono dimenticati e raccontare soprattutto il Sud del mondo, anche se non è più possibile tracciare confini netti tra il Sud del mondo geografico e altri Sud del mondo come quelli che vediamo anche spesso e volentieri qui dietro l’angolo di casa nostra. Noi stiamo cercando di fare il più possibile questo discorso e anche di trovare, come nel caso vostro e nel caso di altre fonti di informazioni, in Internet e soprattutto in radio, qualche iniziativa anche televisiva come Telesur in America Latina. Cerchiamo di fare quello che è possibile in mezzo a questi campi di zizzania dell’Informazione Geneticamente Modificata raccontando un punto di vista diverso. Anche noi possiamo sbagliare, anche noi possiamo mancare di elementi ma di sicuro c’è un’intenzione molto precisa e credo che ci sia in tutti i gruppi più piccoli intenzionati a raccontare un’altra realtà nella speranza che non venga perduta completamente non tanto la libertà d’informazione, perché quella c’è, quanto la manipolazione di quella libertà.

Tra l’altro, generalizzando queste riflessioni, si può pensare: se può essere manipolato mediaticamente ciò che è sotto i nostri occhi, come per esempio la decisa e numerosa partecipazione al corteo del 18 insieme alla piena adesione ai contenuti della piattaforma, possiamo effettivamente fidarci del modo in cui ci viene raccontato ciò che avviene lontano dalla nostra portata come i conflitti e in genere le questioni internazionali?

Assolutamente no. Infatti spesso le nostre fonti, che nella maggior parte dei casi non sono giornalisti professionisti ma sono persone che conoscono bene le realtà, che ci vivono, che sono in contatto con le società civili locali, spesso e volentieri ci presentano una visione molto ma molto diversa da quella che i grandi mezzi d’informazione ci offrono. Questo per tanti motivi: perché i grandi mezzi d’informazione rispondono a interessi politici, e spesso prima ancora che politici, finanziari; in un mondo globalizzato, la globalizzazione dei poteri a difesa di certe situazioni di tipo coloniale, neocoloniale, paracoloniale, si è fatta particolarmente sottile, marcata ed efficiente. Le nostre fonti spesso invece ci descrivono realtà molto diverse da quelle che ci vengono presentate perché funzionali ad organizzazioni in quel modo ad organizzazioni di quattrini e di potere. E’ da qui che parte la nostra osservazione sull’Informazione Geneticamente Modificata. Poi ci accorgiamo che in effetti questo ragionamento non riguarda soltanto le realtà molto lontane ma tutto questo accade anche a casa nostra e quello di sabato 18 è uno dei casi. E non è un caso in questa occasione specifica perché, come ha scritto per esempio Rossana Rossanda sul Manifesto, la ragione per cui il corteo romano diventa nient’altro che una grande foto sinistra color rossastro/arancione che viene ripetuta per due giorni sui grandi quotidiani in prima pagina e poi sulle pagine successive, è perché si parla di Palestina, e non si può rompere una sorta di tabù generale per cui ogni volta che si scende a difesa di un popolo particolarmente oppresso, senza essere antisemiti, ma semplicemente a difesa di un popolo che sta soffrendo, spuntano i semi velenosi che giovano a quei mezzi dell’Informazione Geneticamente Modificata.

E poi chi si occupa come noi d’informazione è portato, quando arrivano le notizie d’agenzia, a leggere tra le righe…

Bisogna sempre integrare e correggere con un lavoro molto pesante e difficile, mettendo a confronto fonti diverse. Da questo ci si può accorgere sia delle manipolazioni sia di quello che di fondo è la tendenza centrale nel presentare una certa realtà. Sono moltissime le fonti disponibili in Internet dove si possono trovare tante interpretazioni molto diverse da quelle che normalmente vengono diffuse dai principali mezzi d’informazione.

Sappiamo che non può esistere il criterio dell’oggettività nell’approccio con cui un mezzo d’informazione può raccontare un evento. Ma quanto conta il diritto di chi usufruisce dell’informazione, lettori, spettatori, ascoltatori, ad avere accesso a una cronaca che sia più completa possibile degli eventi?

Faccio questo mestiere dal settembre del 1961, ho lavorato con l’Ansa, con la Rai (forse è più facile dire con chi non ho lavorato); proprio stando all’interno di questo percorso ho maturato alcune convinzioni: deve esserci una volontà molto precisa e molto forte da parte degli operatori dell’informazione, ma anche dei lettori, di acquisire il massimo della coscienza civile nel decodificare i fatti che ci vengono presentati. Il fenomeno è sempre esistito, ma negli ultimi tempi è diventato particolarmente marcato forse per l’esistenza di una serie di mezzi più moderni ma anche dell’impatto della televisione. Se non c’è questa volontà personale, questo impegno civico a capire, si finisce con l’essere completamente frastornati da informazioni che fanno comodo, come dicevo, soltanto ai gruppi di potere. Bisogna usare il metro del dubbio, del sospetto, rispetto all’informazione che viene distribuita dai grossi centri di potere. “Il dubbio muove le montagne”, diceva Bertold Brecht.

Tra l’altro ci ha stupito come la cronaca della manifestazione di sabato ha visto un approccio bipartisan, trasversale appunto, rispetto a quella giornata. Cioè tutti i giornali hanno messo in evidenza solo gli episodi marginali a cui accennavamo prima. Dov’è finito il pluralismo dell’informazione?

Nel caso specifico non possiamo proprio parlare di pluralismo dell’informazione. Lo ha ricordato anche il Segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana Paolo Serventi Longhi ai vostri microfoni, che a un certo punto si è mirato più a dare un cazzotto nello stomaco che a fornire un quadro completo delle cose, e non è la prima volta che accade. In questo caso si è notata anche una concentrazione perversa di attacchi in particolare a un’unica formazione politica, come se si volesse in qualche modo farne il capro espiatorio di una serie di contraddizioni e difficoltà. E’ la prova diretta che in questo caso ci si è mossi in base ad uno spartito che predispone tante scelte, tanti comportamenti e indirizzamenti di cronache e di pensieri contro quello che è da colpire, da emarginare. Questa è esattamente la negazione di uno dei presupposti fondamentali dell’informazione. In un mondo così diviso, in cui si parla tanto di scontri di civiltà, mi lasci dire che ci sono anche gli scontri di pollaio qualche volta.

Quale strategia difensiva (o anche controffensiva) può mettere in atto chi si occupa d’informazione, rispetto a questo tipo di pratiche e di logiche, secondo lei?

Non dimenticare le fonti principali d’informazione ma metterle a contrasto con le fonti integrative, correttive, alternative. La vera formazione civica di ognuno di noi, in particolare dei giovani, in tempi complessi e confusi come questo, richiede tempo, dedizione, volontà di decodificare i diversi segnali e metterli a confronto usando la propria testa.

Che poi vuol dire anche rafforzarsi perché a volte rispetto alla grande informazione di massa ci si sente un po’ come Davide contro Golia…

Lei ha adoperato un frase che io stesso uso spesso perché a volte ci sentiamo un po’ come Davide contro Golia. Quello che non mi piace tanto è che qualcuno alla fine rimane con una testa penzoloni in mano ma non è questo l’obiettivo. Si tratta, con le fionde a disposizione, di disturbare a sufficienza il gigante della grande informazione.

Grazie Mariano Benni, vi auguriamo un buon proseguimento di lavoro anche in questa direzione.

Un augurio che rivolgiamo anche a voi…e cerchiamo insieme di fare cordata nella raccolta e nello scambio di informazioni perché non ci sia esclusivamente un’unica orchestra che suona la musica dei centri di potere finanziario.

intervista di Mila Pernice (Radio Città Aperta)
segreteria@radiocittaperta.it

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