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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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I nostri ultimi 20 anni

Appunti per un’analisi e il rilancio dell’iniziativa di lotta nel settore metalmeccanico

(7 Dicembre 2006)

Pubblichiamo il contributo di alcuni lavoratori di Sesto San Giovanni, che verrà contenuto in maniera più completa in un opuscolo di prossima pubblicazione.
Questo non ne implica la totale condivisione, ma riteniamo utile pubblicare un materiale che testimonia ampiamente le difficoltà che incontrano oggi i lavoratori a sviluppare lotte che riescano, oltre a difendere il proprio potere d’acquisto, anche a mettere in discussione le linee strategiche di “sviluppo” delle politiche padronali nel loro complesso, uno sviluppo il più delle volte condiviso e sostenuto nei fatti dalle stesse organizzazioni sindacali.

INTRODUZIONE

Questa breve ricerca rappresenta la sintesi dei contratti dei lavoratori metalmeccanici della grande industria dal 1994 al 2006, e cerca di approfondire in particolar modo le parti riguardanti orari, diritti e salari.
Da sempre la categoria dei metalmeccanici ha cercato di rappresentare una propria conflittualità ad ogni sperimentazione sulle varie forme di sfruttamento e flessibilità avanzate dalle forze pa dronali; dal superamento dell’articolo 18 alla compressione dei salari, dal patto per l’Italia all’ attacco al diritto di sciopero, i padroni si son sempre trovati a dover affrontare una parte consistente di lavoratori fortemente contraria e i lavoratori metalmeccanici sempre in prima fila.

Le lotte del movimento dei lavoratori, e quello metalmeccanico in particolare, hanno segnato la storia del nostro paese, dagli scioperi nel periodo fascista, determinanti per la liberazione dal nemico nazifascista, alle manifestazioni di fine anni 60 per la conquista dello statuto dei lavoratori.

Il 1969 è l’anno dell’autunno caldo, così chiamato perché in quella stagione si tengono grandi lotte che si concludono con una grande manifestazione nazionale dei metalmeccanici il 28 novembre, a Roma. Viene firmato il contratto nazionale. I risultati più importanti sono: aumenti salariali uguali per tutti, riduzione a 40 ore dell’orario di lavoro a parità di salario, riconosci mento del diritto di assemblea in fabbrica durante l’orario di lavoro, riconoscimento dei rappresentanti sindacali aziendali.

Poi gli anni 70. Le organizzazioni metalmeccaniche Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil si uniscono nella Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm). Nel 1973 viene firmato un altro importante contratto nazionale in cui si ottengono l’inquadramento unico operai-impiegati su 7 livelli, aumenti salariali uguali per tutti, il riconoscimento del diritto allo studio retribuito (le famose 150 ore), 4 settimane di ferie.

Dalla seconda metà degli anni Settanta si sviluppa una nuova offensiva padronale tendente a ripristinare condizioni di primato assoluto nelle imprese. Ancora una volta banco di prova è la Fiat che, nel 1980, annuncia 14.469 licenziamenti incontrando una dura opposizione operaia che si concretizza in 35 giorni di lotta dura.

Per la prima volta in Italia gli impiegati e i capi di una fabbrica si organizzano contro gli operai e tengono una manifestazione a Torino di 20.000 persone. La conclusione della vertenza (23.000 lavoratori in Cassa integrazione) apre una fase incerta e difensiva del sindacato.

La crisi e le ristrutturazioni degli anni Ottanta hanno modificato la struttura industriale italiana. Crescono le piccole e medie imprese e anche quelle dell’artigianato. Aumentano gli infortuni sul lavoro, intere aree industriali delle grandi città scompaiono e questo provoca una lenta ma inesorabile diminuzione degli iscritti al sindacato.

Gli anni ‘90 sono anni in cui sono successe vere e proprie trasformazioni radicali, dai processi di globalizzazione con spostamento di produzioni e capitali verso oriente, all’entrata dell’Italia in Europa, alle guerre ancora in corso, le varie riforme pensionistiche, il protocollo d’intesa tra le parti del luglio del ’93, le sperimentazioni di vero e proprio sfruttamento del nuovo millennio, l’allungamento dei tempi di lavoro ecc, ecc…

Il resto è storia re cente e cerchiamo di raccontarla, analizzando passo dopo passo attraverso le ultime vicende contrattuali, soffermandoci su alcuni passi che riteniamo importanti e fondamentali, perché possano rappresentare una lucida presa di coscienza di quanto in questi anni ci è stato tolto.

I lavoratori metalmeccanici possono essere quindi un riferimento di parziale spaccato sociale per leggere ciò che è accaduto in questo ultimo periodo nelle lotte sociali.

I NOSTRI ULTIMI VENTI ANNI

Negli ultimi 20 si è assistito ad un vero e proprio tracollo della classe lavoratrice, sia complessivamente che in natura di salari diritti e orari.

Il referendum abrogativo del 14 febbraio, conosciuto anche come decreto di San Valentino, emesso dal governo Craxi, segna il primo inizio dello smantellamento di quegli automatismi di recupero salariale per difendere il proprio potere d’acquisto. Viene così ridotta, per esser successivamente annullata, la scala mobile e, di conseguenza, il meccanismo che difendeva il potere d’acquisto dei salari dagli incrementi inflazionisitici. Con l’accordo del ‘93 si gettano le basi per un periodo di stagnazione dei salari; la dinamica del salario monetario viene vincolata al tasso d’inflazione programmato e quindi non è più oggetto di contrattazione sindacale.

Per tutti gli anni ’90 si assiste ad una rincorsa del salario per mantenere inalterato il suo potere d’acquisto con esiti catastrofici. Il salario diventa una variabile legata non più ai rapporti di forza e ai veri bisogni della classe, ma dipendente da indici economici generali e risultati aziendali e di settore.

A nulla sono servite le centinaia di assemblee fatte a ridosso delle ferie e nei primi giorni di settembre, al rientro nelle fabbriche. La Cgil guidata da Bruno Trentin, anche davanti alla miriade di disdette di tessere in tutti i settori, in comune accordo con le al tre organizzazioni sindacali, sancisce la svendita del patrimonio di conquiste fatte negli ultimi anni da intere generazioni di lavoratori.

Ha inizio così il processo di convergenza verso l’armonizzazione monetaria europea, il cui costo verrà esclusivamente addebitato ai ceti del lavoro dipendente e precario, sia in termini di organizzazione che di salario. In meno di dieci anni dal 1984, col decreto di San Valentino e l’accordo 31 luglio del 1993, si è concluso il processo di deregolamentazione e flessibilizzazione del salario. Viene raggiunto così il vero obiettivo degli industriali, far sì che la variabile salariale venga completamente assoggettata alle esigenze di profittabilità delle imprese.

Ma ovviamente questo ancora non bastava, occorreva agire sulle forme di flessibilità delle assunzioni; il mercato del lavoro, infatti, risultava alla classe padronale rigido e, facendo leva sulla crisi occupazionale, da sempre arma decisiva e immancabile per proporre assunzioni al ribasso, ecco che nasce la legge nota come il pacchetto Treu, allora ministro del lavoro del governo di centrosinistra.

Il completamento della flessibilizzazione e deregolamentazione dei meccanismi di assunzione arriva a totale compimento con la legge 469 del 23 dicembre 1997, che impone il decentramento e la privatizzazione del collocamento e il predominio della chiamata individuale su quella numerica.

In pochi anni il mercato del lavoro in Italia si presenta come quello più flessibile d’Europa e, in tema di tassi di mobilità, non ha nulla da invidiare a quello statunitense. Questo triste primato è essenzialmente da imputare alle forze politiche del centrosinistra e alla concertazione sindacale, proseguita dopo la legge Treu con il Patto di Natale del 1998 e lo sviluppo dei patti territoriali e d’area.

Ora, una volta affossata la richiesta salariale, deregolamentata l’assunzione, occorreva intervenire sulla libertà di licenziamenti e sulle moda lità concertative delle relazioni sindacali.

Sarà il neonato governo Berlusconi a continuare l’opera, con la presentazione il 3 ottobre 2001 del libro bianco sul mercato del lavoro in Italia. Nel testo, oltre ad una dettagliata analisi del mercato del lavoro in Italia, vengono proposte una serie di misure di intervento che vertono su tre punti principali:

- Incrementare la flessibilità di assunzione tramite l’introduzione di nuove tipologie contrattuali di lavoro: il lavoro a progetto, a chiamata, staff in leasing,ecc..;

- Sviluppare la flessibilità in uscita, tramite una revisione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300 del 20 maggio 1970): argomento poi che diviene centrale nella delega interna alla Legge Finanziaria per il 2002 in materia di riforma del mercato del lavoro;

- Ridurre la contrattazione collettiva a vantaggio della contrattazione individuale.

Il principi di fondo su cui si sviluppa il Libro Bianco e tutto il processo di flessibilizzazione degli ultimi 15 anni si basa sul primato del libero mercato. Il mercato del lavoro è un mercato come tutti gli altri, dove l’equilibrio è garantito dal libero incontro tra domanda e offerta. Perché ciò avvenga, occorre che vi sia piena flessibilità nella domanda e nell’offerta di lavoro, in modo tale da consentire il raggiungimento di un livello di salario in grado di garantire la piena occupazione (flessibilità del salario). Tutte le parti che compongono il libro bianco, hanno come elemento comune il concetto della libertà del singolo lavoratore, ad esser imprenditore di se stesso. Il superamento quindi di tutti i vincoli determinati dalle contrattazioni collettive. Infatti, si sostiene che la contrattazione individuale sia l’unico ambito che può regolamentare lo scambio economico che avviene sul mercato del lavoro. Qualunque intervento ad un livello sovra-individuale diventa distorsivo e quindi capitalisticamente inefficiente. E ancora, “Il sistema di contrattazione collettiva ha mantenuto (…) caratteristiche di centralizzazione che si sono rilevate eccessive e inadeguate ad assicurare quella flessibilità della struttura salariale capace di adeguarsi ai differenziali di produttività e di rispondere ai disequilibri di mercato. (…)Essa produce norme che escludono la libera pattuizione individuale e non lascia alcuna flessibilità alle parti”.

Vi sono stati notevoli attacchi successivi e ripetuti alla classe lavoratrice, in alcuni casi parzialmente respinti, come la volontà di eliminare una volta per tutte l’articolo 18 dallo statuto dei lavoratori, per esempio. Ma certo ancora non basta, esistono ancora molti laccioli che devono esser sciolti definitivamente, e si covano qua e là sacche di resistenza corpose di lavoratrici e lavoratori, a detta di molti tutelati e privilegiati, che ancora conservano diritti ormai antistorici e antiquati. La categoria dei metalmeccanici ben rappresenta una parte di quelle sacche di resistenza che ad ogni contratto vorrebbero vedere con le ossa rotte. L’ultimo contratto, durato più di un anno e con 60 ore di sciopero, ne sono un chiaro esempio.

In sintesi questo documento vuole essere Raccolta, Memoria e Strumento politico per poter interpretare meglio ciò che avviene sui luoghi di lavoro, le sue origini le contraddizioni e le risposte date.

Ma vuole anche rappresentare uno strumento utile e di riferimento per molti lavoratori metalmeccanici (e non solo) che in questi anni hanno lottato affinché tutto ciò non accadesse; una ricerca che si trasforma in strumento politico…e fatto circolare sui luoghi di lavoro e nelle realtà sociali con cui poter dare continuità al nostro lavoro comune.

CONTRATTO 1994 - NORMATIVO QUADRIENNALE

Apertura della trattativa: 3 maggio 1994
Chiusura della trattativa: 5 luglio 1994


Il contratto siglato nel 1994 viene ricordato nella storia degli accordi di categoria come il contratto meno indolore e senza ricorrere ad alcuna ora di sciopero.
Rappresenta il primo contratto successivo agli accordi del 93 e viene visto da tutti come una buona base di partenze per delineare le nuove regole della contrattazione tra le parti.
Solo tre mesi sono bastati per discutere ed infine approvare le nuove parti normative, dal maggio al luglio 1994, con una grande assemblea dei delegati con più di 5000 delegati a sostegno della vertenza.
L’approvazione finale è avvenuta tramite un referendum generale a cui hanno partecipato più di 450.000 lavoratori consegnando al si una percentuale superiore all’80%.
Con questo contratto si consolidano quindi le tesi contenute nell’accordo del 1993.

Queste in estrema sintesi le parti importanti definite nell’accordo:

- Riconoscimento della funzione contrattuale in azienda delle Rsu insieme alle strutture sindacali territoriali;< BR>- Definizione del sistema contrattuale su due livelli: nazionale (rinnovo ogni 4 anni per la parte normativa, ogni 2 anni per la parte economica; finalizzato principalmente al mantenimento del potere d’acquisto); aziendale (redistribuzione della produttività secondo criteri stabiliti d’accordo tra le parti a livello aziendale, attraverso il nuovo Premio di Risultato);

- Protocollo di impegno a realizzare la previdenza integrativa;

- Orario: consolidamento delle 39 ore settimanali, flessibilità contrattata;

- Aumento salariale medio di 135.000 lire in tre tranches: 70.000 dal 1° gennaio 1995, 35.000 dal 1° settembre 1995; 30.000 dal 1° gennaio 1996. Una tantum di 450.000 lire in due rate nel 1994.

In questa breve sintesi sopra riportata, emerge come questa intesa ricalchi le parti normative dell’accordo del 1993:

- Viene riconosciuta la funzionalità contrattuale delle RSU (non più Consigli di Fabbrica), elette con un nuovo regolamento tra lavo ratori, ma alla partecipazione delle RSU concorrono unicamente le organizzazioni ufficiali nazionali e quindi firmatarie dei contratti nazionali. Emerge quindi da subito la crisi di rappresentanza sindacale e le forme di partecipazione tra i lavoratori che si vedono siglare accordi da organizzazioni sindacali non presenti sui proprio luoghi di lavoro.

- Si delineano i due livelli di contrattazione nazionale (normativa ed economica) e territoriale, dove presenti le RSU. Mentre le richieste economiche di carattere nazionale hanno come riferimento la riduzione del debito dello stato e la stabilità economica all’interno di parametri di carattere nazionale ed europeo, le richieste economiche di livello locale non possono uscire al di fuori di riferimenti economici quali l’andamento complessivo dei prodotti aziendali sul mercato, la loro qualità, le percentuali di difettosità, ecc…sembra quasi che si voglia invitare i lavoratori a partecipare in maniera consociativa alle din amiche amministrative e di strategia complessiva di mercato delle aziende dove prestano lavoro. I risultati anche in questo casi si sono dimostrati altamente deludenti, con una discesa verso il basso dei salari.

- Si determinano i percorsi che porteranno in seguito alla costituzione delle pensioni integrative e di categoria, tutte le successive proposte di riforma pensionistica, sia quelle avanzate dal sindacato o dalle forze padronali, dalla sinistra come dalla destra, partiranno dal concetto che da ora in poi si avrà a disposizione una parte sostanziale di liquidazione che servirà per armonizzare il prelievo sulle successive pensioni pubbliche erogate dall’Inps. Cometa sarà il nome che prenderà il fondo privato di categoria dei metalmeccanici. Parte così uno dei più grandi business per la gestione di soldi freschi accantonati dai lavoratori noto come TFR, a partecipare a tale euforia saranno in molti, dalle assicurazioni strettamente private a quelle”sociali” c ome la Unipol, alle banche, finanziarie ecc…

- Viene consolidata la settimana di 39 ore lavorative, infatti si aveva ancora come riferimento una settimana di 48 ore, ma al tempo stesso tempo si inserisce il principio della flessibilità contrattata.

- Nei fatti si vedrà come la settimana lavorata non sia mai stata di 40 ore, e il settore dei metalmeccanici ha da sempre avuto una media di ore lavorative intorno alle 48 ore. Ma ora tutto è lecito e contrattato. Si allunga cosi l’orario di lavoro rientrando comunque nei margini della legalità.

Questo è il periodo in cui anche le organizzazioni sindacali che da sempre si erano distinte, sventolando la bandiera della riduzione dell’orario di lavoro, estremizzando la richiesta a 35 ore, hanno iniziato a dileguarsi facendo sparire tale richiesta dai propri percorsi di rivendicazione.

Ecco come un contratto che ai lavoratori è arrivato quasi senza accorgersene, ha nella realtà sancito linee guida importanti per tracciare il nuovo percorso consociativo e partecipativo.

Solo col tempo ci si accorgerà di quanto danno questi passaggi “indolori” hanno causato a tutti i lavoratori metalmeccanici.

CONTRATTO 1997 - ECONOMICO BIENNALE

Apertura della trattativa: 2 maggio 1996
Chiusura della trattativa: 4 febbraio 1997


Il clima è di nuovo conflittuale e ci vorrà quasi un anno dalla presentazione della piattaforma per giungere alla firma. Tra gli scogli, il tentativo di Federmeccanica di far saltare la contrattazione aziendale.

Sono anni di lacrime e sangue, dove si prepara l’entrata del nostro paese nel gruppo di testa della moneta unica europea. Anni governati da Prodi e dal centrosinistra, con Bassolino come ministro del lavoro che ha svolto un ruolo di mediazione nella stretta finale.

Come spesso accade, viene utilizzato il contratto dei metalmeccanici per ottenere misure di politica economica favorevoli (fiscalizzazione al Sud, decontribuzione della contrattazione aziendale, riduzione d egli oneri sociali, sostegno a determinati settori come l’auto).

Con il contratto del 1997 ci si accorge di come la tanto paventata formula partecipativa e consociativa scritta e sbandierata in più accordi, sono solo bei propositi, che si scontrano poi con la realtà dei fatti, e con l’arroganza padronale capeggiata in quegli anni da Albertini, successivamente sindaco-sceriffo di Milano, a capo di Federmeccanica.

Numerose le ore di sciopero effettuate dalla categoria, tra cui due scioperi generali con manifestazione a Roma. Viene ricordato come il contratto della nuova generazione, la flessibilità ed i diritti dei lavoratori nel definire i tempi di lavoro e riposo, diventano le principali ragioni di conflitto.

Queste in estrema sintesi la parti importanti definite nell’accordo:

- Aumento salariale medio di 200.000 lire in tre tranches: 100.000 dal 1°gennaio 1997, 80.000 dal 1°marzo 1998, 20.000 dal 1°ottobre 1998. Una tantum di 512.000 lire in due rate n el 1997;

- Conferma dell’assetto contrattuale su due livelli, nazionale e aziendale, sancito dall’accordo di luglio 1993 e dal contratto 1994;

- Istituzione del fondo di previdenza complementare per i lavoratori dell’industria metalmeccanica privata denominato “Cometa”.

Le parole d’ordine usate durante le assemblee dai sindacati per coinvolgere i lavoratori ad esprimere un parere positivo sono state:

- la conferma dei due livelli di contrattazione, nazionale e aziendale, come sancito sia dall’accordo del luglio 1993 che dal contratto metalmeccanici del 1994 (quindi no all’assorbimento della contrattazione aziendale);

- rifiuto di una differenziazione nei trattamenti economici per i lavoratori del Mezzogiorno;

- introduzione di un sistema di previdenza complementare a livello nazionale e di settore finanziato dalle imprese e dai lavoratori.

Le organizzazioni sindacali sottopongono a referendum l’ipotesi di accordo, coinvolgendo circa 500. 000 lavoratori e raccogliendo la piena approvazione superiore al 70%.

I FONDI PENSIONISTICI INTEGRATIVI

Con questo accordo si gettano le fondamenta per riformare il sistema pensionistico nel suo complesso, il futuro per milioni di lavoratori italiani; da questo momento in poi verrà segnato dall’andamento delle borse e dalle speculazioni finanziarie, e non più da un sistema pubblico generale e solidale.

Destra e Sinistra/sindacati si dividono non tanto se sia utile o meno conservare il vecchio istituto pensionistico pubblico; la divisione nasce unicamente se le pensioni integrative debbano essere affidati a fondi di categoria, oppure lasciate al libero mercato.

I funzionari sindacali si sono trasformati in veri e propri agenti assicurativi, organizzando centinaia di assemblee affinché si riuscisse a convincere quanti più lavoratori ad aderire ai fondi privati di categoria.

Col tempo si è visto quanto ci sia di più incerto che affidare i risparmi di ciascun lavoratore ai fondi privati, siano essi pur di categoria, ma pur sempre investiti nelle sacche di parassitismo economico.

Lo sanno bene gli insegnati della regione dell’Alaska che investendo tutti i propri risparmi nelle azioni Parmalat, si sono visti liquidare i soldi accantonati. Altro caso indicativo è quello della Enron, multinazionale americana fallita rovinosamente. I lavoratori quasi 100.000, hanno perso il posto di lavoro e la pensione per aver investito il loro fondo pensioni nelle azioni Enron.

Oggi il fondo Cometa è tra i più numerosi fondi a livello europeo, in ITALIA SONO CIRCA 640.000 e suddivisi tra operai al 57% e impiegati al 27% , nella sola Lombardia sono 100.000 gli iscritti. Tutti gli aderenti al fondo con assunzione antecedente al 1993 versano inoltre per intero il TFR al fondo integrativo.

Negli anni, avendo come riferimento l’andamento dei fondi chiusi e confront andoli con l’andamento dei rendimenti del TFR, emerge chiaramente come le cose non siano andate poi così come tutti prospettavano.

I fondi pensione italiani chiusi nel quadriennio 2000-2003, hanno avuto un rendimento medio intorno al 5,25% contro un 13,44% offerto dal TFR così come lo conosciamo:

Periodo Rendimento
dei fondi chiusi
Rendimento
del TFR
2000 + 3,55 + 3,54
2001 - 0,50 + 3,20
2002 - 2,80 + 3,50
2003 + 5,00 + 3,20
TOTALE + 5,25 + 13,44

Praticamente, se avessimo investito il nostro TFR nei fondi pensione di categoria, avremmo avuto un rendimento inferiore dell’8,19% senza contare i costi di gestione che si aggirano sull’1- 1,5% all’anno. Ancora più disastrosa negli stessi anni la situazione per quanto riguarda i fondi aperti, che in genere hanno anche costi di gestione più alti. (Da fonte SinCobas)

In conclusione, con questo accordo si sancisce definitivamente la creazione di steccati tra lavoratori giovani e anziani, stabili e precari .

Viene minata la base fondante del sistema pensionistico abolendo il principio di universalità del sistema pensionistico, promettendolo di riformarlo, ma consegnandolo di fatto al mondo delle assicurazioni gestite dai sindacati stessi.

I lavoratori con questi passaggi nella realtà hanno unicamente una cosa certa, il prolungamento dell’età lavorati va, per molti anche più di dieci anni, un prolungamento dei tempi di lavoro, e una decurtazione dei pochi risparmi che a fatica si erano nel tempo accantonati.

CONTRATTO 1999 - NORMATIVO QUADRIENNALE

Apertura della trattativa: 21 ottobre 1998
Chisura della trattativa: 8 giugno 1999


Uno Sciopero Generale Nazionale e otto mesi di lunghe trattative; il “contratto delle nuove generazioni”, così è ricordato l’accordo del 1999, è il primo contratto che non si occupa della redistribuzione del reddito ma di questioni normative che riguardano le regole e i diritti personali dei lavoratori, la flessibilità e l’attenzione ai diritti dei lavoratori nel definire i propri temi di lavoro e riposo, le ragioni principali del conflitto.

“Abbiamo ottenuto risultati interessanti su diversi punti, tradizionalmente considerati minori: part-time, aspettative per ragioni familiari o per impeg ni di volontariato o di studio, lavoro interinale, tempo determinato, diritto allo studio; trattamenti di malattia. “

E’ su queste tesi che le organizzazioni sindacali hanno svolto le assemblee nelle aziende, cercando di ottenere un vero e proprio plebiscito tra i lavoratori.

L’approvazione finale del contratto avviene tramite referendum a cui partecipano circa 500.000 lavoratori votanti, confermando il si all’accordo con una percentuale superiore al 70%.

Queste in estrema sintesi la parti importanti definite nell’accordo:

- Aggiornamento ed estensione del campo di applicazione del contratto in relazione alle trasformazioni nel sistema produttivo;
- Ampliamento della fruizione effettiva delle riduzioni di orario per i lavoratori turnisti;
- Piena utilizzazione delle 104 ore di riduzione già acquisite o derivanti dalle festività soppresse;
- Istituzione della banca delle ore (diritto di ciascun lavoratore a trasformare in riposo parte dello straordin ario prestato);
- Introduzione dell’orario plurisettimanale;
- Diritto al controllo effettivo degli orari di fatto attraverso la contrattazione delle flessibilità da parte delle Rsu;
- Miglioramenti dei diritti di aspettativa per attività di volontariato, lavori di cura e studio;
- Recupero della 13a nel calcolo del Tfr;
- Aumento salariale medio di 85.000 lire in due tranches: 43.000 dal 1° luglio 1999; 42.000 dal 1° aprile 2000. Una tantum di 120.000 lire;
- Istituzione della banca delle ore (diritto di ciascun lavoratore a trasformare in riposo parte dello straordinario prestato). Introduzione dell’orario plurisettimanale. Stagionalità…del prodotto…;
- Diritto al controllo effettivo degli orari di fatto attraverso la contrattazione delle flessibilità da parte delle Rsu;

Emerge da subito che la volontà di entrare nella discussione vera dell’organizzazione del lavoro si prospetta in realtà un’arma a doppio taglio per le forze s indacali.

Se, da un lato si riconosce il ruolo delle RSU al controllo delle ore effettive di lavoro, dall’altro, si apre il canale preferenziale per le organizzazioni padronali all’orario plurisettimanale; una settimana lavorativa che può oscillare in rapporto alle punte produttive con tetti minimi e massimi (ricordiamo inoltre che in questo periodo il settore metalmeccanico risultava come un settore in piena espansione di orari di lavoro e con monte straordinari ben al di sopra delle medie concordate e il tutto avveniva in una situazione di piena crisi occupazionale).

Nel contratto del 1999 è stato in oltre aumentato il monte ore straordinario che, insieme all’orario plurisettimanale, offrirono agli industriali tutti gli strumenti di flessibilità dei tempi di lavoro.

La banca delle ore doveva nei fatti riequilibrare e, anzi, esser volano per creare nuova occupazione: nei fatti nulla è avvenuto. L’asse portante della banca delle ore doveva essere la ricompens azione di giornate di riposo di lavoratori fissi, con inserimento di occupazione giovanile a tempo determinato. In realtà, essendo facoltativa la scelta per il lavoratore e, attraversando un periodo di restrizione salariale, ben pochi lavoratori sceglievano l’utilizzo del riposo compensativo. Tutt’ora sono ben pochi i lavoratori che sono a conoscenza del funzionamento complessivo della banca delle ore, e molti meno ne fanno uso.

Ma il contratto del 1999 fa emergere una discussione che troverà ampio spazio tra le organizzazioni sindacali; la contrattazione di secondo livello interessa una fascia di lavoratori ben al di sotto dell’intera categoria e i contratti territoriali possono esser la giusta risposta a questa mancanza di redistribuzione delle ricchezze.

Nella realtà, e lo si vedrà successivamente con le proposte contenute nel libro bianco, si vorrebbe trasformare il secondo livello di contrattazione in una sorta di una tantum territoriale dove, se da un lato s i distribuisce le “ricchezze” ai lavoratori senza contrattazione aziendale, dall’altra si rende nulla la presenza delle RSU nelle fabbriche.

Così facendo, le organizzazioni sindacali territoriali si ritagliano un ruolo che snatura il significato storico per cui sono nate, diventano così organi di regolamentazione del mercato del lavoro, ne gestiscono la formazione, partecipano attivamente alla ricollocazione tramite le proprie società e ne definiscono i contratti in ogni sua parte.

Il sindacato inizia a cambiar pelle in maniera irreversibile gestisce fondi pensione e fondi salute, diventa soggetto attivo in termini di proposte per snaturare il valore dello sciopero, si spinge sempre più ad esser sindacato degli iscritti con forma corporativa, riducendo il ruolo partecipativo dei lavoratori tutti.

CONTRATTO 2001: RINNOVO ECONOMICO BIENNALE

Apertura del negoziato: 7 febbraio 2001.
Firma dell’intesa: 3 luglio 2001.


Si produce una profonda divisione all’interno del sindacato. La piattaforma è firmata soltanto da Fim e Uilm.
Approvazione: referendum tra gli iscritti Fim e Uilm. Nella Fim: circa 110.000 votanti, 87% di sì.

La rottura dell’unità di azione avviene in seguito alla proclamazione di uno sciopero separato da parte della Segreteria nazionale della Fiom.
La Fiom organizza una raccolta di firme dopo l’accordo siglato da Fim e Uilm, 300.000 le firme raccolte contro l’accordo separato, superiori ai consensi avuti precedentemente all’ipotesi di contratto.

Si pone così con evidenza una enorme questione democratica che prefigura la liquidazione del significato stesso della contrattazione collettiva.
Emerge a questo punto la mancanza di una legislazione che vincoli le trattative aziendali e nazionali al voto dei lavoratori, una minoranza può decidere per tutti e la rappresentanza padronale diventa libera di scegliere i propri interlocutori.

Contemporaneamente su altri tavoli CISL e UIL si apprestano a far proprie le linee guida del governo contenute nel libro bianco.
Un attacco ai diritti dei lavoratori, dei salari e delle pensioni, si annullano le contrattazioni collettive.

Allo stesso tempo si acutizzano i processi di ristrutturazione delle imprese che tendono a una generale precarizzazione del lavoro e spostano sempre più i capitali verso est ed estremo oriente.

Il governo di centro destra di Berlusconi, in compagnia dell’azione incalzante degli industriali, spingono la CGIL nell’angolo prefigurando un periodo di contrapposizione ideologica che si oppone ai cambiamenti reali richiesti dal nuovo sistema economico.
Più flessibilità, meno diritti e meno salari per reggere la concorrenza sui mercati mondiali.
L’Italia diventa uno dei paesi in cui ai lavoratori viene richiesta più flessibilità; per la prima volta nella storia del movimento dei lavoratori i figli inizieranno a vivere condizioni peggiori dei padri in un processo irreversibile.

Queste in estrema sintesi le parti importanti definite nell’accordo:

- aumento salariale medio di 130.000 lire (67,14 Euro) in due tranches: 70.000 (36,15 Euro) dal 1° luglio 2001; 60.000 (Euro 30,99) dal 1° marzo 2002.
- una tantum di 450.000 lire (232,41 Euro) in due tranches tra luglio 2001 e luglio 2002.

CONTRATTO 2003: CONTRATTO NORMATIVO QUADRIENNALE

Apertura del negoziato: 20 gennaio 2002.
Firma dell’intesa: 7 luglio 2003.


Anche questo è firmato solo da Fim e Uilm. Per la prima volta, vengono inviate alla controparte tre piattaform e separate. La Fim sottopone la sua piattaforma – ed è una novità assoluta – a un referendum qualitativo chiedendo di esprimere un voto da 1 a 10 sulle singole richieste. Si raggiunge il punto massimo di tensione tra Fim e Uilm, da un lato, e Fiom dall’altro.

Viene inserita da parte delle organizzazioni firmatarie la normativa della legge 30, che introduce la precarietà totale nel mercato del lavoro, i contratti a chiamata, l’affitto permanente di manodopera, la totale liberalizzazione degli appalti.

Vengono inserire nel contratto le norme del Decreto 368, che toglie ogni vincolo e ogni regola alla gestione dei contratti a termine, e per questo si vuole abolire un intero paragrafo del contratto.

Si peggiorano le norme sul lavoro interinale (d’ora in poi i lavoratori potranno essere affittati anche al secondo livello) e sul diritto allo studio, che viene sostanzialmente assorbito nella formazione professionale e aziendale.

Si istituisce un Ente Bilate rale, finanziato dalle aziende e da altri enti, nel quale si amministreranno la formazione professionale oggi e le assunzioni domani e che trasformerà il sindacato in agente collocatore dei lavoratori, invece che in difensore dei loro diritti.

Con questa intesa è da subito risultata chiara la volontà di Federmeccanica di realizzare alcuni suoi storici obiettivi: la flessibilità e la precarietà più estese possibili, i bassi salari, la riduzione del ruolo contrattuale delle RSU e, soprattutto, il ridimensionamento del ruolo delle funzioni del contratto nazionale.

“Quello che propone la Federmeccanica non è un vero contratto ma un trasferimento nel contratto nazionale del patto per l’Italia e delle principali norme e scelte del governo contro le quali si sono battuti i lavoratori in questi due anni.

La Fiom mantiene le sue richieste, votate da 454mila metalmeccanici. La Fiom continuerà a rivendicare un aumento salariale che riconosca il valore del lavoro dei metalmeccanici, regole sicure contro la precarietà, il miglioramento dei diritti e delle condizioni dei lavoratori, dall’inquadramento, agli orari, a tutte le principali normative.”

Con questo annuncio vengono indette centinaia di assemblee, e raccolte firme per disdire il contratto siglato.

Si avviano manifestazioni e scioperi spontanei, parallelamente si delinea un percorso che si concretizza con l’apertura di pre-contratti su piattaforma FIOM siglati nelle principali aziende del settore; si conteranno 155 pre-contratti siglati.

Si sperimenterà anche la cassa di resistenza.

“Oggi le lavoratrici e i lavoratori vedono messi in discussione i loro diritti, le loro più sacrosante ragioni. In questi casi è necessario lottare e la lotta costa. E’ un momento che può essere affrontato solo attraverso un percorso condiviso, coerente e determinato che dia il giusto valore alle iniziative di solidarietà attiva. Nel passato, all’origine del sindacato confederale, vi sono già state fra i lavoratori Casse di resistenza e di mutua solidarietà. La Fiom ha pensato di ridare vita a questo strumento perché, oggi, proprio come allora, sono in discussione i diritti fondamentali del lavoro. “

Il 16 maggio del 2003 la FIOM organizza uno sciopero nazionale regionale con una partecipazione media allo sciopero, nell’industria metalmeccanica, attorno al 70%, con punte tra l’80 e il 100% nelle aziende di medie dimensioni e nelle zone in cui sono raggruppate imprese minori.

Ma nonostante la volontà di respingere il contratto, alla fine i lavoratori metalmeccanici contrari al contratto vedranno la propria lotta spegnersi lentamente.

La FIOM, poco sostenuta durante la vertenze dalla stessa CGIL, rientrerà presto nella scia unitaria e si darà così nuovamente corso alla nuova unità tra le organizzazioni sindacali metalmeccaniche.

Approvazione: referendum tra gli iscritti FIM e UILM, con oltre 150.000 sì.
I lavoratori metalmeccanici nel 2003 erano 1.300.000.

Queste in estrema sintesi la parti importanti definite nell’accordo:

- Diritto allo studio: ripresa e miglioramento delle 150 ore, con aumento della percentuale di lavoratori che possono assentarsi contemporaneamente per motivi di studio e formazione; utilizzo delle 250 ore di permessi retribuiti nel triennio anche per lo studio della lingua italiana da parte dei lavoratori stranieri; 40 ore annue di permessi retribuiti per il conseguimento del diploma di media superiore.

- Formazione professionale: ruolo centrale delle commissioni paritetiche territoriali; aumento da 120 a 150 ore nel triennio di permessi retribuiti per la formazione.

- Inquadramento: impegno a definire la riforma entro giugno 2006, prima del prossimo rinnovo normativo.

- Rapporti di lavoro atipici: oltre ad alcuni miglioramenti, su part-time e lavoro temporaneo rinvio a un confronto successivo, in attesa dei decreti attuativi della legge 30/2 003. Il confronto è avvenuto e ha prodotto l’accordo tra Fim-Uilm e Federmeccanica del 22 gennaio 2004, che mantiene in via transitoria le norme contrattuali in vigore.

- Orario: consolidamento e miglioramento delle acquisizioni del precedente contratto normativo (1999); recupero delle 8 ore di permesso retribuito a seguito del ripristino della festività del 2 giugno; risolto il contenzioso sulla banca delle ore. Il citato accordo del 22 gennaio 2004 conferma l’orario contrattuale.

- Recepimento nel contratto del decreto legislativo 626/1994 (ambiente e sicurezza).

- Aumento salariale medio di 90 Euro nel biennio in tre tranches: 45 Euro dal 1° luglio 2003; 24 dal 1° febbraio 2004, 21 dal 1° dicembre 2004. Una tantum di 220 Euro.

Questi alcuni accordi siglati da altre categorie nel 2003:

Contratto Statali 108 euro mensili
Contratto FS 115 euro mensili
Contratto Netturbini 129 euro mensili
Contratto Dirig. d’Azienda 260 euro mensili

Il 15 giugno il Referendum per l’allargamento dell’articolo 18 anche per le aziende sotto i 15 dipendenti non passa per la bassa affluenza alle urne, raccogliendo comunque 11 MILIONI di si.

Il 92% delle forze politiche presenti in Parlamento, compr esi i partiti del centro sinistra, hanno lavorato al boicottaggio arrivando all’astensione militante, in buona compagnia di CISL e UIL.

CONTRATTO 2005: RINNOVO ECONOMICO BIENNALE

Apertura del negoziato: inizio dicembre 2004
Firma dell’intesa: 19 gennaio 2006.


Dopo oltre un anno di lotte, 60 ore di sciopero, manifestazioni e infiniti tavoli di trattativa più volte interrotti, il 19 gennaio è stato firmato il contratto dei metalmeccanici. Che, per come si erano messe le cose negli ultimi giorni, si è chiuso al di sotto delle aspettative dei lavoratori. Federmeccanica infatti era stata costretta a tornare a trattare grazie alla forza messa in campo con la crescente mobilitazione di migliaia di operai che hanno bloccato autostrade e ferrovie in tutto il paese e organizzato un imponente sciopero regionale in Emilia Romagna con oltre 20.000 lavoratori a Bologna e scioperi duri anche a G enova, Milano e altre città.

Sono stati così ottenuti i famosi 100 euro, sotto cui i sindacati metalmeccanici non erano disposti a scendere. Il problema è che questi 100 euro lordi (riferiti al quinto livello, quando la stragrande maggioranza dei lavoratori sono attestati tra il terzo e il quarto), sono stati scaglionati in modo tale che di fatto i lavoratori alla fine dei conti (cioè facendo i calcoli sui 30 mesi di vigenza contrattuale) ne prenderanno tra i 50 e i 60 (lordi).

Solo 60 euro verranno dati subito, 25 il prossimo ottobre e 15 nel marzo del 2007, cioè solo tre mesi prima della scadenza del contratto. Che viene anche allungato di 6 mesi. Infatti non scadrà il 31 dicembre del 2006 ma nel giugno del 2007.

Fatto importante, perché non solo è ciò che Federmeccanica ha chiesto per accettare i 100 euro, ma rappresenta un precedente pericoloso, che minaccia l’allungamento di tutti i contratti nel prossimo futuro.

Non solo non è stato difeso i l potere di acquisto dei salari, ma si sono fatte anche, inaspettate per i più, gravi aperture sulla flessibilità. Una questione decisiva, che tocca la gestione degli orari di lavoro e l’utilizzo dell’apprendistato per i giovani che entrano in fabbrica. Orario plurisettimanale significa la possibilità di allungare o accorciare (da 32 a 48 ore) l’orario settimanale in base alle esigenze produttive aziendali. Fino ad ora questa possibilità era limitata alle lavorazioni stagionali; da oggi è stata estesa a tutte le fabbriche metalmeccaniche.

È vero che Federmeccanica, formalmente, non ha sfondato totalmente: infatti la preintesa prevede che l’orario plurisettimanale sia introdotto trattando coi sindacati aziendali. Ma non si può ignorare il fatto che prima di questa intesa tutto ciò non era permesso e che i rapporti di forza espressi in questi giorni avevano creato le condizioni perché questa questione non entrasse per nulla nella trattativa (come già giu stamente la FIOM aveva ottenuto tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio, cosa che aveva portato alla rottura coi padroni).

Le aperture sulla flessibilità tra l’altro non erano mai state discusse coi lavoratori nelle assemblee in cui è stata presentata la piattaforma. Discorso che vale anche per le concessioni fatte dai sindacati sull’apprendistato! Qualche sindacalista dice che le RSU su questo possono contrattare: dimentica che nella maggior parte dei posti di lavoro non ci sono RSU e negli altri abbiamo raramente RSU solide. Nelle assemblee si era detto ai lavoratori che quelle proposte erano irricevibili.

Col nuovo contratto l’apprendistato viene esteso per i lavoratori dal terzo livello in su, fino a 60 mesi (che possono essere ridotti a 42 o 36 mesi in caso il lavoratore abbia un diploma o una laurea) e viene applicato anche ai lavoratori di secondo livello che occupano mansioni con poca o nessuna specializzazione (come quelli sulla catena di montaggio) .

È vero che la concessione fatta sulla settimana plurisettimanale non è definitivamente acquisita dai padroni e se Federmeccanica e FIM-FIOM-UILM non troveranno un accordo sulle percentuali di lavoratori precari da inserire nelle fabbriche l’esperimento della settimana a orario variabile il 31 luglio di quest’anno decadrà. Ma le cose non sono così semplici. Da più di un anno i sindacati e Confindustria stanno discutendo la necessità di riformare i contratti, sostituendo i famigerati accordi del luglio ‘93. Le possibilità che sindacati e padroni trovino un accordo sulla modifica dei contratti nazionali entro l’estate è alta.

Si poteva fare di più dopo 13 mesi di trattative, lotte e oltre 60 ore di sciopero? La risposta sta nelle lotte di gennaio. La rabbia dei lavoratori in risposta all’arroganza dei padroni aveva trovato un canale estremamente efficace: i blocchi e le manifestazioni estremamente partecipate che poco avevano in comune con quanto vist o fino a poche settimane prima.

Dopo i primi blocchi di inizio gennaio a ogni nuova convocazione di scioperi il numero delle iniziative locali aumentava in modo significativo e anche quando Federmeccanica è stata costretta a tornare sui suoi passi e martedì 17 gennaio si sono ufficialmente riaperte le trattative, migliaia di operai erano pronti a riprendere la propria posizione sui blocchi in caso di necessità.

Era necessario continuare sulla strada intrapresa a fine dicembre quando la FIOM aveva mandato un messaggio chiaro a padroni e ai vertici di FIM e UILM: trattare solo sul salario, come da mandato dei lavoratori. Per questo l’accordo raggiunto delude.

SINTESI ACCORDO

Il 19 gennaio 2006 è stato sottoscritto da FIM FIOM e UILM il CCNL dei metalmeccanici per il biennio 2005 - 2006 allungato al 30 giugno del 2007.

Salario

I 100 euro che si dicono conquistati per il V° livello sono distribuiti a rate:
- prima rata: 60 euro a partire da genn. 2006
- seconda rata: 25 euro a partire da ott. 2006
- ultima rata: 15 euro a partire da mar. 2007

Analizziamo gli aumenti reali in seguito a questi scaglionamenti.

Gli aumenti per l’anno 2005:
320 euro di una tantum + 80 euro di vacanza contrattuale = 400 euro
L’aumento mensile medio (406 : 12) sarà quindi di 33,33 euro. (senza dimenticare poi che 160 euro dell’una tantum verranno dati nel luglio 2006)

Gli aumenti per l’anno 2006
60 euro per 9 mesi (540) e 85 euro per 3 mesi e tredicesima(340) = 880 euro
L’aumento mensile medio (880 : 12) sarà quindi di 73,33 euro.

Gli aumenti per 6 mesi del 2007
85 euro per i primi due mesi (170) e 100 da marzo a giugno (400) = 570 euro.
L’aumento mensile medio dei 6 mesi (570 : 6) sarà quindi di 95 euro.

Se vogliamo verificare qual’è l’aumento medio mensile per i 30 mesi della durata complessiva del contratto biennale maggiorato di sei mesi si ha questo risultato:

400 euro per i 12 mesi del 2005 +
880 euro per i 12 mesi del 2006 +
570 euro per i 6 mesi del 2007 =
1.850 euro : 30 mesi = 61,66 euro lordi al mese
Che vuol dire circa 47 euro netti al mese.

Il contratto prevede anche che i lavoratori che non hanno contrattazione aziendale e che percepiscono un salario non superiore ai minimi tabellari, avranno 130 euro di una tantum nel giugno 2007. Nella piattaforma erano stati richiesti 25 euro al mese come “elemento perequativo”.

Nel precedente biennio 2003- 2004 il contratto aveva ottenuto 1.460 euro per 24 mesi, cioè 60.83 euro al mese. La FIOM non l’aveva firmato perché riteneva una mancia quell’aumento mensile.

Ma se 60 euro per 24 mesi furono ritenuti una mancia perché 61 euro per 30 mesi sono valutati un buon aumento?

La parte normativa
- orario plurisettimanale:

è stato concesso a tutte le aziende del settore. Sperimentale (per sei mesi) e dovrà essere contrattato con le RSU.
- apprendistato:

- per i lavoratori di II° livello (per esempio gli addetti alle catene di montaggio) 24 mesi di apprendistato

- per i lavoratori di III° livello 42 mesi di apprendistato

- per i lavoratori che saranno inquadrati al V livello fino a 60 mesi di apprendistato (ridotti di sei mesi se diplomati).

CONCLUSIONI

Nel corso degli anni l’intera categoria dei lavoratori ha visto perdere diritti, salario e dignità.

Ora con i governi di centro destra, ora con quelli di centro sinistra, le condizioni generali per noi lavoratori salariati non sono certo migliorate, e il sindacato nel suo complesso si è dimostrato più volte attore principale e manovratore del ristagno conflittuale, preferendo sempre più un ruolo concertativo, gestionale e accomodante verso le classi padronali.

Viviamo in uno scenario produttivo mondiale che muta continuamente, e che vede il sistema economico spostare le produzioni in paesi dove maggiori sono le condizioni di sfruttamento e quindi di profitto.

Siamo tutti sottoposti al ricatto della logica al ribasso, continuamente giorno per giorno veniamo privati del nostro futuro.

Precari si nasce sin dai banchi di scuola, tutte le riforme scolastiche rientrano nella logica che vede il sapere funzionale unicamente al potere economico.

A vario livello si è strutturato un sistema di sfruttamento legale, che coinvolge tutte le fasce di età scolastiche.

Apprendistato fino a 32 anni, stage universitari, corsi di approfondimento e formazione altamente specializzata finalizzata al primo impiego: come si vede cambiano i nomi e le forme ma sempre di lavoro gratuito si tra tta.

Precari si diventa, enormi masse di lavoratori sono passate negli ultimi anni da lavoratori inseriti in sistemi produttivi con diritti sindacali e tutele, a condizioni di schiavismo nelle cooperative o presso le agenzie interinali.

La parcellizzazione del lavoro ci ha reso tutti più isolati, e anche le forme di lotta resistenti rischiano di passare come forme di protezionismo categoriale.

In questo contesto si inserisce la tratta degli schiavi del nuovo millennio: enormi masse di lavoratori immigrati divengono nuovo business per le varie mafie che gestiscono i flussi verso l’Europa.

Si delinea quindi uno scenario dove sembrerebbe che esistano condizioni di precarietà per gradi e classi, quasi a voler sancire comunque una certa distinzione di condizioni e di futuro.

All’interno di questa triste situazione ci vorrebbero tutti pronti alla rincorsa del miraggio al lavoro e alla sicurezza propria e individuale.

Importante è rendersi disponibile, duttile e malleabile, rispettoso delle regole che cambiano di volta in volta, mai una protesta e sempre consenziente ad ogni scelta adottata, una corsa ad ostacoli dove vince solo il primo.

Ma lo sfruttamento non è unicamente confinato all’ambiente di lavoro, oggi precarie sono le condizioni generali di vita; la spinta alle privatizzazioni dei bisogni primari mette a rischio la tenuta sociale dell’intero paese.

Miraggio è la casa, a rischio l’assistenza e la fascia di protezioni sociali.

Subiamo ogni giorno il furto del futuro, viviamo generalmente condizioni peggiori dei nostri padri, lo spirito di sacrificio e di lotta che hanno portato a conquiste sociali e materiali di enormi masse di lavoratori, sono ben lontane dal contesto attuale.

Siamo tutti mutuo-dipendenti; per rilanciare le produzioni e le vendite al sistema tutto va bene: ora le guerre e i conflitti tra gli stati considerati terroristi e sovversivi, ora le guerre sociali tra poveri ammassati alle periferie delle metropoli, schiacciati dalle proprie misere condizioni di povertà.

Ad ogni forma di conflittualità volta a contrastare minimamente le proprie condizioni si risponde con forme di repressione e controllo sempre più restrittive.

E’, come si vede, una condizione generale e trasversale che si presenta e si sviluppa in modi diversi ma con unici obiettivi.

I lavoratori metalmeccanici, con l’ultima fase contrattuale, hanno dimostrato una volta di più come una mobilitazione decisa e combattiva possa rompere il fronte avversario che ha anche esso forti contraddizioni al suo interno. I dirigenti sindacali, della FIOM innanzitutto, hanno fatto un grave errore a non usare fino in fondo questa forza. Dobbiamo impedire che le nostre ragioni vengano messe nuovamente fra parentesi e sacrificate sull’altare di un nuovo progetto concertativo che i padroni (e parte dello stesso centrosinistra), una volta rimosso “l’incomodo” dei meccanici, pensano di far passare.

Q uesto accordo potrebbe mettere in pericolo lo stesso sindacato. Un giovane con 5 anni di apprendistato davanti a sé può iscriversi, scioperare, lottare? Occorre una riflessione seria sullo stato di salute delle organizzazioni dei lavoratori. È chiaro che stiamo assistendo da anni ad un’acuta e profonda deriva dei sindacati mettendo in pericolo il proprio insediamento nei posti di lavoro. Un sindacato sempre più lontano dai giovani, che infatti secondo l’Ires CGIL si iscrivono in pochi (10% al di sotto dei 32 anni), perché non trovano risposte sufficienti da chi nei rinnovi contrattuali sceglie la via bassa, quella dello scambio dei diritti per pochi soldi. Un sindacato sempre più vecchio e inadeguato, che riesce sempre meno a difendere salari e pensioni, diritti dei giovani (che i contratti, compreso questo, rendono più precari). Se non si ripartirà dalle idee dei giovani e da metodi radicali (che fine hanno fatto le casse di resistenza? E il sindacato europeo?) a nche il sindacato verrà travolto. Per questo va rifondato e riformato.

MODALITÀ DI LOTTA EMERSE DALLE ASSEMBLEE

Gli imprenditori hanno in mente un modello di “mondo del lavoro” che vogliono lentamente realizzare a spese dei lavoratori. Precarietà e flessibilità sono gli unici strumenti per poter competere nell’era della globalizzazione e cercano di diffondere questa cultura soprattutto tra le nuove generazioni.

E’ ormai chiaro a tutti che le forme di lotta tradizionali sono mezzi insufficienti per combattere il modello di società basato esclusivamente sulle “leggi di mercato”.

Lo sciopero se è inefficace fa perdere, inoltre, credibilità alle organizzazioni sindacali e porta soprattutto i giovani alla rassegnazione e, cosa ancor più grave, a difendere le ragioni degli imprenditori. Riportiamo quindi alcune proposte di nuove forme di lotta che le organizzazioni sindac ali dovrebbero promuovere per costringere gli imprenditori a dare e riconoscere un ruolo fondamentale al sindacato ed alla contrattazione collettiva nelle sue diverse forme.

Lo sciopero come strumento di conquista

Fermo restando che lo sciopero è anche uno strumento di protesta, non è possibile fare una “guerra” pensando di lottare su più fronti in contemporanea sempre con gli stessi uomini.
E’ necessario individuare i punti chiave sui quali è giusto investire ogni forza. Ogni lotta deve portare ad una conquista e ad un risultato concreto. In questo modo le organizzazioni sindacali possono acquisire ancor di più credibilità e fiducia da parte dei lavoratori.

Unità nella lotta

In settori come quello metalmeccanico vengono proclamati spesso scioperi di zona. Questo tipo di lotta è poco visibile ed efficace, visto ormai il numero esiguo delle aziende ed il numero sempre più esiguo dei lavoratori che partecipano alle iniziative di lotta. E’ bene proclamare sc ioperi almeno per province e darsi appuntamento in un unico luogo dove manifestare.

Cassa di resistenza

Così come esistono le casse di previdenza, la cassa di resistenza deve esistere come realtà ufficiale e permanente per finanziare alcune forme di lotta “mirate”, soprattutto nelle aziende trainanti per l’economia del paese. Fermare una settimana in modo consecutivo uno stabilimento FIAT non è come proclamare uno sciopero di 4/8 ore in aziende di media entità.
Con la cassa di resistenza è possibile finanziare lo sciopero di “pochi” lavoratori che possono creare un disagio a tutto il paese.

Blocco del traffico

Il modo tradizionale di bloccare il traffico stradale o ferroviario è un modo valido nel momento in cui la contrattazione si prolunga nel tempo ed esaspera gli animi dei lavoratori che dopo ore di sciopero vedono ancora lontana la firma del contratto.
Già alle prime ore di sciopero le varie manifestazioni possono svolgersi con auto private in modo da rendere la circolazione difficoltosa e portare subito i media ad occuparsi del problema. Questo modo di manifestare, inoltre, è formalmente “legale” (ognuno è libero di circolare con la propria auto), non richiede alcun permesso e non si presta ad eventuali scontri con le forze dell’ordine.

Luogo delle manifestazioni

Anche se lo sciopero provoca una perdita economica all’azienda, l’imprenditore spesso affronta il problema con distacco ed arroganza perché certo delle sue sicurezze economiche. Trovare invece i lavoratori della sua stessa azienda a manifestare sotto la sua abitazione privata ha tutto un altro effetto. Questo porterebbe ogni singolo imprenditore a rassegnarsi che è bene per tutti risolvere al più presto la vertenza contrattuale.

Blocco di eventi sportivi

Per fare in modo che i m edia non ignorino il problema è efficace il manifestare e se possibile creare disagio ad eventi sportivi di importanza rilevante. Rilevante può essere il blocco del traffico mentre i tifosi si recano allo stadio o all’autodromo. In questo modo si sottolinea anche il divario economico che cresce sempre di più tra pochi ricchi (sempre più ricchi) ed il ceto medio (sempre più impoverito)

Blocco dei consumi

Premettiamo che per blocco dei consumi non si intende uno “sciopero dei consumi” così come a volte chiedono le associazioni consumatori.
Può essere molto efficace un blocco agli ingressi di un centro commerciale in una giornata di sabato, senza rimetterci ore di sciopero. Anche in questo caso è possibile attirare l’attenzione dei media sulla vertenza in corso (oltre che l’attenzione delle forze dell’ordine).

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