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Catania, sotto choc dopo il fermo di polizia

E’ capitato in un commissariato a un anarchico di 27 anni. Costretto a spogliarsi, poi botte e insulti. Non sarebbe la prima volta

(23 Dicembre 2006)

Tre ore in un commissariato di Catania. Tre ore d’inferno.
Botte sulla schiena, insulti.
E alla fine, dopo essere stato costretto a spogliarsi, una pistola appoggiata sullo sfintere. «Ti piace, frocio?».

Sembra che a fare incazzare di più i ”tutori dell’ordine” sia una scritta tatuata: ”Carlo vive”. Chi pesta è convinto che «abbiamo fatto bene ad ammazzarlo».

Qualcuno adesso storcerà il naso per un racconto così diverso dalle fiction piene di poliziotti buoni e corretti.
Ma se fosse andata proprio così? E in un periodo dell’anno in cui arrivano i nuovi calendari, si provi a immaginare un pestaggio compiuto proprio con un almanacco di quelli sistemato sulla schiena del malcapitato per non lasciare segni.
Botte, pare, con la paletta d’ordinanza messa di taglio.
E i pollici sotto le ascelle a premere sui nervi per fargli tenere le spalle ben alzate.
Così viene riferito a Liberazione, che, intanto, ha fatto rimbalzare la storia ai gruppi parlamentari del Prc per un’interpellanza.

Comunque, al pronto soccorso i segni li hanno trovati, eccome. Ce lo ha portato di corsa un compagno avvocato che aveva passato il pomeriggio a cercarlo.
Catania.

Città dei ”Cavalieri del lavoro”, città di destra, dove un dirigente della ragioneria comunale è inquisito per mafia, con la polizia che lascia correre, chiudendo tutti e due gli occhi, rispetto alle aggressioni fasciste.

Città in cui un partito, l’Udc, che ha il record di inchieste per collusioni con la mafia, è il partito di Cuffaro, ha un chiodo fisso: far chiudere i due centri sociali rimasti, l’Auro e l’Esperia.

Città in cui un ventisettenne, disoccupato, cammina nel primo pomeriggio di un qualsiasi lunedì.

Via dei Crociferi, centro città, strada di pub. Il ventisettenne è un anarchico conosciuto, cresciuto in un quartiere popolarissimo, da una famiglia problematica.

La volante lo vede, accosta. «Tu qua non ci puoi stare perché sei una merda, uno schifoso». Chi vede il ”prelevamento” avverte subito altri attivisti che iniziano il giro delle ”sette chiese”, tra i commissariati, per capire cosa stia succedendo.

Più di tre ore dopo il mistero sembra sciogliersi.
Dal Commissariato di S.Cristoforo viene riferito che è stato rilasciato ma è indagato per il possesso di un martelletto rompivetri che, comunque, non sarebbe proibito a chi, come lui, non abbia mai avuto a che fare con reati specifici contro il patrimonio.
Ma il ventisettenne, ex cameriere, è sotto processo per un altro reato: il lancio di una molotov contro il muro di una caserma dei carabinieri alla vigilia di una manifestazione antifascista.
“Forza Nuova” aveva annunciato sfracelli contro l’aborto. Il clima non era dissimile da quello attuale. Nessuno sa se davvero sia stato lui, mica l’hanno colto in flagranza ma si cerca di cucirgli addosso l’accusa gravissima di terrorismo.

Però il processo va a rilento. Qualcuno forse avrebbe preferito una condanna rapida. Così, secondo il racconto fatto a Liberazione sarebbe iniziata una vera e propria persecuzione.
Non sarebbe la prima volta, infatti, che Giuseppe diventa ”desaparecido”.
Molto probabilmente anche l’ultimo lavoro l’ha perso per la presenza invasiva degli inquirenti.

Arduo stabilire il confine tra la persecuzione e la reale attività istruttoria.
Ora il ventisettenne, protagonista suo malgrado di questa storia cilena, o forse sarebbe più giusto definirla genovese, è sotto choc. Sconvolto.

Chi ha raccolto il suo terrificante racconto, dunque, lo ha trovato in lacrime e lo ha portato in ospedale dove gli sono state riscontratate contusioni sul fondoschiena e sul costato, lividi, tensione muscolare proprio in corrispondenza dei punti dove sarebbe stato pressato per tenere la schiena dritta.

E ora piscia pure sangue quel ragazzo che dice di essere stato picchiato gratuitamente, senza che abbia neppure provato a opporre resistenza.
Che ci siano state percosse nell’incontro ravvicinato con alcuni agenti, stando al referto del pronto soccorso, non ci sarebbero dubbi.
Non c’è bisogno neppure della denuncia, viene spiegato, perché il reato è di quelli perseguibili d’ufficio.
Per un attivista locale di Rifondazione, che è anche avvocato, è, ormai «la fine di ogni diritto».

«Gl’è andata meglio che a Federico Aldrovandi – commenta Haidi Giuliani, senatrice del Prc - ha ragione l’avvocato: se si continuano a tollerare certi atteggiamenti è la fine di ogni diritto.
Come si fa a chiedere a tutti i ragazzi senza la divisa, compreso il ventisettenne catanese, che bisogna rispettare le leggi, quando ci sono dei tutori dell’ordine che sono i primi a offenderle?».

Checchino Antonini
“Liberazione” del 21-12-06

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