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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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    Il partito democratico s'ha da fare

    (15 Dicembre 2006)

    Alcune “anime nobili” dell'antico tronco del socialismo italiano (Amato, Ruffolo) si stanno agitando, in questi giorni di apparente dura polemica, a giustificare la nascita del nuovo Partito Democratico attraverso le classiche accezioni della sinistra riformista: sollevando, cioè, la cosiddetta questione dei “contenuti” in chiave di riferimento alla tradizione, e portando avanti il tema del ricollegamento tra società e politica, in una fase di distacco particolarmente sensibile.

    Egualmente, all'interno dei DS, si agitano gruppi contrari alla formazione del Partito in nome della identità del Socialismo Europeo e della relativa adeguata collocazione della forza politica esistente (rifiutando, di conseguenza, la nascita dello stesso Partito Democratico e minacciando una “scissione”).

    Personalmente, come è ovvio, sono lontano mille miglia dalle ipotesi portate avanti dal Partito Democratico ed anche da quelle della minoranza DS, pur tuttavia credo opportuno prendere posizione sull'argomento anche per tentare una chiarificazione che ritengo doveroso.

    Il Partito Democratico appare una necessità del sistema politico, se chi ne regge le fila ritiene di dover andare avanti con il bipolarismo: questo è il dato di fondo, ineludibile ed inequivocabile.

    Andando al merito, infatti, la questione dei contenuti (del “programma” che un tempo si divideva in fondamentale, massimo e minimo) è ormai assolutamente azzerata dalla ricerca esaustiva della “governabilità” che appare ormai il solo orizzonte possibile del “fare politica”( emblematica,sotto questo aspetto, la vicenda della scelta del candidato Sindaco a Genova, attraverso la quale davvero si estremizzano i concetti che fin qui si è cercato di esporre); mentre il tema del rapporto tra società e politica è ormai del tutto interno al confronto tra corporativismi vari (unificati soltanto dalle richieste consumistiche) e l'autonomia del politico.

    Le soluzioni quindi sono: o il “populismo” della destra televisiva, oppure il governo “senza anima” di un indefinito liberismo di sinistra.

    I gruppi dirigenti rappresentanti l'attuale ceto di governo (inteso in senso lato) non hanno scelta: per mantenere l'orizzonte della governabilità non possono che tentare la strada di un Partito che, fuori dai programmi e dai riferimenti sociali, raccolga una cifra di voti attorno al 30%; problema che non si presenta a destra perché, in quel caso, appare evidente il dato di unificazione attraverso la leadership.

    Se l'operazione Partito Democratico fallisse ( a questo debbono pensare i fautori del mantenimento delle radici socialiste) e non ci fosse la possibilità di costruire un partito (fondato, beninteso, sull'autonomia del politico: non confondiamoci per carità) di quelle dimensioni (elettorali) non resterebbe altra strada che il ritorno al proporzionale “vero” (senza premi di maggioranza, al massimo con lo sbarramento) ed allora lo spettro della governabilità si ridurrebbe alquanto, e tornerebbero in scena le “terze forze”.

    Quindi: o le resistenze che il partito Democratico incontra sono fittizie, allo scopo di racimolare spazio, oppure, se sono reali arrivano in chiaro deficit di analisi:una analisi che andava fatta anni addietro, quando erano evidenti le scelte di omologazione assoluta ad un modello di sistema politico che adesso si intenderebbe contestare.

    Egualmente i sostenitori del progetto di “Sinistra Europea” dovrebbero sentire la loro completa subalternità al meccanismo che ho appena cercato di descrivere: una subalternità che consentirà loro (in caso di riuscita dell'operazione) di ricavarsi un rettangolo di potere, fors'anche più ridotto di quanto non sia riuscito, in questo scorcio di legislatura, a Rifondazione Comunista attraverso la rilevante operazione di trasformazione culturale compiuta nel corso degli ultimi anni.

    Insomma: così stanno le cose, e ambiguità ed illusioni dovrebbero essere spazzate vie con lucidità (molto meglio gli stalinisti che ci stanno, scalando il potere con coerenza convinti di applicare ancora la linea del VII Congresso dell'Internazionale; mentre, per certi versi, patetici appaiono quelli che credono così di rinnovare il mito kennediano).

    In ogni caso a sinistra si imporrebbe una proposta diversa, fondata su di una analisi rigorosa dei rapporti di forza e delle nuove stratificazioni sociali, in modo da elaborare un progetto alternativo da far passare, anche, attraverso un recupero di concezione dell'agire politico come strumento della trasformazione sociale.

    Dove stanno, però, “forze motrici” e “gruppi dirigenti”? Si riuscirà ad incontrarci su questo preciso ordine del giorno?

    Savona, li 14 Dicembre 2006

    Franco Astengo

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